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I post in stand by, la mappa dei materiali, le nuove avventure

Lareteingabbia si prende una pausa, ma non lo fa chi cura il blog. In realtà era già da tempo che la sezione dedicata ai post non veniva aggiornata, tanto da rendere quasi tardiva una tale precisazione. Tuttavia, è l’occasione per informare chi legge che questo stand by non ha coinvolto la sezione “Tutto quello che c’è da sapere“; i materiali ospitati sul blog sono stati infatti aggiornati e da questo momento saranno anche localizzati su una mappa; clicca sull’immagine qui sotto per aprirla a tutto schermo e consultare gli ultimi pdf condivisi.

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Inoltre, chi avesse voglia di seguirmi altrove troverà di sicuro interesse gli approfondimenti radiofonici settimanali ai quali collaboro nella trasmissione di Radio Radicale Presi per il Web.

Buon ascolto!

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La “salva Sallusti” senza “ammazza blog”

La “salva Sallusti” è stata approvata da poche ore dalla commissione Giustizia del Senato e si prepara all’esame dell’aula. Tra le disposizioni previste nel testo, l’obbligo di rettifica per le testate telematiche. Questa spada di Damocle che ormai da anni si ripresenta sulla testa di chi scrive sul Web sembra tuttavia aver perso la sua caratteristica più minacciosa; resterebbero infatti esclusi dagli obblighi di rettifica entro 48 ore i blog e i siti che hanno carattere informativo ma che non sono registrati come testate.

Dunque, di nuovo arginati i più censori e pericolosi intenti di quella parte del nostro universo politico sempre pronta a usare il manganello contro chi affida ai bit il proprio pensiero? Vedremo. Sembra intanto ribadita l’impostazione che vede l’obbligo di registrazione delle testate telematiche e il rispetto di tutti gli oneri che ne derivano come passaggio meramente amministrativo del quale devono farsi carico solo coloro che voglio accedere ai contributi pubblici dell’editoria, come ha più volte stabilito la Corte di Cassazione.

Ma c’è da vigilare sul prossimo passaggio istituzionale prima di dirsi certi che questa sia una buona notizia per l’informazione online.

Update 24 ottobre – Come volevasi dimostrare, Guido Scorza informasul fatto che in realtà quegli intenti censori restano intatti in altre forme. 

E arriva il diritto all’oblio, che se non rispettato si traduce in multe salate. Anche per i blog. Ma c’è chi non la vede così nera

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Acta, game over?

Quasi dispiace per tutte le lobbies e tutti gli organismi che per anni ne hanno discusso in gran segreto dietro porte chiuse dalle quali uscivano solo stralci di testo oscurati e fuorvianti. Ma Acta è stato bocciato dal Parlamento Europeo con una maggioranza schiacciante, dopo aver preso mazzate in tutte le commissioni per le quali era transitato e aver scontato la chiusura da parte di paesi come Germania, Svizzera, Polonia, Bulgaria e Paesi Bassi. La speranza è che la presa di posizione dell’Europarlamento si tramuti in uno sforzo volto a riportare la discussione sulla riforma del copyright nei luoghi deputati alla rappresentanza del popolo sovrano.

Chi rifiuta Acta chiede solo l’apertura del dibattito su un nuovo regime di diritto d’autore a tutti gli stakeholders. Nessuno vuole legalizzare la pirateria in quanto tale, ma solo mettere a punto un sistema di tutela delle opere e dei loro autori che sia in grado di rispondere a tutti (tutti!) i soggetti che interagiscono in un contesto digitale.

Uno scenario da augurarsi anche guardando al Parlamento di casa nostra, così densamente popolato di omini pronti ad assecondare il volere di questa e quella major (e dei signori della Siae) e sempre più in difficoltà nel vedere che finalmente lo strumento contro il quale combattono riesce ad ottenere delle schiaccianti vittorie.

I promotori di Acta ci proveranno ancora, come tanti Giovanni Fava sparsi per il mondo. Ma lo faranno con la consapevolezza di poter essere battuti nelle sedi di più alto livello istituzionale. Ma soprattutto noi saremo consapevoli di poterli andare a prendere lì e lì schiacciarne i peggiori intenti.

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Non siamo clandestini

Un blogger non deve registrare il suo spazio online come una testata tradizionale, non è sottoposto a disposizioni della legge sulla stampa come, per dirne una, l’obbligo di rettifica, e la sua “creatura” non rientra tra i prodotti editoriali discilipnati dalla 62/2001. A sancirlo è la Corte di Cassazione, che ieri ha messo la parola fine al procedimento che vedeva imputato il giornalista di Accadeinsicilia Carlo Ruta, che viene ora assolto dal reato di stampa clandestina perché “il fatto non sussiste”. Si scrive così un’importante pagina della regolamentazione della Rete nostrana.

Alla fine del maggio 2011 Ruta è stato condannato dalla prima sezione della Corte d’Appello di Catania per il reato di stampa clandestina, disciplinato dall’articolo 16 della legge sulla stampa (n.47 dell’8 febbraio 1948). Già condannato dal tribunale di Modica nel 2008, Ruta è impegnato in inchieste riguardanti politica e collusioni con la mafia. Era stato citato in giudizio dal procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera, che si riteneva danneggiato dai contenuti dello spazio online. A Catania si stabiliva ora che il blog necessitava di una registrazione presso un tribunale perché equiparato ad un giornale cartaceo; in mancanza di registrazione avrebbe dunque operato in clandestinità.

Adesso la Suprema Corte ribalta tutto e cancella una delle spade di Damocle che pendevano sulla testa dei blogger. Restano vive le altre, e la citazione iniziale dell’obbligo di rettifica non è casuale. Vero, ministro Severino?

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La resa di Calabrò e l’intervento dell’Onu

Confindustria e Fimi se ne facciano una ragione, ma stavolta abbiamo vinto noi. Ed è stata una grossa battaglia, che rischiava di essere vanificata da un governo di tecnici che dopo i vaneggiamenti è passato al silenzio, per decidere, infine, di non sporcarsi le mani. Pur contribuendo a rimettere subito le formazioni in trincea avallando la mancanza di trasparenza nelle nomine dei nuovi commissari Agcom, tanto da costringere l’Onu ad intervenire.

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Ministro Severino, non ci siamo

Paola Severino, ministro della GiustiziaRubo dal blog di Massimo Mantellini questo passaggio dell’intervento del ministro della Giustizia Paola Severino al festival del giornalismo di Perugia. Come giusto e prevedibile la Severino ha dovuto rispondere alle domande sulla reintroduzione dell’ “ammazza blog”, tra le quali quella del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, che si chiede perché una così marcata penalizzazione dei “diari online”. Così il ministro:

Vede per quanto riguarda i blog il problema non è certo quello di vederli con sfavore; il problema è di reprimere anche lì l’abuso.
 Cosa che è più difficile perché il giornale ha una sua consistenza cartacea, il giornalista è individuabile, l’editore anche, dunque è possibile intervenire. Il blog ha una diffusione assolutamente non controllata e non controllabile ed è capace di provocare dei danni estremamente più ampi del giornale, estremamente più diffusi.
 Ecco perché io dicevo che bisogna vederne anche la parte oscura. E’ un fenomeno sicuramente positivo per certi aspetti, ma è un fenomeno nel quale si possono annidare tante cose negative. Può essere per esempio un punto criminogeno. L’anonimato che spesso accompagna questo tipo di comunicazione può anche incentivare all’uscita delle pulsioni… alla manifestazione delle pulsioni più oscure e normalmente represse, lo abbiamo constatato in tanti casi: Facebook come punto d’incontro e come punto dal quale poi nascono incontri che hanno conclusioni criminose estremamente gravi.
Quindi non si tratta certamente di un preconcetto; si tratta della sensazione che questo mondo vada regolamentato.
Che pur nella spontaneità che ne rappresenta la caratteristica non possa trasformarsi in arbitrio: e questo credo che sia un messaggio importante.

Dunque, partendo dall’inizio, secondo il ministro un blogger è incontrollabile solo perché può essere anonimo. Non serve spendere troppe parole sulla genericità di tale affermazione.

Il punto più preoccupante è il quadro che dipinge il ministro secondo il quale la blogsfera sarebbe totalmente deregolamentata. Insomma, non esisterebbe la possibilità di applicare norme che già esistono per reati (nel suo linguaggio “abusi”) come la calunnia o la diffamazione. Secondo la Severino invece bisogna importare altre regole, tra le quali, appunto, quell’obbligo di rettifica che non si consiclia assolutamente con l’attività del blogger, almeno non nei tempi e nei modi indicati dal famigerato comma figlio del precedente governo.

Voler considerare per forza la Rete come un far west gioca solo a favore di chi vuole imporle regole scellerate e deleterie della libertà di informazione; e in Italia abbiamo decine di esempi di settori iper regolamentati ma che dall’elefantiasi di norme, codici e codicilli hanno ricavato solo ingessatura da un lato e scorciatoie per i più furbi dall’altro.

Che poi l’opera di filtro critico esercitato dai giornalisti-Giornalisti e dai grandi giornali sulle notizie sia ancora scandalosamente necessaria è fuori dubbio (anzi lo è ancor più di prima; più aumenta la complessità della realtà circostante più si rende necessario tale esercizio di analisi e sistematizzazione); ma da qui a pensare che bisogna regolamentare le “pulsioni” di blogger e frequentatori dei social network francamente ci passa l’abisso che divide un buona governante da un finto educatore e pseudo psicologo sociale.

Dunque, ministro, faccia semplicemente ammenda e ritiri l’ammazza-blog. Sarebbe un bel gesto tecnico, e gliene saremmo grati.

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Secondo indizio

No alla legge bavaglioE così ci tocca esporlo di nuovo, questo post-it. Pensavamo di averlo attaccato sul fascicolo realtivo al governo Berlusconi, quello riposto nell’archivio delle nefandezze digitali provenienti dai palazzi della politica italiana. Invece dobbiamo constatare che l’esecutivo guidato da Monti, dopo aver teso una mano ai progetti censori dell’Agcom e del suo presidentissimo Corrado Calabrò, riporta in vita il famoso “ammazza blog”, la norma che, contenuta nella bozza del decreto giustizia, obbligherebbe i gestori di qualunque sito Internet alla rettifica così come è regolata per le testate registrate come tali, con prevedibili effetti di deterrenza su tutto quell’universo di commentatori e freelance della Rete nostrana.

Sembra che la “cabina di regia” sull’Agenda Digitale sia una cella di sicurezza dentro la quale sono stati chiusi ambiziosi progetti intorno ai quali continua a crescere la stessa malerba degli attacchi alla Rete contro la quale siamo costretti a lottare da anni.

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Paniz si rassegni allo stato di diritto

Il provvedimento di inibizione DNS e IP oggetto dell’ordine di esecuzione firmato dal pubblico ministero è eccessivo rispetto al fine da tutelare, ovvero l’onorabilità di qualsiasi individuo, nella fattispecie l’On Maurizio Paniz. In particolare il Tribunale ha affermato:

‘Le modalità di esecuzione rendono evidente, nei limiti del fumus richiesto dal sequestro, l’eccessività contenutistica del disposto sequestro preventivo in relazione al fine che doveva essere tutelato (l’onorabilità dell’On Paniz), in riferimento alla frase di natura oggettivamente offensiva’

È bello apprendere dall’avvocato Fulvio Sarzana che il Tribunale della Libertà di Belluno ha a cuore le tutele costituzionalmente garantite alla libertà d’espressione, molto più di chi ha sequestrato il sito Vajont.info e di chi, dopo averne denunciato gli amministratori per una frase ritenuta diffamatoria, aveva esultato per il provvedimento. Ed è bello che per la seconda volta in sede di giudizio vengano accolte le ragioni dei provider.

A dirla tutta, Paniz potrà rassegnarsi facilmente, in realtà. Al provvedimento di dissequestro dell’intero sito si affianca infatti il permanere dell’oscuramento della frase incriminata e la condanna dell’amministratore del sito Tiziano Del Farra a pagare una multa di 900 euro e un risarcimento danni di 10mila all’onorevole.

In pratica la misura che il giudice avrebbe dovuto prendere all’inizio senza scatenare sequestri e dissequestri. Se c’è una frase diffamatoria su un sito, è giusto che la si tolga, e si condanni chi l’ha scritta; ma il resto dei (perfettamente leciti) contenuti va lasciato a disposizione degli utenti.

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Against ACTA. Again

Incollo qui sotto l’email che mi è arrivata dai ragazzi di Avaaz in merito alla nuova raccolta firme contro il cammino europeo di ACTA:

Cari amici in Europa,

Fra pochi giorni la Commissione europea giocherà la sua ultima carta per rilanciare ACTA, ma se interverremo subito potremo neutralizzare questo attacco mondiale alla libertà di internet.

Siamo vicini alla vittoria: la nostra petizione forte di 2,4 milioni di firmeha scosso i politici in tutta Europa e fermato i censori. Ora però la Commissione europea è sulla difensiva e si è rivolta alla Corte di giustizia sperando di ricevere un orientamento positivo su ACTA, visto che ha presentato una questione di legalità molto limitata.

Ma se uniremo le nostre voci ora potremo far sì che la Corte prenda in considerazione tutte le conseguenze legali di ACTA e che rilasci una valutazione che dica la verità sull’attacco di ACTA ai nostri diritti. Firma la petizione urgente al Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso per chiedere alla Corte di dire tutta la verità:

http://www.avaaz.org/it/acta_time_to_win_eu//?vl

La Commissione europea ha passato 5 anni a negoziare in segreto ACTA con le multinazionali, ma nelle ultime 5 settimane siamo riusciti a portare il dibattito di ACTA allo scoperto. Ora la Commissione sta facendo il possibile per ottenere il via libera della Corte di giustizia per evitare il naufragio di ACTA . La Commissione, esperta in sotterfugi burocratici, potrebbe presentare alla Corte soltanto una questione molto limitata, prevenendo così il giudizio di legalità sulle conseguenze di ACTA sulla nostra libertà di espressione, privacy e democrazia.

Abbiamo costretto i governi di Polonia, Germania, Bulgaria e altri paesi a sospendere la ratifica. E ora se vinceremo questa battaglia alla Commissione europea potremo fermare ACTA una volta per tutte . Se l’Ue non ratificherà ACTA, questo non potrà mai diventare un trattato globale e i negoziatori dovranno rimettersi al tavolo per produrre un accordo che contrasti gli abusi ma allo stesso tempo protegga i nostri diritti.

Chiediamo con urgenza alla Commissione e alla Corte di dedicare ad ACTA un’udienza completa ed equa, per garantire che sia raccontata tutta la verità su questo pericolo alle nostre libertà fondamentali. Firma ora e gira questo messaggio a tutti:

http://www.avaaz.org/it/acta_time_to_win_eu//?vl

Milioni di noi hanno partecipato alla battaglia per la libertà di internet e per fermare le leggi bavaglio degli Stati Uniti. Abbiamo vinto, ma ora il pericolo è in agguato con ACTA. Nessuno credeva che saremmo riusciti a fare quello che abbiamo fatto: insieme abbiamo fermato la marcia del trattato verso la ratifica. Portiamo a termine quanto abbiamo cominciato e sconfiggiamo ACTA una volta per tutte!

Con speranza e determinazione,

Alex, Pascal, Laura, Alice, Ricken, Dalia, Diego e tutto il team di Avaaz

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Diffamato, defacciato

Ecco cosa appare in queste ore andando sul sito dell’onorevole Maurizio Paniz, il quale, insieme al suo collega Domenico Scilipoti, ha querelato per diffamazione il sito Vajont.info.

Non è in discussione il sacrosanto diritto dei due a tutelare la propria dignità, ma il sito in questione è stato sequestrato e tutti i contenuti da esso ospitati resi irraggiungibili, tutti. Per una sola frase ritenuta diffamatoria. Senza contare ulteriori effetti collaterali di una simile mostruosità. È un attentato alla libertà di parola che nella vita “materiale” scatenerebbe manifestazioni mastodontiche in piazza. Ecco, sarebbe ora che si reagisse alla stessa maniera per gli abusi che le autorità compiono in Rete e che non ci si indignasse solo quando un giornale cartaceo “antagonista” è costretto a chiudere per fallimento.

Update 20 febbraio – Il testo del provvedimeto di sequestro preventivo (prendo da Fulvio Sarzana).

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Una firma per Hamza

His Majesty King Abdullah Bin Abdul Aziz Al Saud
The Custodian of the two Holy Mosques
Office of His Majesty the King
Royal Court, Riyadh
KINGDOM OF SAUDI ARABIA

Sua Maestà,

sono un simpatizzante di Amnesty International, l’Organizzazione non governativa che dal 1961 agisce in difesa  dei diritti umani, ovunque nel mondo vengano violati.

Le scrivo per sollecitarLa a revocare l’ordine d’arresto nei confronti di Hamza Kashgari.

Le chiedo di rilasciarlo immediatamente e senza condizioni, che l’inchiesta venga archiviata e che nell’immediato egli possa essere assistito da un avvocato di sua scelta, anche nel corso degli interrogatori.

La ringrazio per l’attenzione.

Il messaggio è di Amnesty International (rubo da IlNichilista). Hamza Kashgari è un ragazzo saudita che ha espresso in tre tweet un pensiero non ortodosso sul compleanno di Maometto. Per questo ora rischia una condanna a morte per apostasia. Le firme potrebbero anche non servire a nulla, certo. Ma neanche ci costano, nulla, mentre ad Hamza l’aver espresso un sentimento religioso in un paese del tardo medioevo industriale può costare la vita. Firma qui la petizione in sua difesa.

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Fava: bocciato!

Fava bocciatoL’emendamento Fava è stato respinto nel voto odierno sulla Legge Comunitaria alla Camera. La Rete ringrazia chi ha evitato lo scempio. Adesso, onorevole Fava, dopo averci provato tre voltea sfregiare questo mezzo, la faccia finita.

Update 2 febbraio – Niente di particolare, l’ho visto, mi ha gustato parecchio e lo posto.

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Proteste giuste, ma per i motivi sbagliati?

Mi sembra doveroso segnalare questo pezzo di Valigiablu, nel quale si mette in luce come ACTA sia avversato in queste ore forse per i motivi sbagliati. Non è una difesa del trattato, anzi, è ben sottolineato il danno che esso creerebbe e gli scenari ai quali darebbe modo d’esistere, ma si fa una specie di grande rettifica sul alcuni dei punti nodali (che ho toccato anch’io quindi è doppiamente giusto che io segnali il post).

Da diversi mesi ci stiamo occupando di ACTA, abbiamo intervistato il Portavoce dell’UE per il commercio John Clancy e fatto un punto sulla protesta e seguito il percorso ‘legislativo’ con il primo sì da parte di 22 Stati membri dell’UE. Siccome, come sempre, pensiamo che una protesta debba essere informata, continuiamo il nostro approfondimento proponendo questo articolo che analizza la fragilità e la debolezza della protesta contro questi accordi.

Continua a leggere su ValigiabluSegnalo anche l’analisi di Arturo Di Corinto.

ACTA è solo in apparenza un accordo commerciale: in realtà esso è di natura legislativa. Perciò è Inaccettabile che i parlamentari italiani siano stati esclusi dal processo, mentre 42 dirigenti delle industrie con interessi correlati a brevetti e copyright hanno potuto accedere ai documenti e concorrere alla loro formulazione, mentre si richieda di accettare come fatto compiuto i risultati di un lavoro svolto in segreto.
Non è ammissibile che a decidere del futuro della libertà e ad interferire con le leggi di uno Stato sovrano siano pochi funzionari e rappresentanti di corporation.

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Un bavaglio formato mondiale

Insomma, l’Unione Europea ha deciso di partecipare al più grande movimento internazionale contrario ai diritti dei netizen che si sia mai visto nella storia della Rete. Anni di trattative segrete e adesioni di importanti paesi fatte in silenzio per un testo, l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), il quale renderebbe ogni intermediario responsabile delle violazioni commesse dagli utenti che ne sfruttano i servizi, li costringerebbe a condividerne i dati personali con i titolari di diritti d’autore anche senza un ordine della magistratura, trasformerebbe i provider in sceriffi, renderebbe possibile per i titolari di diritti impedire ad un intermediario di rendere disponibile un servizio che potrebbe essere utilizzato (anche) per violare il copyright.

E poi gli scempi in merito ai prodotti farmaceutici, che esporrebbero i ricercatori di tutto il mondo ad uno stop da parte di chi non rappresenta nessuno se non i propri interessi ma è evidentemente ben rappresentato da chi dovrebbe tutelare il cittadino e l’utente.

L’unica buona notizia è che le mobilitazioni degli oppositori sono partite praticamente subito (qui una petizione di Agorà Digitale), facendo il paio con le dimissioni che ha presentato l’europarlamentare Kader Arif, relatore continentale del testo.

Update 27 gennaio – Anche Avaaz.org lancia la sua petizione.  

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Petizione contro “il Fava”

Se negli USA hanno fermato i senatori “amici” delle più potenti major del pianeta, nella nostra bella Italia saremo sicuramente in grado di fermare un onorevole. Firma la petizione contro il “SOPA de noantri”:

Gentile Onorevole,

deputati e senatori di quasi tutti i gruppi (Fli, Gruppo Misto, IDV, PD, PDL e Radicali) hanno presentato alla Camera molti emendamenti volti ad abrogare dalla legge comunitaria l’emendamento dell’On. Fava, che, in contrasto con le direttive europee vuole obbligare i siti web a controllare preventivamente i contenuti pubblicati dagli utenti, rimuovendoli in base ad una semplice segnalazione di una parte interessata. Se è importante la difesa del diritto d’autore questa non può avvenire a scapito dei diritti degli utenti e degli hosting provider (siti come Wikipedia, Google, Facebook) che saranno costretti ad una rimozione “selvaggia” di contenuti.

Le chiediamo di apporre la sua firma su tali emendamenti o quantomeno su alcuni di essi, per dare forza alla richiesta di abrogazione in modo che sia chiaro che la difesa del web, non come luogo di assenza di regole, ma come risorsa anche per l’informazione è condivisa da tutti gli schieramenti politici.

Internet è e sarà una risorsa fondamentale per la nostra democrazia e deve essere tutelata.

Qui la pagina Facebook della mobilitazione. Qui un “kit stampa” sull’emendamento.

Update 26 gennaio 2012 – Di petizione in petizione, qui si firma quella contro l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), che per restare in tema viene definito “il SOPA mondiale” e che oggi è stato ratificato dall’UE a Tokyo. La lotta è a tutti i livelli.

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Ancora su “MegaCospirazione”

Ragionando a bocce ferme, in merito al post precedente, non voglio certo mettermi a difesa di chi si è potuto permettere auto di lusso grazie ad attività illecite svolte dagli utenti di un servizio da lui creato e che, comunque, tecnicamente resta neutrale. Che mister Schmitz fosse a conoscenza del fatto che tolti i contenuti protetti da diritti dal suo cyberlocker esso avrebbe perso quasi tutto il suo appeal, è scontato; se poi abbia messo in atto pratiche per favorire queste violazioni di copyright, è una cosa che accerterà la magistratura.

Il mio sfogo era diretto contro una modalità d’azione che vede la Rete soggetta a una sempre più facile sospensione di alcuni diritti in favore di altri come se su Internet i primi valessero di meno rispetto alla “vita reale” (altra distinzione idiota, come se non fosse reale quello ci stiamo dicendo).

Bisogna entrare nell’ottica che ciò che si scrive e si dice e si carica nel cyberspazio ha lo stesso identico valore dei corrispettivi cartacei o televisivi o radiofonici. E che soprattutto esiste uno spazio di intermediazione che è al momento regolato chiaramente a livello comunitario così come negli Usa e che rappresenta uno scudo contro le mire di chi vorrebbe responsabilizzare alcuni attori in maniera ingiustificata e vorrebbe privatizzare la giustizia.

Ecco, allargando la visuale, sequestri preventivi fatti con l’accetta, norme come il SOPA e l’emendamento di Fava (a proposito, caro onorevole Fava, lei è un nemico di Internet come se ne sono visti poche volte in Italia, eppure ce ne sono stati, eccome se ce ne sono stati). Metti a sistema, e ne risulta una crisi di nervi. Poi i criminali vanno condannati, senza dubbio. Ma i distinguo in momenti come questo pesano più di accuse e reati, giusto per imparare qualcosa e difendere la Rete dagli attacchi sistematici dei rappresentanti di un modello di business vivo solo nelle loro teste e nelle penne di chi scrive per loro orribili norme. E dal calderone nel quale finiscono contenuti perfettamente leciti solo perché si trovano nello stesso spazio di altri protetti da copyright.

Update – E IlFuturista lancia un “movimento anti-Fava”. Mentre Fulvio Sarzana segnala l’enforcementche si vede all’orizzonte continentale.

RiUpdate 23 gennaio – Anche su Wired si illumina questa faccia della medaglia.

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Chiusi Megaupload e Megavideo

Sembra una risposta a chi ha gridato contro gli enforcement selvaggi alle norme sul diritto d’autore oscurando i propri siti e inviando missive di massa ai congressisti. I cyberlocker Megaupload e Megavideo sono stati chiusi dall’FBI e dal Dipartimento di Giustizia americana, i quali hanno ottenuto anche l’arresto del fondatore Kim Schmitz e di altri tre amministratori del sito (peraltro fermati in Nuova Zelanda, un esempio di collaborazione internazionale davvero efficiente!).

L’accusa è quella che da tempo (da sempre) i signori del copyright muovono contro i due siti: violazione massiva di copyright (oltre ad associazione a delinquere e riciclaggio). Poco importa che i due “armadietti digitali” si limitino ad incamerare ciò che caricano gli utenti, agendo di fatto da intermediari e fornendo uno spazio che come vocazione primaria non può avere la mera violazione del diritto d’autore.

Immagino solo che se avessi caricato su una delle due piattaforme un video nel quale con la totale libertà di parola che ci è concessa mi fossi scagliato davanti ad una webcam contro un sistema capace di certi abusi, il mio atto di libertà d’espressione sarebbe finito offline insieme a tutti i file protetti da diritti caricati da altri utenti. Non è una violazione questa? Non è uno sconfinamento, un eccesso nelle misure (legittime) di lotta alla pirateria? Non è una vera e propria sospensione di alcuni diritti fondamentali praticata nel nome di un interesse economico?

A mio avviso, si. Ed è frustrante quanto la coperta sia corta per chi protesta: da un lato si dà una piccola spallata al Congresso. Dall’altra, si viene colpiti in maniera durissima, mortale. Ribadisco: la lotta alla pirateria è sacrosanta ma il diritto d’autore non può prevalere sulla libertà d’espressione e sulla libertà d’impresa (giusto per citarne un paio).

Intanto, partono gli attacchi hacker (Anonymous in testa) mentre c’è chi come Stefano Quintarelli aggiunge preoccupanti particolari:

Faccio notare che, sequestrando i server, le forze dell’ordine hanno l’intero database degli utenti con tanto di indirizzi email, numeri di carte di credito e probabilmente log ed indirizzi IP.

Proprio poche settimane fa si era manifestato lo squilibrio di forze tra le industrie del disco e le ragioni di Megaupload; il cyberlocker diffondeva il materiale audio/video di una sua nuova campagna pubblicitaria messa a punto con il supporto di numerosi artisti legati a diverse major (e dunque alla RIAA). La Universal chiedeva ripetutamente a Youtube di censurare i suddetti materiali, i cui elementi però risultavano essere di proprietà di Megaupload. Nonostante tutto, il canale in questione rischiava di essere chiuso per ripetute infrazioni tutte da provare. Il caso approdava in tribunale pochi giorni dopo. Qui una ricostruzione della vicenda.

P.s.: Il Commissario Responsabile dell’Agenda Digitale europea Neelie Kroes “is glad” on Facebook in merito alle proteste di ieri

Update – Il “SOPA all’italiana” di Giovanni Fava viene approvato dalla Commissione Politiche Comunitarie.

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On strike

Ci sono dei diritti che non possono essere violati in nome di un sistema economico che ha fatto il suo tempo e si permette di non capirlo solo perché ha ancora delle protezioni enormi fatte di lobbies e connivenze della politica. SOPA e PIPA sono una coppia di leggi americane? Beh, da noi c’è l’Agcom con il suo regolamento antipirateria. E analoghi movimenti mettono i brividi ai netizen in tutto il Mondo. Abbiamo tutti gli stessi diritti, corriamo tutti gli stessi pericoli. E dunque, tanto vale lottare tutti insieme contro la censura copyright oriented. Domani si sciopera.

p.s.: aderisce anche Wikipedia.

Update 18 gennaio 2012 ore 20:01 – Sciopero finito. Tante adesioni, ma solo nella “lunga coda”. Mancano i big Facebook, Twitter, eBay, ecc. Meglio di niente, ovvero dell’accettazione silenziosa di uno scempio legislativo che non colpirebbe Internet ma la libertà di espressione e non garnatirebbe il rispetto del copyright ma darebbe solo poteri arbitrari a privati su decisioni che solo la magistratura può prendere, almeno in uno stato di diritto.

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Kwangmyong

No non significa condoglianze. Kwangmyong è la intranet nazionale della Corea del Nord, la quale rispecchia nella realtà digitale l’isolamento che ha vissuto sotto tutti i punti di vista il paese asiatico in questi decenni di dittatura, e che purtroppo sembra destinato a vivere ancora.

La morte del despota Kim Jong-il è l’occasione per guardare da vicino uno dei più asfissianti contesti mai concepiti dal censore di Internet. Il regime socialista di Pyongyang infatti non si limita a filtrare il web, ma agisce alla radice, permettendo la connessione esclusivamente alla sopra citata intranet, nella quale sono comprese solo poche decine di siti approvati dal governo e alla quale può accedere solo una minoranza privilegiata. I siti accessibili nella Kwangmyong sono per lo più siti di propaganda del regime, i siti delle agenzie governative, siti di apologia di Kim Jong Il e di suo padre Kim Il Sung, e siti che inneggiano alla riunificazione su base socialista delle due Coree; la Corea del Sud, in risposta a questo atteggiamento, provvede a censurare sistematicamente i flussi di messaggi online provenienti dal Nord, in particolare quelli di Twitter. Senza contare le “schermaglie digitali” sul 38esimo parallelo (ad inizio luglio 2011 un rapporto della McAfee attribuiva gli attacchi subiti nelle settimane precedenti dai siti sudcoreani al governo di Pyongyang, che starebbe così facendo le prove generali di una cyberguerra. Nel frattempo, sempre dalla Nord Corea arrivavano infiltrazioni di hacker nei circuiti di giochi online dei vicini del Sud per racimolare fondi in maniera illecita).

Tornando tutta a Nord, ad un’ancor più ristretta cerchia di persone e agli stranieri è invece concessa la connessione al World Wide Web, anche per una questione di accessibilità economica (le tariffe degli Internet point non sono compatibili con gli stipendi medi dei cittadini).

Non esistono in generale media indipendenti in Corea del Nord, tutta l’informazione è controllata dalla giunta militare al potere, ma Internet ha una particolarità: avendo attivato un dominio di primo livello “.kp” solo nell’ottobre 2010, i server sui quali si basa la Nordcorea sono per lo più in Cina, Giappone, Germania e perfino Texas, comprese le pagine http://www.korea- dpr.com (pagina Web della Corea del Nord) e http://www.kcna.co.jp (la home page della Korean Central News Agency).

Molti cittadini stanno guadagnando un libero accesso a Internet tramite le reti mobili che si appoggiano a server cinesi (quindi in realtà Internet libero fino ad un certo punto, diciamo che si va dalla brace alla padella) e che vengono attivate su dispositivi comprati al mercato nero. Dal maggio 2004 è infatti vigente nel paese il divieto della telefonia mobile. Alla fine di maggio 2011 partiva a Pyongyang la messa a punto di tre diversi modelli di computer e device mobili interamente costruiti nel paese (o almeno passati al vaglio del regime prima della messa in commercio); un altro tassello nell’autarchia digitale perseguita dal defunto “Caro Leader”.

Come dicevo, c’è anche un fattore economico dietro la quasi nulla diffusione di Internet nella parte nord della penisola coreana: pc, corsi di alfabetizzazione digitale e connessioni sono incredibilmente costose per i sudditi del regime, e c’è da credere che sia esso stesso a far sì che le tariffe restino così alte. Pertanto, sebbene l’articolo 67 della Costituzione socialista garantisce la libertà di parola e di stampa, non vi è alcuna possibilità di scardinare il dominio dello Stato sull’accesso ad Internet come su qualunque manifestazione del diritto di espressione. Un piccolo spiraglio si aprì nell’estate 2010, quando il governo decise di aprire un proprio account su Twitter e Youtube; i contenuti finora caricati sono ovviamente soltanto propaganda di regime e accuse agli oppositori (repubblica del Sud inclusa), ma insieme all’imminente passaggio di consegne al vertice dello stato questo dato potrebbe innescare un certo rinnovamento.

O almeno speriamo, perché le lacrime viste in tv questi giorni dipingono scenari di propaganda che l’umanità ha bisogno di lasciarsi alle spalle.

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Censura privata. E l’ipocrisia della Lega

Dunque, la Universal Music Group avrebbe un accordo privato con Google che le permette di chiedere la rimozione di qualunque contenuto da Youtube. Cioè, un privato chiede ad un privato di rimuovere un contenuto caricato da un utente. In barba a garanzie costituzionali come il Primo Emendamento statunitense e tutte le altre a tutela della libertà d’espressione. Poco importano i motivi, resta il problema di fondo: una piattaforma come Youtube (e valga anche per Facebook e tutte le altre piattaforme di UGC) dal momento in cui diventa un mezzo di espressione per centinaia di milioni di persone resta uno spazio privato o assume i contorni dell’agorà pubblica nel quale devono in primis valere le regole dello stato di diritto?

Tanto più che nello specifico sembra infondata l’accusa mossa a Megaupload: il cyberlocker qualche settimana fa diffondeva il materiale di una sua nuova campagna pubblicitaria messa a punto con il supporto di numerosi artisti legati a diverse major (e dunque alla RIAA). La Universal chiedeva ripetutamente a Youtube di censurarne un video, i cui elementi però risultavano essere di proprietà del cyberlocker. Nonostante tutto, il canale di Megaupload rischia di essere chiuso per ripetute infrazioni tutte da provare. Il caso è approdato in tribunale pochi giorni fa. Qui una ricostruzione dellla vicenda.

Nel frattempo in Italia il caro senatore leghista Giovanni Fava prova ancora (si ancora, ci aveva già provato ad agosto) ad introdurre una norma che interviene sul regime di responsabilità degli intermediari disponendo che alla segnalazione di un titolare di diritti un intermediario della comunicazione online deve rispondere, subito e a prescindere dalle prove, con la rimozione dei contenuti. Anche oltre le idiziozie del regolamento Agcom e contro le ultime disposizioni che arrivano dall’Europa e gli orientamenti del Tribunale di Roma (che richiamando la sentenza della Corte Europea di aprile 2011 sul contenzioso SABAM – Scarlet, ha ritenuto illegittima la richiesta di Mediaset di imporre a Google di sorvegliare “a monte” affinché sui suoi servizi non passino materiali protetti dal copyright del biscione; cioè, non si può imporre ad un provider tale tipo di filtraggio preventivo).

Insomma, resistenze, passi in avanti e reazioni. Ma dei reazionari ci siamo scassati le scatole.

p.s.: lo dicano i leghisti che provano a tornare alle orgini coi cartelli in Parlamento che la loro contaminazione con quella che chiamano “Roma ladrona” li ha portati a sposare le cause delle multimilionarire major. Lo dicano, ipocriti.

Update 22 dicembreYoutube smentisce la presenza di un accordo con UMG. E’ una buona notizia. Restano comunque le perplessità e i quesiti che mi sono permesso di sollevare.

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