Facebook Syrian Revolution 2011 è la pagina creata sul social network dai rivoltosi siriani impegnati nel tentativo di rovesciare la presidenza di Bashar el-Assad; obiettivo principe è catalizzare le voci della protesta. Tuttavia, nelle ultime ore la rappresaglia governativa ha iniziato ad arginare in maniera sempre più stringente i canali di comunicazione del paese, mentre si susseguono violenze e arresti a catena per i manifestanti ai quali vengono chiesti i dati di accesso ai propri account online. E per chi si rifiuta, pronta la tortura. Nel mirino del governo di Damasco sembra essere finita non solo la comunità degli utenti di Facebook (che come Twitter è sottoposto a quotidiane manomissioni), ma la stessa azienda; Zuckerberg e soci sarebbero colpevoli di aver cancellato la pagina Syrian Electronic Army, creata a sostegno del governo, il quale ha annunciato misure straordinarie contro il social network.
GOOGLE vs NUOVA DELHI – Intanto il Wall Street Journal rivela lo scetticismo con il quale a Mountain View sarebbero state accolte le nuove manovre legislative indiane. In particolare, i vertici di Google avrebbero criticato, in un memorandum circolato all’interno degli uffici dell’azienda, le nuove leggi che obbligherebbero siti e gestori di spazi online a rimuovere su richiesta delle autorità entro 36 ore contenuti considerati blasfemi, offensivi o incitanti alla violenza verso capi religiosi e politici. Definizioni abbastanza vaghe da esporre la Rete a provvedimenti di arbitraria censura. Tuttavia, difficilmente BigG ripeterà l’esperienza di guerra aperta sperimentata con Pechino poco più di un anno fa.