Archivio per la categoria USA

I post in stand by, la mappa dei materiali, le nuove avventure

Lareteingabbia si prende una pausa, ma non lo fa chi cura il blog. In realtà era già da tempo che la sezione dedicata ai post non veniva aggiornata, tanto da rendere quasi tardiva una tale precisazione. Tuttavia, è l’occasione per informare chi legge che questo stand by non ha coinvolto la sezione “Tutto quello che c’è da sapere“; i materiali ospitati sul blog sono stati infatti aggiornati e da questo momento saranno anche localizzati su una mappa; clicca sull’immagine qui sotto per aprirla a tutto schermo e consultare gli ultimi pdf condivisi.

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Inoltre, chi avesse voglia di seguirmi altrove troverà di sicuro interesse gli approfondimenti radiofonici settimanali ai quali collaboro nella trasmissione di Radio Radicale Presi per il Web.

Buon ascolto!

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Voci dall’Open Government Partership

Ha preso vita lunedì a Roma la terza edizione europea dell’Open Government Partership. Il cardine attorno al quale è ruotata la giornata di tavole rotonde con esperti del settore è l’apertura delle Pubbliche amministrazioni al dialogo con i cittadini.

L’obiettivo? Liberare il potenziale di risparmio, guadagno e sviluppo offerto dalla collaborazione e dalla partecipazione, e caricare di reale significato, anche economico, la trasparenza che si richiede ai centri di potere. Qui sotto i nostri “incontri ravvicinati” con alcuni dei relatori. Il report completo dell’evento sul sito di Agorà Digitale.

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Proteste giuste, ma per i motivi sbagliati?

Mi sembra doveroso segnalare questo pezzo di Valigiablu, nel quale si mette in luce come ACTA sia avversato in queste ore forse per i motivi sbagliati. Non è una difesa del trattato, anzi, è ben sottolineato il danno che esso creerebbe e gli scenari ai quali darebbe modo d’esistere, ma si fa una specie di grande rettifica sul alcuni dei punti nodali (che ho toccato anch’io quindi è doppiamente giusto che io segnali il post).

Da diversi mesi ci stiamo occupando di ACTA, abbiamo intervistato il Portavoce dell’UE per il commercio John Clancy e fatto un punto sulla protesta e seguito il percorso ‘legislativo’ con il primo sì da parte di 22 Stati membri dell’UE. Siccome, come sempre, pensiamo che una protesta debba essere informata, continuiamo il nostro approfondimento proponendo questo articolo che analizza la fragilità e la debolezza della protesta contro questi accordi.

Continua a leggere su ValigiabluSegnalo anche l’analisi di Arturo Di Corinto.

ACTA è solo in apparenza un accordo commerciale: in realtà esso è di natura legislativa. Perciò è Inaccettabile che i parlamentari italiani siano stati esclusi dal processo, mentre 42 dirigenti delle industrie con interessi correlati a brevetti e copyright hanno potuto accedere ai documenti e concorrere alla loro formulazione, mentre si richieda di accettare come fatto compiuto i risultati di un lavoro svolto in segreto.
Non è ammissibile che a decidere del futuro della libertà e ad interferire con le leggi di uno Stato sovrano siano pochi funzionari e rappresentanti di corporation.

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Un bavaglio formato mondiale

Insomma, l’Unione Europea ha deciso di partecipare al più grande movimento internazionale contrario ai diritti dei netizen che si sia mai visto nella storia della Rete. Anni di trattative segrete e adesioni di importanti paesi fatte in silenzio per un testo, l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), il quale renderebbe ogni intermediario responsabile delle violazioni commesse dagli utenti che ne sfruttano i servizi, li costringerebbe a condividerne i dati personali con i titolari di diritti d’autore anche senza un ordine della magistratura, trasformerebbe i provider in sceriffi, renderebbe possibile per i titolari di diritti impedire ad un intermediario di rendere disponibile un servizio che potrebbe essere utilizzato (anche) per violare il copyright.

E poi gli scempi in merito ai prodotti farmaceutici, che esporrebbero i ricercatori di tutto il mondo ad uno stop da parte di chi non rappresenta nessuno se non i propri interessi ma è evidentemente ben rappresentato da chi dovrebbe tutelare il cittadino e l’utente.

L’unica buona notizia è che le mobilitazioni degli oppositori sono partite praticamente subito (qui una petizione di Agorà Digitale), facendo il paio con le dimissioni che ha presentato l’europarlamentare Kader Arif, relatore continentale del testo.

Update 27 gennaio – Anche Avaaz.org lancia la sua petizione.  

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Ancora su “MegaCospirazione”

Ragionando a bocce ferme, in merito al post precedente, non voglio certo mettermi a difesa di chi si è potuto permettere auto di lusso grazie ad attività illecite svolte dagli utenti di un servizio da lui creato e che, comunque, tecnicamente resta neutrale. Che mister Schmitz fosse a conoscenza del fatto che tolti i contenuti protetti da diritti dal suo cyberlocker esso avrebbe perso quasi tutto il suo appeal, è scontato; se poi abbia messo in atto pratiche per favorire queste violazioni di copyright, è una cosa che accerterà la magistratura.

Il mio sfogo era diretto contro una modalità d’azione che vede la Rete soggetta a una sempre più facile sospensione di alcuni diritti in favore di altri come se su Internet i primi valessero di meno rispetto alla “vita reale” (altra distinzione idiota, come se non fosse reale quello ci stiamo dicendo).

Bisogna entrare nell’ottica che ciò che si scrive e si dice e si carica nel cyberspazio ha lo stesso identico valore dei corrispettivi cartacei o televisivi o radiofonici. E che soprattutto esiste uno spazio di intermediazione che è al momento regolato chiaramente a livello comunitario così come negli Usa e che rappresenta uno scudo contro le mire di chi vorrebbe responsabilizzare alcuni attori in maniera ingiustificata e vorrebbe privatizzare la giustizia.

Ecco, allargando la visuale, sequestri preventivi fatti con l’accetta, norme come il SOPA e l’emendamento di Fava (a proposito, caro onorevole Fava, lei è un nemico di Internet come se ne sono visti poche volte in Italia, eppure ce ne sono stati, eccome se ce ne sono stati). Metti a sistema, e ne risulta una crisi di nervi. Poi i criminali vanno condannati, senza dubbio. Ma i distinguo in momenti come questo pesano più di accuse e reati, giusto per imparare qualcosa e difendere la Rete dagli attacchi sistematici dei rappresentanti di un modello di business vivo solo nelle loro teste e nelle penne di chi scrive per loro orribili norme. E dal calderone nel quale finiscono contenuti perfettamente leciti solo perché si trovano nello stesso spazio di altri protetti da copyright.

Update – E IlFuturista lancia un “movimento anti-Fava”. Mentre Fulvio Sarzana segnala l’enforcementche si vede all’orizzonte continentale.

RiUpdate 23 gennaio – Anche su Wired si illumina questa faccia della medaglia.

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Chiusi Megaupload e Megavideo

Sembra una risposta a chi ha gridato contro gli enforcement selvaggi alle norme sul diritto d’autore oscurando i propri siti e inviando missive di massa ai congressisti. I cyberlocker Megaupload e Megavideo sono stati chiusi dall’FBI e dal Dipartimento di Giustizia americana, i quali hanno ottenuto anche l’arresto del fondatore Kim Schmitz e di altri tre amministratori del sito (peraltro fermati in Nuova Zelanda, un esempio di collaborazione internazionale davvero efficiente!).

L’accusa è quella che da tempo (da sempre) i signori del copyright muovono contro i due siti: violazione massiva di copyright (oltre ad associazione a delinquere e riciclaggio). Poco importa che i due “armadietti digitali” si limitino ad incamerare ciò che caricano gli utenti, agendo di fatto da intermediari e fornendo uno spazio che come vocazione primaria non può avere la mera violazione del diritto d’autore.

Immagino solo che se avessi caricato su una delle due piattaforme un video nel quale con la totale libertà di parola che ci è concessa mi fossi scagliato davanti ad una webcam contro un sistema capace di certi abusi, il mio atto di libertà d’espressione sarebbe finito offline insieme a tutti i file protetti da diritti caricati da altri utenti. Non è una violazione questa? Non è uno sconfinamento, un eccesso nelle misure (legittime) di lotta alla pirateria? Non è una vera e propria sospensione di alcuni diritti fondamentali praticata nel nome di un interesse economico?

A mio avviso, si. Ed è frustrante quanto la coperta sia corta per chi protesta: da un lato si dà una piccola spallata al Congresso. Dall’altra, si viene colpiti in maniera durissima, mortale. Ribadisco: la lotta alla pirateria è sacrosanta ma il diritto d’autore non può prevalere sulla libertà d’espressione e sulla libertà d’impresa (giusto per citarne un paio).

Intanto, partono gli attacchi hacker (Anonymous in testa) mentre c’è chi come Stefano Quintarelli aggiunge preoccupanti particolari:

Faccio notare che, sequestrando i server, le forze dell’ordine hanno l’intero database degli utenti con tanto di indirizzi email, numeri di carte di credito e probabilmente log ed indirizzi IP.

Proprio poche settimane fa si era manifestato lo squilibrio di forze tra le industrie del disco e le ragioni di Megaupload; il cyberlocker diffondeva il materiale audio/video di una sua nuova campagna pubblicitaria messa a punto con il supporto di numerosi artisti legati a diverse major (e dunque alla RIAA). La Universal chiedeva ripetutamente a Youtube di censurare i suddetti materiali, i cui elementi però risultavano essere di proprietà di Megaupload. Nonostante tutto, il canale in questione rischiava di essere chiuso per ripetute infrazioni tutte da provare. Il caso approdava in tribunale pochi giorni dopo. Qui una ricostruzione della vicenda.

P.s.: Il Commissario Responsabile dell’Agenda Digitale europea Neelie Kroes “is glad” on Facebook in merito alle proteste di ieri

Update – Il “SOPA all’italiana” di Giovanni Fava viene approvato dalla Commissione Politiche Comunitarie.

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On strike

Ci sono dei diritti che non possono essere violati in nome di un sistema economico che ha fatto il suo tempo e si permette di non capirlo solo perché ha ancora delle protezioni enormi fatte di lobbies e connivenze della politica. SOPA e PIPA sono una coppia di leggi americane? Beh, da noi c’è l’Agcom con il suo regolamento antipirateria. E analoghi movimenti mettono i brividi ai netizen in tutto il Mondo. Abbiamo tutti gli stessi diritti, corriamo tutti gli stessi pericoli. E dunque, tanto vale lottare tutti insieme contro la censura copyright oriented. Domani si sciopera.

p.s.: aderisce anche Wikipedia.

Update 18 gennaio 2012 ore 20:01 – Sciopero finito. Tante adesioni, ma solo nella “lunga coda”. Mancano i big Facebook, Twitter, eBay, ecc. Meglio di niente, ovvero dell’accettazione silenziosa di uno scempio legislativo che non colpirebbe Internet ma la libertà di espressione e non garnatirebbe il rispetto del copyright ma darebbe solo poteri arbitrari a privati su decisioni che solo la magistratura può prendere, almeno in uno stato di diritto.

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Rojadirecta, antipirateria e censura

RojadirectaAssume i contorni della telenovela la querelle tra Rojadirecta, popolarissimo sito di indexing di eventi sprotivi in streaming, e le autorità degli Stati Uniti d’America. Ma soprattutto, si evidenziano modalità d’azione nella lotta alla pirateria che troppo spesso sconfinano nel terreno della censura.

Ripercorriamo le tappe della vicenda: nel febbraio 2011 il governo di Washington lanciava l’Operation in Our Sites, una campagna che prevede la disconnessione dei siti ritenuti responsabili di violazione di copyright; tra essi finiva appunto Rojadirecta, il quale veniva oscurato nei suoi domini .org e .com (tutti a utilizzare rojadirecta.es, dunque, vista la sentenza della Corte Suprema spagnola che giudica il sito come intermediario protetto dal “safe harbor europeo”).

Tuttavia, nel giugno 2011 arrivava la contromossa dei legali della startup spagnola Puerto 80, proprietaria del servizio, i quali trascinavano davanti ad un giudice federale i giudici di New York che avevano emesso la sentenza di disconnessione; essi avrebbero commesso un illecito ordinando la chiusura di quello che dovrebbe essere considerato, a detta degli avvocati, un mero servizio di indexing (si chiede in sostanza di essere trattati in America come in Spagna). Puerto 80 diventava così il primo gestore di siti a ribellarsi ad una chiusura ordinata dallo U.S. Immigration and Customs Enforcement (ICE) e dal Department of Justice (DoJ). Nell’agosto 2011 un giudice federale confermava l’oscuramento dei due domini (mentre a novembre arrivavano altri 130 sigilli nell’ambito dell’OinOS).

Poche ore fa, la svolta: un giudice di New York stabilisce la marcia indietro sui domini di Rojadirecta non essendo sufficienti le prove a dimostrazione della “volontarietà nella distribuzione di link alle partite trasmesse in streaming”. Tuttavia, si rimanda di 30 giorni la liberazione dei domini in attesa di nuove prove da parte dell’accusa. Una procedura nuovamente contestata dai legali di Puerto 80, che parlano di abuso e violazione del Primo Emendamento da parte del DoJ, perché tali blocchi sono contemplati nell’ordinamento USA solo in caso di pericolo per la sicurezza nazionale.

La scorsa settimana un caso che dimostra come queste ragioni non siano campate in aria e che questo tipo di battaglie antipirateria siano borderline con la censura: il sito Dajaz1 veniva dissequestrato dopo un anno di sequestro per presunta violazione di copyright senza che fossero date spiegazioni né sul primo né sul secondo provvedimento. Solo il fatto che mancassero prove sul reato; in pratica è stato messo offline e tenuto in quello stato per mesi senza ragioni.

Non solo da noi è aperta la caccia al censore: la battaglia contro le misure arbitrarie delle autorità in materia di copyright è, purtroppo, d’attualità anche nel paese che ha dato i natali alla Rete. 

Update – Mentre resta sotto sequestro la rete di Italianshare, il Tribunale di Roma respinge le richieste avanzate da Mediaset ai danni di Google e riafferma con forza: non si può imporre ad un intermediaro di sorvegliare preventivamente ciò che gli utenti diffondono tramite i suoi spazi online. Punto.

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Facebook ha diritto di riconoscerci?

Riconoscimento Facciale FacebookIl gruppo di lavoro europeo a difesa della privacy Articolo 29 ha aperto un’indagine su Facebook per capire quanto lecita possa essere la nuova funzione di riconoscimento facciale implementata sul social network in blu. In particolare, si contesta al sito di Zuckerberg il fatto che la funzione di default risulti attiva su tutti i profili, cosicché spetta all’utente l’onere di fare in modo che i propri amici non ricevano suggerimenti di tagging sulle foto che lo ritraggono. A parziale discolpa di Facebook, il fatto che i rappresentanti del social network si siano già scusati, per quella che, in ogni caso, è l’ennesima vicenda controversa in materia di privacy che li vede coinvolti. 

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Agenda Digitale, primi bilanci dalla Commissione

Agenda Digitale Neelie KroesAd un anno dall’avvio dell’Agenda Digitale constato con piacere i progressi compiuti. Ma gli stati membri, l’intero settore, la società civile e la Commissione, noi tutti dobbiamo fare di più se vogliamo sfruttare appieno il potenziale dell’Agenda per conservare la competitività europea, stimolare l’innovazione e creare posti di lavoro e prosperità”. Il commissario responsabile Neelie Kroes commenta così i risultati del quadro di valutazione che i vertici dell’Unione hanno diramato in queste ore per fare un primo bilancio dell’Agenda Digitale europea. Un ricco corpus di dati relativi ad ogni singolo stato membro dal quale emergono alcune importanti indicazioni; il 65% dei cittadini europei è connesso alla Rete, il 40% di essi effettua acquisti online, il 41% sfrutta i servizi di e-Government e il digital divide interno è stato ridotto del 4%. Dunque, la strada sembra essere quella giusta per arrivare, come da programma, ad avere entro il 2015 un numero di netizen pari al 75% dei cittadini comunitari e un uso dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni esteso ad almeno metà dei cittadini (e all’80% delle imprese). Anche in tema banda larga vengono sottolineati progressi sul fronte della lotta al rural divide. All’Italia viene riservato un plauso per le iniziative legate all’e-Gov, ma non si risparmiano critiche per il basso numero di utenti abitudinari (48%) e lo scarso utilizzo delle pratiche di commercio elettronico. Il che ci introduce alla nota negativa del rapporto della Commissione: l’e-commerce transfrontaliero è arrivato all’8,8% nel 2010, registrando un aumento del solo 0,7%.

CYBERWAR – Intanto le autorità inglesi sembrano intenzionate ad intraprendere in un futuro molto prossimo la strada che porterà il paese a dotarsi di vere e proprie armi di cyberguerra per difendersi da attacchi esterni. Ancor più concreti i segnali che arrivano dall’altra parte dell’Atlantico, con il Pentagono ad affermare che gli attacchi informatici provenienti da una altro paese possono essere considerati atti di guerra e come tali giustificare risposte convenzionali (bombe e carri armati, per intenderci), soprattutto se l’attacco informatico crea danni e vittime. 

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eG8, bilancio in chiaroscuro

Sarkozy eG8 ForumVolendo riassumere in pochissime parole la due giorni di incontri: nota positiva l’aver parlato delle tematiche della Rete, nota negativa l’aver lasciato la parola per la grandissima parte ad un solo punto di vista, quello delle major (con pochi contraltari tra i quali Jhon Perry Barlow), che poi è quello di Sarkozy. A proposito dell’intervento del presidente francese, segnalo il commento del senatore democratico Vincenzo Vita:

Pericoloso e brillante l’intervento di Sarkozy. Pericoloso perché sul diritto d’autore è stato molto tradizionalista e sulla libertà della rete piuttosto elusivo. E’ stato brillante perché a differenza di Berlusconi, pronuncia bene “Google”, sa parlare di questi argomenti con cognizione anche di linguaggio e risponde alle critiche di chi è in sala senza dirgli che è un comunista. Il governo italiano resta fermo su tv e violazione continua della par condicio mentre qui a Parigi riecheggia “internet come bene comune”. Auspichiamo una ripresa dei temi della rete anche in Italia dove il disegno di legge sulla neutralità è stato depositato in Senato due anni fa e solo da pochi mesi è iniziato l’iter nella commissione competente. In Francia, il disegno di legge sulla net neutrality – sottoscritto da tutti i senatori del Pd – è stato richiesto e con gran piacere ho lasciato il testo della proposta come linee guida”. In Italia c’è ancora tanto da fare per eliminare non solo il digital divide ma quel gap culturale che ci sta allontanando sempre di più dall’Europa e dal villaggio globale.”

UPDATE 26 maggio 2011 – L’avvocato Guido Scorza, tra i rappresentanti del nostro paese all’evento, affida la sua analisi alle colonne di Punto Informatico.

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Se per lo streaming si va in galera

GaleraEra la metà del marzo 2010 quando la “cyberzarina” staunitense Victoria Espinel diramava un documento di 20 pagine nel quale si esprimevano nette posizioni di lotta alla violazione del copyright. In particolare, riconoscendo il peso assunto dallo streaming, ormai ampiamente ai livelli del P2P, la Espinel si dichiara favorevole al considerarlo un crimine, sicuramente non per la gioia di piattaforme come Megavideo. E’ notizia delle ultime ore che il disegno di legge S-978 ha iniziato il suo iter verso la promulgazione che ribalterebbe l’attuale quadro vigente che non prevede la possibilità di considerare un criminale chi viene sorpreso a “streammare” nel territorio degli USA. Nella nuova situazione invece, rischieranno cinque anni di prigione (più multa) coloro i quali saranno considerati responsabili di dieci o più public performance a mezzo elettronico; la galera è prevista anche in casi di riconosciuto valore delle opere fruite (le major ragionano in termini di migliaia di dollari di guadagni persi, anche se sappiamo le difficoltà e le conseguenti arbitrarietà che si nascondo dietro questi calcoli).

E QUESTA E’ CASA MIA – Intanto in California viene presentato un altro progetto di legge, l’SB 242. L’obiettivo è rendere legittimo per i genitori di minori entrare negli account online dei figli per gestirne le impostazioni sulla privacy nel loro interesse. Si vuole inoltre concedere a questi genitori la possibilità di richiedere ai gestori delle piattaforme la cancellazione di contenuti riguardanti la loro prole; chi non ottempera entro 48 ore riceve fino a 10mila dollari di multa. Come prevedibile, ondate di proteste dal mondo delle aziende dell’ICT.

Vinklewoss alla Corte Suprema – Arriva infine la notizia che i gemelli Winklevoss hanno deciso di ricorrere alla Corte Suprema nell’ambito della causa che li vede contrapposti a Facebook

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USA: copyright enforcement

OrdinanzaPermettere a qualsiasi soggetto di ottenere un’ordinanza che porti alla chiusura di uno spazio web. E’ questo l’obiettivo principale del Preventing Real Online Threats to Economic Creativity and Theft of Intellectual Property (PROTECT IP) Act, nuovo disegno di legge sul copyright presentato negli Stati Uniti. In sostanza, ogni detentore di diritto potrebbe arrivare a far chiudere un sito o un servizio senza che intervengano le autorità federali o nazionali. Inoltre, le grandi società di credito sarebbero costrette a bloccare il denaro che tiene in vita le reti incriminate, mentre ai motori di ricerca sarebbe chiesto di eliminare dai risultati i domini colpevoli di permettere la violazione di copyright su larga scala. C’è già chi ha associato il documento all’altro disegno di legge Combating Online Infringement and Counterfeiting Act (COICA), quello che punta a rendere perseguibili a livello civile tutti coloro i quali si macchino di violazione di copyright. Particolarmente dura la posizione di Google in merito: BigG, per bocca del suo chairman Eric Schmidt, dichiarava: “Se ci sarà una richiesta, non la soddisferemo, se sarà una discussione, non vi parteciperemo”. In questo veniva criticato sia dalla MPAA, che lo accusava di sentirsi al di sopra della legge statunitense, sia da RIAA, la quale faceva soprattutto notare come queste posizioni potessero risultare incoerenti; già da mesi infatti da Mountain View sono state oscurate nei servizi Autocomplete e Suggest parole di ricerca come RapidShare su esplicita richiesta dei detentori di diritti. 

OBAMA NON E’ TRASPARENTE – Nel frattempo il chairman della House Oversight and Government Reform Committee, Darrell Issa, solleva al congresso il dibattito sulla trasparenza dell’Amministrazione. A sua detta la legge Presidential Records Act, risalente agli anni ’70, va aggiornata alla luce degli sviluppi occorsi nelle tecnologie di comunicazione. Sotto la lente sopratutto tutte le modalità di interazione tra i funzionari della Casa Bianca che non permettono registrazione e archiviazione dei contenuti scambiati. Un chiaro messaggio a chi, come Barack Obama, della trasparenza governativa a mezzo Internet si è fatto portabandiera dal primo giorno di campagna elettorale.

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Smartphone spioni: istruttorie italiane, udienze americane

Smartphone spioniContinua la saga degli smartphone spioni; l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ha aperto un’istruttoria sul tracciamento operato da iPhone e iPad in merito agli spostamenti degli utenti. Coincidenza, nelle stesse ore si presentavano di fronte al Congresso degli Stati Uniti i rappresentanti di Google, Apple e Microsoft, impegnati a difendersi di fronte all’apposito Comitato formato dai congressman per investigare sulla faccenda. Il focus delle domande è stato l’uso che di questi dati hanno fatto le aziende; la Apple ha ribadito che, al di là dell’aver già provveduto all’eliminazione di “consolidated.db” con l’aggiornamento 4.3.3 di iOS, il lungo periodo di conservazione dei dati è frutto di una svista in fase di programmazione e che comunque Cupertino non ha mai avuto accesso a quei file. La Microsoft ha invece centrato le proprie tesi sulla limitatezza delle quantità di dati raccolte e sul consenso esplicito richiesto ogni volta agli utenti. Infine, Google ha dichiarato che i dati raccolti sono stati sfruttati solo per migliorare i servizi, e dunque nell’interesse dell’utenza stessa.

Le argomentazioni dei colossi non sembrano però aver convinto tutti al Congresso, tanto che la rappresentante della Federal Trade Commission (FTC) Jessica Rich ha manifestato l’intenzione di aprire un’indagine sulla Apple.

 FACEBOOK PERDE DATI – Anche il social network di Zuckerberg è alle prese con una nuova grana legata alla privacy; sul blog ufficiale della Symantec Facebook è infatti accusato di aver concesso per anni a soggetti terzi l’accesso a profili, chat e foto per la messa a punto di database spendibili in ottica di behavioral advertisign. Colpevoli sarebbero applicazioni che provocavano una perdita di dati verso l’esterno del sito; la Symantec stima che ad aprile 2011 esse erano 110mila. Facebook fa sapere di aver già rimosso le Api (Application Programming Interface) incriminate, mentre l’Adoc, associazione a tutela dei consumatori, fa sapere per bocca del presidente Carlo Pileri di aver “richiesto al Garante della privacy di verificare immediatamente la possibile fuga di dati sensibili da Facebook” e “alla società californiana di fornire al più presto chiarimenti sulla questione”, giudicata da Pileri “una grave violazione della privacy, dalle dimensioni mostruose […] Dopo l’attacco di hacker a Sony, che ha messo a rischio i dati di circa 100 milioni di utenti nel mondo, un’eventuale perdita di dati da Facebook costringerebbe a ripensare, a livello internazionale, i sistemi di protezione e sicurezza dei dati online degli utenti”.

UPDATE 17 maggio 2011 – Facebook lancia un ultimatum agli sviluppatori che avranno così 48 ore di tempo per rimediare alla fuoriuscita di dati, che a detta dei soci di Zuckerberg si porrebbe in contrasto proprio con le condizioni d’uso del sito. Il tutto in attesa di passare, dal primo settembre 2011, ai parametri del nuovo standard di sicurezza Oauth 2.0 . Nelle stesse ore il social network in blu riceve un’assoluzione in California: le richieste di risarcimento danni di due utenti, che avevano accusato Facebook di aver reso disponibili alcuni loro dati sensibili a siti terzi, non può essere accolta perché non ci sono prove che questa dinamica abbia generato un danno.

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La Volpe non si muove senza ordini di un giudice

Mozilla FirefoxMozilla non ha nessuna intenzione di rimuovere dal suo browser Firefox l’estensione MAFIAA, che permette il reindirizzamento automatico verso i nuovi indirizzi dei siti bloccati perché ritenuti in violazione di copyright.Harvey Anderson,consigliere generale della Foundation di Mountain View, ha così risposto agli uomini dello U.S. Department of Homeland Security (DHS), affermando che lo strumento di aggiramento dei sigilli governativi (che ha ottenuto 6000 download in poche settimane) resterà lì finché ad ordinare la rimozione non sarà un’ordinanza firmata da un giudice. Dunque, Anderson e soci pongono cruciali interrogativi alle agenzie governative in merito a chi, come e quando può ordinare la rimozione di contenuti e strumenti dell’online senza che ciò possa essere considerato censura o mera accondiscendenza alle richieste dei detentori di diritti.

DO NOT TRACK – Viene intanto approvato in California il disegno di legge SB 761, che contiene importanti disposizioni tese a permettere agli utenti di non essere tracciati durante la navigazioni e difendersi così dalla pubblicità comportamentale. Alle società dell’online sarebbe così vietato tracciare senza esplicito consenso degli utenti; ora ad esprimersi sarà il Senato di Washington. 

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IP non è ID

Indirizzo IPArriva dal Tribunale dell’Illinois una sentenza che stabilisce un principio importantissimo: un indirizzo IP non corrisponde ad un colpevole. La corte si è espressa in merito al caso della società canadese specializzata in contenuti per adulti VPR International, la quale aveva denunciato più di mille netizen per la loro attività di file sharing. I singoli utenti erano stati rintracciati grazie agli IP forniti dai provider. Agli utenti stessi si richiedeva peraltro di pagare una piccola somma per non essere portati in tribunale.

Il giudice dichiara così inattendibile l’associazione indirizzo IP – singolo utente, citando a proposito il caso di un uomo di Buffalo accusato in aprile di pedopornografia online, accusa decaduta alla scoperta che qualcuno aveva usato la sua rete WiFi non protetta per commettere il reato. Chiaro che anche questa delle reti non protette è una spinosa questione ancora tutta da risolvere e che viene complicata da questa decisione che sembra costringere i detentori di diritti ad un radicale cambio di strategia nella lotta alla pirateria in terra statunitense.

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Se il governo scrive sotto dettatura delle major

Le major dettano al governoSpecial 301 è il rapporto con i quali i vertici dell’Office of the United States Trade Representative (USTR) analizzano lo stato della proprietà intellettuale nei vari paesi del mondo. Da questa analisi si ricava una Priority Watch List che ricomprende le nazioni nelle quali le violazioni di copyright sono più massicce; quest’anno sul podio finiscono Cina, Russia e Canada (il cui governo sarebbe responsabile di non aver aggiornato le leggi in materia di tutela del diritto d’autore come stabilito dagli accordi WIPO del 1997). L’Italia è presente nella lista da dieci anni; quest’anno l’USTR accusa il nostro Garante della Privacy di anteporre il diritto alla riservatezza degli utenti a quello di monitoraggio delle reti di file sharing e P2P riservato alle autorità di controllo. Tuttavia, si esprime un aperto plauso per le politiche di organismi come l’Agcom, che con le delibere 606/10/CONS e 607/10/CONS di fine 2010 avrebbe imboccato la strada giusta verso la lotta alla violazione di copyright. Ma qui viene da pensare alle polemiche che nel nostro paese hanno investito questi tentativi di regolamentazione così poco attenti ai bisogni degli utenti e dello sviluppo della Rete e invece così aderenti alle richieste di major ed interessi economici. E così, l’avvocato Guido Scorza mette in luce quanto l’impostazione, le argomentazione e interi periodi dello Special 301 siano ricalcati sulle posizioni che i rappresentanti dell’industria statunitense del copyright hanno inviato agli estensori del documento. I giudizi sull’Italia sembrano così essere stati scritti sotto dettatura di chi rappresenta gli interessi delle major, sia negli apprezzamenti alle iniziative dell’Agcom, sia nelle critiche mosse alla giustizia nostrana (che vanificherebbe i lodevoli sforzi delle forze dell’ordine), sia nelle suddette critiche al Garante della Privacy.

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Propaganda antipirateria

E se il tuo scaricare film significasse far perdere il posto di lavoro, ad esempio, ad un microfonista?

In sostanza, è questa la domanda che viene rivolta ai netizen americani dal filmato frutto di una collaborazione tra lo U.S. Immigration and Customs Enforcement (ICE) e l’Homeland Security Investigations (HSI). Il video rientra nell’Operation In Our Sites, ampia strategia contro la pirateria online in terra statunitense, e dopo essere stato caricato su Youtube è ora visibile in molti dei domini sequestrati in passato dalle autorità a stelle e strisce. Un finto venditore ambulante chiede ad un uomo intenzionato a comprare DVD pirata se “non ha un’anima” mentre definisce una “bella persona” una ragazza che rifiuta l’acquisto. Il filmato comunque, è stato fatto notare, somiglia molto ad uno già utilizzato in passato dalla Motion Picture American Association (MPAA).

NO AL RECUPERO SOCIAL – Intanto un tribunale della California ha stabilito che le agenzie di recupero crediti non possono utilizzare Facebook e gli altri social network per le richieste di pagamento dei debiti. La decisione arriva in merito alla vicenda di una donna pressata a dismisura sul social di Zuckerberg dall’agenzia MarkOne. Dunque, da oggi per le reti di socialità varranno le stesse limitazioni applicate in materia di SMS. 

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Dov’è finita l’Agenda Digitale?

Agenda DigitaleHo ricevuto stamattina una email da Agenda Digitale, l’iniziativa pubblica che si pone l’obiettivo di portare le questioni relative alle nuove tecnologie al centro del dibattito politico nazionale, chiedendo alla politica di assumersi le sue responsabilità. Mi si ricordava come l’11 maggio scadessero i 100 giorni indicati “per ricevere dalla politica le proposte concrete necessarie per dare finalmente una strategia per il digitale al nostro paese”. Dopo avermi segnalato “alcune importanti iniziative” (“Resetting Italia”, “Rinascimento digitale” e l’incontro del 10 maggio promosso dall’Agenzia per l’Innovazione presso il Forum PA), il messaggio si chiudeva così: ”Chi ha seguito la nostra iniziativa sa che abbiamo ricevuto dai partiti e dalle istituzioni molte dichiarazioni di sostegno, impegni al confronto, qualche polemica e, perfino, alcune proposte. Tuttavia, nonostante numerosissime adesioni, articoli di stampa, interviste in radio e tv, e il sostegno di tante personalità della rete (e non solo), non vediamo ancora le azioni concrete da noi auspicate. In particolare, il tema del digitale è ancora posto ai margini della discussione pubblica mentre noi tutti siamo convinti che esso debba essere posto al centro di qualunque discussione attorno al futuro del paese”. Il che dice tutto a proposito.

CLOUD SECURITY – Diventa intanto attualissimo il tema della sicurezza nell’ambito del cloud computing alla luce degli “infortuni” capitati alle reti di PlayStation e Aruba. Episodi che non sembrano comunque causare ripensamenti e marce indietro; la Apple, ad esempio, ha da poche ore acquistato il dominio iCloud, mentre il responsabile marketing di PalyStation Italia Andrea Cuneo afferma: “Si tratta di un progresso (quello del cloud, nda) che non può essere bloccato da un’incidente , seppur grave. Così come i virus non hanno certo fermato lo sviluppo di Windows, anzi, l’incursione nei nostri server renderà le porte di ingresso ai nostri servizi online meglio difese”. Il tema delle “nuvole” sarà anche quello centrale nel prossimo e-piracy, il convegno dedicato ai problemi della tutela dei dati personali nell’era digitale, che si svolgerà presso il Palazzo Vecchio di Firenze il 3 e 4 giugno 2011.

A proposito di difese: l’Icann, l’ente internazionale che sovrintende all’assegnazione degli indirizzi Internet, ha un nuovo capo della sicurezza. Si tratta del 41enne Jeff Moss, il leggendario hacker conosciuto con il nome di battaglia “Dark Tangent”. In realtà il capitolo “pirata informatico” nella vita di Moss sembra essersi chiuso già da anni, e dopo aver collaborato con aziende leader nella messa a punto di sistemi di sicurezza per le reti aziendali, è stato nominato nel 2008 membro dell’”Homeland Security Council” americano da Barack Obama in persona. “Dark Tangent” entra all’Icann anche con il ruolo di vicepresidente. Ha dichiarato Rod Beckstrom, presidente e amministratore delegato dell’Internet Corporation for Assigned Name and Numbers: “Non posso immaginare nessun altro che abbia le conoscenze di cui dispone Moss. Solo lui é in grado di captare per tempo i pericoli e difenderci dagli attacchi informatici”.  

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La difesa di Jobs. Che non basta

la difesa di JobsSarebbe una mancanza degli sviluppatori la causa della presenza del file che registra i dati di localizzazione degli utenti di iPhone. In sostanza, Apple ammette di aver dimenticato di mettere un limite temporale alla conservazione, che al momento vede registrato fino ad un anno di cronologia. E’ poi colpa di un bug se le informazioni di geolocalizzazione vengono incamerate anche con la relativa funzione spenta. Tuttavia, gli utenti possono comunque tranquillizzarsi perché i dati raccolti non sono associabili ad un singolo dispositivo, ma sono aggregati anonimi che Cupertino usa per lo sviluppo dei software, per la risoluzione dei problemi nonché per la messa a punto delle pubblicità di iAd. Lo stesso Jobs, in un’intervista al settimanale Mobilized, afferma: “Non seguiamo nessuno. I file trovati nei telefoni, come abbiamo spiegato, erano sostanzialmente creati attraverso informazioni anonime che raccogliamo da decine di milioni di iPhone”. Il numero uno di Apple giustifica poi così l’accaduto:”Quando una nuova tecnologia fa il suo ingresso c’è un periodo di aggiustamento e di insegnamento”. Dulcis in fundo, consolidated.db, il file incriminato, verrà cancellato con il prossimo aggiornamento di iOS.

PAROLE SOLTANTO PAROLE? – Di sicuro non basteranno le parole giunte da Cupertino a chiudere la questione. Analoghe prese di posizione sono attese anche da Google e Microsoft, e le iniziative legali già intraprese in più parti del mondo spingono a credere che la vicenda sarà ancora lunga. Anche alla luce di chi allarga il raggio della questione accusando Mountain View e Cupertino di manovrare illecitamente i dati di localizzazione raccolti dai Pc sfruttando interazioni tra reti WiFi e browser come Chrome. Il problema risiederebbe nell’opacità che ricopre l’utilizzo che di questi dati viene fatto dalle aziende dopo aver ricevuto comunque il consenso degli utenti alla loro raccolta.

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