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E anche Libero soccombe a Mediaset

MediasetUna nuova vittoria per Mediaset: il Tribunale di Milano ha condannato il portale Libero.it a rimuovere un migliaio di filmati che appartengono alle reti di Cologno Monzese. A nulla sono valsi i tentativi dei legali dello spazio online di dimostrare la posizione di mero intermediario del “proprio assistito”: il giudice ha infatti sancito che il servizio “sarebbe stato dolosamente inadempiente agli obblighi di diligenza su di esso incombenti pur avendo avuto contezza del contenuto illecito di materiali inviati da utenti”, soprattutto per il fine di lucro che perseguiva abbinando spazi pubblicitari ai contenuti incriminati. La Wind, proprietaria di Libero, rischia ora una sanzione pecuniaria fino a 100 milioni di euro.

La vicenda ricalca molto da vicino quella già vista quattro anni fa; la ricostruisco: nel luglio 2008 Mediaset deposita al tribunale Civile di Roma un atto di citazione nei confronti di Google, proprietaria di Youtube, chiedendogli un risarcimento danni di 500 milioni di euro. Il reato contestato è “illecita diffusione e sfruttamento commerciale di file audio-video di proprietà delle società del gruppo”. L’azienda della famiglia Berlusconi spiega così, in un comunicato, la sua decisione: “alla data del 10 giugno 2008, dalla rilevazione a campione effettuata da Mediaset sono stati infatti individuati sul sito Youtube almeno 4.643 filmati di nostra proprietà, pari a oltre 325 ore di materiale emesso senza possedere i diritti. Alla luce dei contatti rilevati e vista la quantità dei documenti presenti illecitamente sul sito è possibile stabilire che le tre reti televisive italiane del gruppo abbiano perduto ben 315.672 giornate di visione da parte dei telespettatori”. Tra il 16 dicembre 2009 e il febbraio 2010 due ordinanze del tribunale danno parziale ragione a Mediaset, condannando Youtube a rimuovere dal sito tutti i frammenti della trasmissione “Grande Fratello”, vero argomento della disputa. Simile epilogo nell’omologo processo che vedeva contrapposti in Spagna il colosso di Mountain View e l’emittente televisiva Telecinco, anch’essa controllata da Mediaset.

Bisgona però segnalare una certa distanza tra la sentenza del tribunale di Roma e quella di Madrid in merito alle dispute tra Youtube e le reti televisive: nella seconda si chiarisce a chiare lettere che l’intermediario passivo non può mai essere colpevolizzato a meno che i titolari di diritto d’autore non provino di aver infruttuosamente provato ad utilizzare le procedure di segnalazione e rimozione dei video rese disponibili agli utenti, e che la produzione di un lucro non cambia questo quadro; nella prima si propende invece verso una valutazione delle responsabilità caso per caso e si affermacome non apparirebbe “nemmeno ragionevole sostenere l’assoluta estraneità alla commissione dell’illecito posto che le reclamanti (n.d.r. Google e YouTube) hanno continuato la trasmissione del Grande Fratello nei loro siti internet, organizzando la gestione dei contenuti video anche a fini pubblicitari, nonostante le ripetute diffide ed azioni giudiziarie iniziate da RTI che rivendicava la paternità e titolarità dell’opera, né può farsi carico a RTI che agisce per la tutela dei propri diritti di fornire alle reclamanti i riferimenti necessari alla esatta individuazione dei singoli materiali caricati sulla piattaforma URLs”. In pratica, si toglie un pezzo di onere al detentore di diritti accollandolo all’intermediario, pur assolvendolo perché comunque più forti gli argomenti cardine del regime imposto dalla direttiva europea 2000/31/CE (sulla “Responsabilità dei prestatori intermediari”, recepita in Italia dal D.lgs. n. 70/2003 che disciplina i “servizi della società dell’informazione”) la quale agli articoli dal 12 al 15, stabilisce principi fondamentali: da essi si evince come gli intermediari che hanno un ruolo passivo (e dunque non fanno attività editoriale di alcun tipo) siano esonerati da qualunque responsabilità nella misura in cui provvedono semplicemente al “trasporto” di informazioni provenienti da terzi. Inoltre, viene limitata la responsabilità dei prestatori di servizi per altre attività intermediarie come l’archiviazione delle informazioni. In altri termini, i fornitori d’infrastruttura e i fornitori d’accesso non potranno essere ritenuti responsabili delle informazioni trasmesse, purché non diano origine alla trasmissione e non selezionino il destinatario della trasmissione o le informazioni trasmesse. Questo regime “assolutorio” è valido però solo nel caso in cui i servizi di hosting, gli ISP e i content provider si impegnino in una tempestiva e proficua collaborazione con le forze dell’ordine e le autorità per la rimozione e il blocco dei contenuti incriminati, nonché per la fornitura dei dati necessari all’individuazione dei colpevoli.

BIVI – Segnalo due importanti date che si avvicinano: il 25 giugno il ministro Paolo Romani pubblicherà il disciplinare definitivo per l’assegnazione di nuove frequenze alla banda larga mobile, con l’asta che dovrebbe concludersi entro settembre; e il 21 giungo, giorno nel quale il ministero allo Sviluppo Economico presenterà (in ritardo di un paio di mesi) il primo piano della società pubblico-privata che farà da sfondo al progetto di Next Generation Networking (NGN).

UPDATE 22 giugno 2011 – Il Comitato esecutivo per l’NGN ha presentato agli operatori di telecomunicazioni riuniti al Tavolo Romani il programma per la costituzione della società FiberCo, la società a partenariato pubblico (Cassa Depositi e Prestiti) e privato che dovrà gestire la messa a punto della rete di nuova generazione. Ai suddetti operatori viene concessa una settimana di tempo per valutare il piano che punta a connettere alla fibra il 50% delle “unità immobiliari” entro al fine del 2020. Nel programma è presente anche una clausola che rende possibile per Telecom accaparrarsi il controllo dell’infrastruttura una volta terminato lo switch dal rame alla fibra. 

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Google Suggest: bisogna filtrare

Il Tribunale di Milano ha imposto a Google la rimozione di alcuni risultati del suo servizio di suggerimento durante la digitazione delle chiavi di ricerca. La decisione arriva dopo la denuncia di un imprenditore del settore finanziario, il quale vedeva apparire vicino al suo nome le parole “truffa” e “truffatore”; il Tribunale ha stabilito che la dinamica genera diffamazione: “L’utente che legge tale abbinamento è indotto immediatamente a dubitare dell’integrità morale del soggetto il cui nome appare associato a tali parole ed a sospettare una condotta non lecita da parte dello stesso”. A nulla sono valse le tesi di Google basate su un presunto “utente intelligente” in grado di di interpretare da solo questo tipo di contenuti, situazione che secondo il giudice non ha riscontri effettivi. BigG non è nuova a questo tipo di sentenze (casi analoghi sono successi in Francia,  Svezia e Brasile), ma le garanzie previste dalla direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE (sulla “Responsabilità dei prestatori intermediari”, recepita in Italia dal D.lgs. n. 70/2003 che disciplina i “servizi della società dell’informazione”) sembrano in questo caso vacillare, almeno stando agli argomenti dell’accusa.

Google Suggest

Il risultato infatti è una diretta applicazione di un software messo a punto da Google, che inoltre non solo non ha provveduto all’implementazione di filtri ma ha anche ignorato le precedenti segnalazioni del ricorrente nonché un’ordinanza del Tribunale di Milano del gennaio 2011, contro il quale Google aveva presentato reclamo. Il giudice condanna così BigG al pagamento di 1.500 euro per i diritti lesi e 2.300 per onorari vari e spese legali, dopo aver presentato un’analisi della posizione di Google che risultava così non un mero motore di ricerca ma anche una banca dati; il materiale della suddetta banca dati non è dunque genericamente su Interne ed è inoltre associato proprio dalla funzionalità “Autocomplete” frutto del servizio di Google. In ogni caso il giudice sottolinea come ad esso non si chieda un filtraggio preventivo sui contenuti che emergono dal Suggest/Autocomplete ma di intervenire a posteriori su segnalazione.

UPDATE 7 aprile: il commento di Guido Scorza.

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