Articoli con tag monti

Democrazia partecipativa

Un governo mette a punto una norma potenzialmente rivoluzionaria in materia di trasparenza ed open data, pochi mesi dopo rischia di farla scomparire con un dissennato decreto di riordino presentato indebitamente come “Freedom of Information Act italiano”. La comunità che ha mappato le Pubbliche amministrazioni per vedere quante di loro si erano messe in regola se ne accorge, si mobilita, propone una soluzione. E, incredibilmente, vince. Orgogliosi di #NienteCondoniSullaTrasparenza.

, , , , , , , , , , , ,

Lascia un commento

Crescita 2.0, Benussi: “Rischiamo di buttare tutto nel cestino”

Il Pdl mette in pericolo la tenuta del governo e il decreto Crescita 2.0 potrebbe non vedere mai la luce. L’advisor per le politiche digitali del ministero dell’Istruzione e della Ricerca: “La trasparenza per la Pa verrebbe rimandata. E sarebbe uno scandalo, perché aspettiamo quelle misure da anni”

5425-agenda-digitale-open-data-bene-per-imprese-e-finanze-pubbliche-300La nuova discesa in campo di Silvio Berlusconi squassa lo scenario politico italiano, mette a rischio al tenuta del governo e piazza un enorme punto interrogativo sull’approvazione del decreto Crescita 2.0. La serie di misure previste dall’esecutivo nell’ambito della “fu Agenda digitale” ha appena ricevuto l’approvazione del Senato ma rischia di non arrivare al passaggio alla Camera. Insomma, “si rischia che tutto il lavoro fatto fino a questo momento in materia di sviluppo digitale finisca nel cestino”, come afferma Lorenzo Benussi, advisor per le politiche digitali del ministero dell’istruzione e della Ricerca, in esclusiva ad Agorà Digitale.

“Non conosco le dinamiche politiche che stanno prendendo vita dietro il provvedimento – afferma Benussi – ma non ho dubbi su quelle tecniche. Nel giro di poche settimane, se non di pochi giorni, il Crescita 2.0 sarebbe arrivato alla Camera introducendo misure che aspettiamo da anni e delle quali c’è un urgente bisogno. Ad esempio le iniziative in materia di trasparenza della Pubblica amministrazione”.

Continua su Agorà Digitale 

, , , , , , , ,

1 Commento

Il governo Monti in un pantano digitale

La discontinuità sistemica inaugurata dal governo tecnico guidato da Mario Monti, chiamato a svolgere l’ingrato compito di risanatore dei bilanci dello Stato, non sembra essere molto evidente in materia di regolamentazione di Internet, mercato televisivo e, soprattutto, in quell’intersezione che si crea tra i due insiemi. L’esecutivo “dei professori” è ormai a palazzo Chigi dal novembre scorso, otto mesi durante i quali il consiglio dei ministri ha inanellato una serie di piccoli successi alternandoli a grosse concessioni al sistema che ha governato per decenni l’ambiente mediatico della Penisola.

La partenza è stata timida ma tutto sommato di segno positivo. Già nel “Pacchetto semplificazioni” presentato alla fine di gennaio veniva infatti riservato un occhio di riguardo alle potenzialità di Internet e delle “reti telematiche”. Il focus è lo sviluppo della banda larga e l’imposizione dell’open data a tutta la rete della pubblica amministrazione che, contensutalmente, dovrà condividere i dati tra i vari settori sfruttando le tecnologie “a nuvola”. A marzo  partiva così il percorso dell’Agenda Digitale targata Monti, coordinata da una “cabina di regia” che alla metà del mese era pronta a partire (qui il documento ufficiale della roadmap). Benissimo per un paese che in materia di digital divide si trova sempre a guardare con invidia gli altri paesi europei.

Alla “cabina” si è affiancata in seguito anche l’Agenzia per l’Italia digitale, che però non è altro se non il nuovo nome della DigitPa, l’ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione che ha cambiato sigla più volte senza mai arrivare a svolgere il suo compito a regime. L’ennesimo lifting, insomma, al quale si accompagnano le prime perplessità sulla reale discontinuità alla quale si accennava poco sopra. Le nomine dell’Agenzia sembrano infatti destinate a seguire il destino di quelle di Rai ed Agcom: lottizzazione spinta e tanti saluti a trasparenza e meritocrazia. La modalità si assegnazine dei compiti inoltre, facendo comfusione tra le varie agenzie, rischia di provocare cortocircuiti nella gestione dello spazio pubblico online, senza contare i ritardi con i quali si stanno consumando le nomine stesse. Ultimamente è stato Paolo Donzelli, tra le altre cose responsabile della sopra citata “cabina di regia”, a proporre la sua idea sull’utilizzo della posta elettronica certificata, in merito alla quale assicura che presto sarà possibile eleggere a domicilio digitale la casella personale. Una bellissima idea, se non fosse che è possibile farlo dal 2006. E al passare delle settimane la situazione sembra entrare in ulteriore stallo e la cabina di regia stenta ad imprimere la svolta verso l’Italia 2.0.

L’atteggiamento del consiglio dei ministri nei confronti della Rete aveva assunto tinte fosche soprattutto il 29 aprile scorso, quando il ministro della giustizia Paola Severino, intervendo al festival del Giornalismo di Perugia, aveva dichiarato di vedere di buon occhio l’introduzione dell’obbligo di rettifica per i blogger perché “la Rete, in fondo, è troppo deregolamentata”. Basta solo accennare che argomento della discussione è la famosa norma “ammazza blog”, rimbalzata negli utlimi anni da un disegno di legge del dicembre 2006 firmato da Ricardo Franco Levi, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Prodi (un’inziativa legislativa che il Times di Londra, il 24 ottobre 2007, arrivò a definire come “un attacco geriatrico ai blogger italiani”), al decreto intercettazioni dell’ex guardasigilli Angelino Alfano, fino alla bozza del decreto giustizia che l’attuale governo stava mettendo a punto proprio nei giorni del festival.

Ma è sulla gestione del mercato televisivo italiano che Monti e la sua squadra si sono maggiormente macchiati di “continuità” con l’ancien regime. Sembrava lodevole l’aver annullato, ad aprile, il beauty contest che avrebbe regalato preziosi spazi nell’etere al duopolio Rai-Mediaset; ma oltre ai pesanti dubbi che si sono sollevati nelle ore successive al provvedimento, appare chiaro che la compagnia del Biscione, che contro la decisione dell’esecutivo ha fatto ricorso al Tar del Lazio, sembra conservare importanti santi in Parlamento.

Nella legge di conversione del decreto sui contributi all’editoria viene infatti piazzata una norma che amplifica la portata della legge Gasparri, la 112 del maggio 2004. Per chi l’avesse dimenticato, il testo firmato dall’attuale capogruppo del Pdl al Senato fu una raffinata operazione di congelamento dello status quo a tutto vantaggio di Mediaset. Veniva infatti previsto il Sistema integrato delle comuncazioni (Sic), un paniere che delimita un’area entro la quale nessun soggetto può superare il 20% di ricavi complessivi pena l’essere considerato in posizione dominante e dunque lesiva del pluralismo. Detto così sembra una norma di buon senso, se non fosse che il paniere in questione è talmente onnicomprensivo da attenuare la portata dello strapotere dei dupopolisti nel mercato televisivo diluendolo in un più vasto insieme di settori. Un insieme che, e veniamo ai nostri professori, viene ora ulteriormente slargato; nel Testo unico della radiotelevisione, figlio della legge Gasparri, vengono inseriti tra i “ricavi” anche quelli derivanti da “pubblicità on line e sulle diverse piattaforme anche in forma diretta, incluse le risorse raccolte da motori di ricerca, da piattaforme sociali e di condivisione”. 

L’obiettivo sembra essere quello di dare all’Agcom maggiore potere di intervento sugli “over the top” della Rete come Google, Facebook e affini. Il che non sarebbe scandaloso se non si stesse considerando, come spiega l’avvocato Guido Scorza su L’espresso, alla stregua di soggetti editoriali alcune imprese del Web che non hanno un controllo di natura, appunto, editoriale su ciò che passa sotto il loro logo. Inoltre, sempre stando all’analisi di Scorza, si sottrae ad un ampio dibattito parlamentare una norma che innesca un effetto domino che abbassa ulteriormente la percentuale di “estensione sul mercato” di Mediaset allargandone, di conseguenza, i confini dell’impero che è già suo. Questo sì che sembra poter ledere il pluralismo, e viene da riflettere sul fatto che si parla di una norma spinta verso la Gazzetta ufficiale da un esecutivo che poggia anche sui voti del Partito Democratico, che sul conflitto di interessi del Cavaliere ha costruito più di una campagna elettorale.

E non va meglio con l’ultima fresca assegnazione di frequenze agli operatori del broadcasting, atto che, stando all’analisi di Alessandro Longo, rischia di bloccare importanti spazi per la banda larga nel 2016, quando un terzo di essi dovranno essere destinati alla broadband, come previsto dalle norme europee.

Mario Monti ha assicurato nei giorni scorsi che nel 2013 non si ricandiderà per la poltrona di premier, lasciando la partita in mano agli scalpitanti leader di partito della seconda repubblica. Ha dunque meno di un anno per rilanciare l’azione legislativa sulla Rete e sull’intero panorama mediatico italiano tirandola fuori dalle sabbie mobili di palazzo dentro le quali sembra essersi impantanata strada facendo.

Magari il propulsore sarà il bando diffuso dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca il 5 luglio, il quale certifica lo stanziamento di 655 milioni di euro per lo sviluppo di “Smart cities and communities”: le “comunità e città intelligenti” dovranno fare leva sulle tecnologie digitali per incrementare i servizi in settori come sicurezza del territorio, invecchiamento della società, tecnologie di welfare ed inclusione, qualità della vita, giustizia, scuola, gestione dei rifiuti e dell’energia e tecnologie cloud per la pubblica amministrazione. Proprio il cuore di quell’Agenda Digitale. In bocca al lupo.

, , , , , , , , , , , , , , , , , ,

1 Commento

La schizofrenia di Calabrò e il silenzio di Monti

In meno di un mese il presidente dell’Agcom, passando per le stanze delle commissioni del Senato, ha detto tutto e il contrario di tutto. Da “andremo avanti” a “dobbiamo attendere che il Governo ci investa dei poteri necessari” fino all’ “emaneremo la delibera entro la fine del mandato”. Entro il 18 maggio, dunque. Tutt’intorno, l’atteggiamento ambiguo del sottosegretario Antonio Catricalà, i dubbi sulle reali possibilità che il testo dell’Authority sia considerato legittimo in sede europea e gli ulteriori (originali) irrigidimenti delle norme previste nel testo antipirateria, come l’oscuramento dei siti in sede amministrativa.

La confusione ormai regna sovrana su un provvedimento destinato a stravolgere le dinamiche della Rete nostrana come la conosciamo ora. Una confusione che a tratti appare voluta, scudo dietro il quale si nascondo gli ultimi atti dell’attentato che si sta consumando nei confronti della comunicazione online. E se questo può essere comprensibile (non giustificabile, comprensibile) per un organismo che ha da tempo svelato la sua mancanza di indipendenza nei confronti di alcuni poteri economici, non è assolutamente accettabile per quel Governo di tecnici nominato proprio per la sua presunta libertà dalle dinamiche corporative che ingessano da decenni il “sistema Italia”.

Catricalà, cercado di spiegare la posizione dell’Esecutivo, ha già toppato, svelando le storture delle dinamiche che viziano la messa a punto di un decreto tanto importante; ora non può che toccare a Monti fermare questo scempio, invitare gli attuali commissari Agcom a esercitare solo poteri di ordinaria amministrazione fino alla scadenza del mandato (leggi “obbligarli, semplicemente fermando il decreto che giace nel cassetto del sottosegretario”) e rimettere al Parlamento la discussione sulla riforma del diritto d’autore. In tema di Internet e digitale il premier è intervenuto in prima persona su beauty contest e Agenda Digitale. Non può esimersi dal farlo anche su questa fondamentale questione. 

, , , , , , , , , ,

2 commenti

Agcom in bozza

Si prevede inoltre che, in caso di violazione dei conseguenti ordini e delle diffide emanati dall’Autorità, oltre all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie previste dalla legge istitutiva dell’Autorità medesima, questa possa disporre, in casi di particolare gravità ovvero se le violazioni dovessero ripetersi, la completa disabilitazione dell’accesso al servizio telematico oppure, nel caso in cui sia tecnicamente possibile, ai soli contenuti resi accessibili in violazione delle norme sul diritto d’autore (comma 2)

Anna Masera presenta sul suo blog la bozza del decreto sul regolamento che dobbiamo fermare.

Mentre Calabrò è tornato in Senato.

P.s.: per fare informazione in Rete occorre essere giornalisti iscritti all’ordine professionale? Ce lo dirà il tribunale di Pordenone alla fine di un procedimento che Guido Scorza definisce “Un attentato all’informazione online”.

, , , , , , , , , , , , , ,

2 commenti

“Non possiamo farlo. Ma potremo”

Nell’audizione tenuta mercoledì in Senato il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò ha praticamente ammesso di non avere, al momento, una delega che permetta all’authority di emanare il regolamento sul diritto d’autore. Bene? Non proprio. Calabrò, dopo aver sostenuto a lungo di essere legittimato dal decreto Romani, si contraddice ma non molla, annunciando che il Governo è pronto a mettere a punto una norma che lo lascerà libero di attuare lo scempio sulla Rete. In pratica, fa notare Guido Scorza, lo scenario sarebbe quello di

un Governo che vara una norma allo scopo di ‘sanare’ una situazione di illegalità nella quale si è andata ad incastrare un’Autorità semi-indipendente, lasciandosi tirare per la giacchetta da un nugolo di preistorici industriali dell’audiovisivo incapaci di guardare al futuro e pronti a veder sacrificata la libertà di manifestazione del pensiero online sull’altare dei propri portafogli.
È, probabilmente, il peggiore degli epiloghi possibili di una vicenda che aveva già offerto uno spaccato inquietante ed allarmante dello stato di degrado nel quale sono precipitate le nostre istituzioni […] Siamo al golpe contro la Rete.

Come si reagisce ad un golpe? Come si reagisce ad un atto di forza che rende le istituzioni strumento di un potere che non rappresenta un interesse generale ma solo un interesse economico di parte, e per giunta fuori dal tempo?

La risposta sembra essere una sola: resistenza. Resistenza contro uno strappo che si consumerebbe a meno di due mesi dalla fine del mandato degli attuali commissari dell’Agcom. Ribadisco che se i soggetti in gioco non hanno centrato il loro obiettivo nei tempi che avevano previsto è solo grazie alla straordinaria mobilitazione che gli utenti di questo mezzo hanno messo in atto per ripararlo dalla colata di lava che stava per travolgerlo. E in Senato quella mobilitazione è stata citata più volte.

La pressione deve continuare, per evitare questo colpo di mano e per far sì che sia il Parlamento, dopo una discussione che coinvolga tutti (tutti!) gli stakeholder, a legiferare su una riforma del diritto d’autore tarata sulla nuova realtà digitale. E che il rinnovo dei commissari non segua le modalità di martuscielliana memoria. Altrimenti saremmo alla ripetizione del paradosso: l’espressione del tecnicismo al Governo e l’espressione dei partiti dentro un’authority, con il primo a legittimare lo scellerato operato dei secondi.

, , , , , , , , , , , , ,

4 commenti

Il nostro giochino preferito

C’è una evidente differenza di approccio tra il risicato spazio che viene riservato all’Agenda Digitale sui mezzi d’informazione mainstream e l’entusiasmo con il quale invece gli addetti ai lavori della Rete accolgono ogni piccolo passo in avanti che si registra in questo senso.

Guardando i nostri Tg nazionali sembra quasi che le questioni legate al digitale restino confinate nello spazio degli “smanettoni”, quello spazio che non influirebbe su tutto il sistema ma si limiterebbe a restituire un giochino più prestante a noi che lo utilizziamo tutti i giorni per alimentare quello che è un volano economico che non ha alcun paragone nella “vita materiale”. No, molto meglio le disquisizioni sui massimi sistemi, il faccione di Gasparri che viene chiamato ancora a commentare anche la farfalla di Belen e gli interminabili “braccio di ferro” tra le “parti sociali”, con la Camusso che ogni tanto scende dal “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo e dice che no, l’articolo 18 non si tocca e no, le email per parlare con il Ministro non vanno bene, salvo poi permettere ai suoi di utilizzare Twitter per degli slogan che sembrano uscire dai tavoli di una Festa dell’Unità quando i fiaschi di vino rosso sono finiti.

Insomma, più i temi legati allo sviluppo digitale si impongono come prioritari più il nostro sistema si rivela impreparato ad accogliergli come tali. Non si può dunque che fare affidamento sulle forzature e gli strappi che unilateralmente (ma neanche tanto) questo Governo sta imponendo al sistema di cui sopra. E a proposito di “Agenda Digitale per l’Italia di Domani“, gli si dedica un discreto spazio nel documento col quale gli uomini del presidente riassumono i primi cento giorni dell’Esecutivo.

Risulta confermata la volontà di farla viaggiare in parallelo agli obiettivi fissati da Europa2020, con la fine del decennio, appunto, indicata come scadenza per i piani che vedono al centro la liberazione dei dati delle pubbliche amministrazioni, “la trasparenza, la responsabilità e l’efficienza del settore pubblico”, il tutto “puntando ad alimentare l’innovazione e stimolare la crescita economica”.

Priorità vengono indicate nell’ “uso sociale della tecnologia, la realizzazione delle reti di nuova generazione e, più in generale, l’alfabetizzazione digitale”. Si parla dell’ormai celeberrima “cabina di regia”: “a questa spetterà il compito di coordinare l’azione delle amministrazioni centrali e territoriali: i Ministeri, le Regioni, gli Enti locali e le Autorità indipendenti. La cabina di regia opererà su cinque fronti: Banda larga e ultra-larga (quasi 5,6 milioni di italiani si trovano in condizione di divario digitale, mentre sono almeno 3000 le località nel Paese che soffrono di un ‘deficit infrastrutturale’ soprattutto al Sud e nelle aree rurali), Smart Communities/Cities (l’Agenda digitale italiana stanzia nuovi finanziamenti per realizzare le piattaforme tecnologiche necessarie a consentire alle città di adottare la filosofia smart), Open data (si pensi che, nella sola Europa, il “valore” dell’informazione pubblica ammonta a circa 140 miliardi di euro l’anno), Cloud Computing e E-government (un esempio concreto è quello degli appalti pubblici, con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Le imprese, dal 1 gennaio 2013, presenteranno alla Banca tutta la documentazione contenente i requisiti di carattere generale, tecnico ed economico)”.

Si parla poi di deroghe al patto di stabilità interno che permetteranno a diverse regioni di sfruttare per quest’anno, il prossimo e il 2014, circa un miliardo di euro per co-finanziare i fondi strutturali europei; di questa cifra, 423 milioni di euro sono indirizzati verso l’Agenda Digitale.

Ora attendiamo di sapere cosa ne pensa Gasparri e se la Camusso e gli altri sindacati inizieranno a capire che un nuovo sistema economico che scalpita a ridosso del sistema delle tutele rende indispensabile la revisione di alcune pratiche, schemi mentali e modalità d’azione politico-sociale ormai segnati dal tempo.

, , , , , , , , , , , , ,

Lascia un commento

Due belle notizie

Un paio di piccoli lumi in questa manovra: meno carte bollate per le Web tv e l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di prendere in considerazione i software open source nei loro bandi. In attesa di misure “strutturali” ci accontentiamo di due piccole toppe.

, , , , , , , , ,

1 Commento

La fiducia contro lo stress

Dunque, ricapitolando: Internet crea più posti di lavoro di quanti non ne distrugga, permette praticamente a tutti i settori dell’economia di sfruttarlo e trarne vantaggio, è un settore produttivo esso stesso e oggi scopriamo anche, grazie al Censis, che Facebook e Twitter sono utili per uscire dalla crisi perché disinnescano le tensioni prossime venture attraverso “l’arricchimento dei rapporti sociali”.

Bene. Monti ha citato l’impegno per l’agenda digitale giusto di striscio nel discorso di presentazione al Senato, ha ignorato la proposta (da valutare quanto utile, questa si) di un ministro per Internet e ha bissato con le nomine dei sottosegretari.

Delle due l’una: o ci stiamo rigirando nella stessa brace di sempre o c’è solo da attendere perché i tecnici sanno quanto trasversale e non confinabile in un recinto sia la propulsione della Rete alla nostra (a qualunque) economia.

Continuo ad essere fiducioso che la spiegazione giusta sia la seconda. Ma solo per combattere lo stress da frustrazioni istituzionali.

P.s.: non c’entra nulla ma questa storia è troppo divertente. Come se Valentino Rossi fosse il testimonial della campagna contro l’evasione fiscale.

Update – Appena pubblicato questo post faccio un giretto in Rete e trovo Riccardo Luna con delle indiscrezioni sulla manovra di lunedì. Sempre più fiducia!

, , , , , , ,

1 Commento

I progetti digitali del nuovo governo

Mario monti al SenatoOccorre inoltre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l’agenda digitale”.

Obiettivamente, è un po’ pochino se inserito in un discorso durato 45 minuti. Però vogliamo fidarci, e sperare in chi ha visto da vicino la “Strategia di Lisbona” (poi diventata “Europa 2020”), quella che punta a fare crescere il continente puntando su conoscenza, innovazione e società digitale. Ecco, speriamo le ormai iperventilate misure di crescita per il nostro Paese abbiano le stesse basi. Buon lavoro, SuperMario. 

, , , , , , , ,

4 commenti