Articoli con tag Web

I post in stand by, la mappa dei materiali, le nuove avventure

Lareteingabbia si prende una pausa, ma non lo fa chi cura il blog. In realtà era già da tempo che la sezione dedicata ai post non veniva aggiornata, tanto da rendere quasi tardiva una tale precisazione. Tuttavia, è l’occasione per informare chi legge che questo stand by non ha coinvolto la sezione “Tutto quello che c’è da sapere“; i materiali ospitati sul blog sono stati infatti aggiornati e da questo momento saranno anche localizzati su una mappa; clicca sull’immagine qui sotto per aprirla a tutto schermo e consultare gli ultimi pdf condivisi.

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Inoltre, chi avesse voglia di seguirmi altrove troverà di sicuro interesse gli approfondimenti radiofonici settimanali ai quali collaboro nella trasmissione di Radio Radicale Presi per il Web.

Buon ascolto!

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Partecipare al cambiamento nell’era della trasparenza

C’è un concetto che attraversa, fa da sfondo, apre e conclude l’Open Government Summit 2012: l’apertura dei governi e delle istituzioni a open data e trasparenza vale poco o nulla senza la partecipazione dei cittadini.

Come ha ben spiegato nel suo intervento Ruta Mrazauskaite di Transparency International, “è ingenuo pensare che il futuro della pubblica amministrazione sarà roseo per il mero ricambio degli amministratori, perché i giovani hanno appreso le pratiche deviate di chi è al potere ora, e molti di loro pensano che in un sistema corrotto l’unico modo per sopravvivere è essere corrotti; sono invece i cittadini attivi la risorsa sulla quale puntare, ma a loro deve essere spiegato il valore della partecipazione. Il primo paso è dunque l’educazione”.

Tutto questo significa due cose: la prima è che i dati devono essere fruibili ai più e non liberati come un’indistinta, caotica e (spesso volutamente) illeggibile valanga di file .csv; la seconda, è che i cittadini devono acquisire la consapevolezza che la trasparenza è la strada maestra che permette loro di passare dal momento della critica al momento della partecipazione al processo di cambiamento, e che questo ha un ritorno positivo (soprattutto economico) anche per loro. Detto in altre parole, devono acquisire la cultura dell’open data e farlo proprio nel momento di crisi economica e di legittimazione del sistema politico.

Dunque, l’era della trasparenza e della reale redistribuzione del potere nelle mani dei cittadini passa per una piattaforma che permetta loro di mettere le mani su quei dati, capirli, remixarli e proporre tramite essi un’alternativa. La buona notizia è che questa piattaforma è in rampa di lancio, e non è il testo unico sulla trasparenza annunciato dal ministro Patroni Griffi (che durante il suo intervento ha comunque mostrato una buona sensibilità nei confronti della trasparenza amministrativa e della partecipazione).

Update: Il mio report dell’evento su CheFuturo!

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La “salva Sallusti” senza “ammazza blog”

La “salva Sallusti” è stata approvata da poche ore dalla commissione Giustizia del Senato e si prepara all’esame dell’aula. Tra le disposizioni previste nel testo, l’obbligo di rettifica per le testate telematiche. Questa spada di Damocle che ormai da anni si ripresenta sulla testa di chi scrive sul Web sembra tuttavia aver perso la sua caratteristica più minacciosa; resterebbero infatti esclusi dagli obblighi di rettifica entro 48 ore i blog e i siti che hanno carattere informativo ma che non sono registrati come testate.

Dunque, di nuovo arginati i più censori e pericolosi intenti di quella parte del nostro universo politico sempre pronta a usare il manganello contro chi affida ai bit il proprio pensiero? Vedremo. Sembra intanto ribadita l’impostazione che vede l’obbligo di registrazione delle testate telematiche e il rispetto di tutti gli oneri che ne derivano come passaggio meramente amministrativo del quale devono farsi carico solo coloro che voglio accedere ai contributi pubblici dell’editoria, come ha più volte stabilito la Corte di Cassazione.

Ma c’è da vigilare sul prossimo passaggio istituzionale prima di dirsi certi che questa sia una buona notizia per l’informazione online.

Update 24 ottobre – Come volevasi dimostrare, Guido Scorza informasul fatto che in realtà quegli intenti censori restano intatti in altre forme. 

E arriva il diritto all’oblio, che se non rispettato si traduce in multe salate. Anche per i blog. Ma c’è chi non la vede così nera

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Riccardi: “Un giro di vite contro il razzismo online”. Serve davvero?

Il ministro della cooperazione internazionale Andrea Riccardi si è “messo al lavoro per mettere le mani dentro al Web”. Lo ha dichiarato nella sua prima visita ufficiale alla sinagoga di Roma, nella serata di lunedì. L’obiettivo è quello di prevedere pene più severe per “i seminatori di odio e xenofobia via Internet” come la possibilità di ricorrere “all’oscuramento dei siti” e di “perseguire i visitatori non occasionali”. Riccardi assicura di lavorare “in sinergia” con il ministro della Giustizia, Paola Severino, e degli Interni, Anna Maria Cancellieri, per consegnare alla polizia postale “gli strumenti già usati per combattere altri reati del web”.

Il giro di vite contro il razzismo online promesso dal ministro somiglia agli annunci che in questi anni abbiamo sentito arrivare dal “palazzo” dopo ogni fatto di cronaca al quale i giornali hanno dato attenzione. E che l’attuale governo, su questo tipo di provvedimenti, si pone fin troppo in linea col sistema che è chiamato a riformare ce l’aveva fatto capire la Severino in tema di “ammazzablog”.

Ministro, la Rete non ha bisogno di altre norme. Non è coltivando l’elefantiasi del nostro sistema legislativo che si combatte il razzismo che viaggia online. I sequestri preventivi messi in atto (spesso anche oltre misura) dalle autorità dimostrano che di strumenti ce ne sono già a sufficienza. Mentre questo tipo di annunci sanno tanto di quel populismo col quale ogni giorno speriamo di aver chiuso il giorno precedente.

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Acta, game over?

Quasi dispiace per tutte le lobbies e tutti gli organismi che per anni ne hanno discusso in gran segreto dietro porte chiuse dalle quali uscivano solo stralci di testo oscurati e fuorvianti. Ma Acta è stato bocciato dal Parlamento Europeo con una maggioranza schiacciante, dopo aver preso mazzate in tutte le commissioni per le quali era transitato e aver scontato la chiusura da parte di paesi come Germania, Svizzera, Polonia, Bulgaria e Paesi Bassi. La speranza è che la presa di posizione dell’Europarlamento si tramuti in uno sforzo volto a riportare la discussione sulla riforma del copyright nei luoghi deputati alla rappresentanza del popolo sovrano.

Chi rifiuta Acta chiede solo l’apertura del dibattito su un nuovo regime di diritto d’autore a tutti gli stakeholders. Nessuno vuole legalizzare la pirateria in quanto tale, ma solo mettere a punto un sistema di tutela delle opere e dei loro autori che sia in grado di rispondere a tutti (tutti!) i soggetti che interagiscono in un contesto digitale.

Uno scenario da augurarsi anche guardando al Parlamento di casa nostra, così densamente popolato di omini pronti ad assecondare il volere di questa e quella major (e dei signori della Siae) e sempre più in difficoltà nel vedere che finalmente lo strumento contro il quale combattono riesce ad ottenere delle schiaccianti vittorie.

I promotori di Acta ci proveranno ancora, come tanti Giovanni Fava sparsi per il mondo. Ma lo faranno con la consapevolezza di poter essere battuti nelle sedi di più alto livello istituzionale. Ma soprattutto noi saremo consapevoli di poterli andare a prendere lì e lì schiacciarne i peggiori intenti.

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Non siamo clandestini

Un blogger non deve registrare il suo spazio online come una testata tradizionale, non è sottoposto a disposizioni della legge sulla stampa come, per dirne una, l’obbligo di rettifica, e la sua “creatura” non rientra tra i prodotti editoriali discilipnati dalla 62/2001. A sancirlo è la Corte di Cassazione, che ieri ha messo la parola fine al procedimento che vedeva imputato il giornalista di Accadeinsicilia Carlo Ruta, che viene ora assolto dal reato di stampa clandestina perché “il fatto non sussiste”. Si scrive così un’importante pagina della regolamentazione della Rete nostrana.

Alla fine del maggio 2011 Ruta è stato condannato dalla prima sezione della Corte d’Appello di Catania per il reato di stampa clandestina, disciplinato dall’articolo 16 della legge sulla stampa (n.47 dell’8 febbraio 1948). Già condannato dal tribunale di Modica nel 2008, Ruta è impegnato in inchieste riguardanti politica e collusioni con la mafia. Era stato citato in giudizio dal procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera, che si riteneva danneggiato dai contenuti dello spazio online. A Catania si stabiliva ora che il blog necessitava di una registrazione presso un tribunale perché equiparato ad un giornale cartaceo; in mancanza di registrazione avrebbe dunque operato in clandestinità.

Adesso la Suprema Corte ribalta tutto e cancella una delle spade di Damocle che pendevano sulla testa dei blogger. Restano vive le altre, e la citazione iniziale dell’obbligo di rettifica non è casuale. Vero, ministro Severino?

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La resa di Calabrò e l’intervento dell’Onu

Confindustria e Fimi se ne facciano una ragione, ma stavolta abbiamo vinto noi. Ed è stata una grossa battaglia, che rischiava di essere vanificata da un governo di tecnici che dopo i vaneggiamenti è passato al silenzio, per decidere, infine, di non sporcarsi le mani. Pur contribuendo a rimettere subito le formazioni in trincea avallando la mancanza di trasparenza nelle nomine dei nuovi commissari Agcom, tanto da costringere l’Onu ad intervenire.

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Ministro Severino, non ci siamo

Paola Severino, ministro della GiustiziaRubo dal blog di Massimo Mantellini questo passaggio dell’intervento del ministro della Giustizia Paola Severino al festival del giornalismo di Perugia. Come giusto e prevedibile la Severino ha dovuto rispondere alle domande sulla reintroduzione dell’ “ammazza blog”, tra le quali quella del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, che si chiede perché una così marcata penalizzazione dei “diari online”. Così il ministro:

Vede per quanto riguarda i blog il problema non è certo quello di vederli con sfavore; il problema è di reprimere anche lì l’abuso.
 Cosa che è più difficile perché il giornale ha una sua consistenza cartacea, il giornalista è individuabile, l’editore anche, dunque è possibile intervenire. Il blog ha una diffusione assolutamente non controllata e non controllabile ed è capace di provocare dei danni estremamente più ampi del giornale, estremamente più diffusi.
 Ecco perché io dicevo che bisogna vederne anche la parte oscura. E’ un fenomeno sicuramente positivo per certi aspetti, ma è un fenomeno nel quale si possono annidare tante cose negative. Può essere per esempio un punto criminogeno. L’anonimato che spesso accompagna questo tipo di comunicazione può anche incentivare all’uscita delle pulsioni… alla manifestazione delle pulsioni più oscure e normalmente represse, lo abbiamo constatato in tanti casi: Facebook come punto d’incontro e come punto dal quale poi nascono incontri che hanno conclusioni criminose estremamente gravi.
Quindi non si tratta certamente di un preconcetto; si tratta della sensazione che questo mondo vada regolamentato.
Che pur nella spontaneità che ne rappresenta la caratteristica non possa trasformarsi in arbitrio: e questo credo che sia un messaggio importante.

Dunque, partendo dall’inizio, secondo il ministro un blogger è incontrollabile solo perché può essere anonimo. Non serve spendere troppe parole sulla genericità di tale affermazione.

Il punto più preoccupante è il quadro che dipinge il ministro secondo il quale la blogsfera sarebbe totalmente deregolamentata. Insomma, non esisterebbe la possibilità di applicare norme che già esistono per reati (nel suo linguaggio “abusi”) come la calunnia o la diffamazione. Secondo la Severino invece bisogna importare altre regole, tra le quali, appunto, quell’obbligo di rettifica che non si consiclia assolutamente con l’attività del blogger, almeno non nei tempi e nei modi indicati dal famigerato comma figlio del precedente governo.

Voler considerare per forza la Rete come un far west gioca solo a favore di chi vuole imporle regole scellerate e deleterie della libertà di informazione; e in Italia abbiamo decine di esempi di settori iper regolamentati ma che dall’elefantiasi di norme, codici e codicilli hanno ricavato solo ingessatura da un lato e scorciatoie per i più furbi dall’altro.

Che poi l’opera di filtro critico esercitato dai giornalisti-Giornalisti e dai grandi giornali sulle notizie sia ancora scandalosamente necessaria è fuori dubbio (anzi lo è ancor più di prima; più aumenta la complessità della realtà circostante più si rende necessario tale esercizio di analisi e sistematizzazione); ma da qui a pensare che bisogna regolamentare le “pulsioni” di blogger e frequentatori dei social network francamente ci passa l’abisso che divide un buona governante da un finto educatore e pseudo psicologo sociale.

Dunque, ministro, faccia semplicemente ammenda e ritiri l’ammazza-blog. Sarebbe un bel gesto tecnico, e gliene saremmo grati.

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Secondo indizio

No alla legge bavaglioE così ci tocca esporlo di nuovo, questo post-it. Pensavamo di averlo attaccato sul fascicolo realtivo al governo Berlusconi, quello riposto nell’archivio delle nefandezze digitali provenienti dai palazzi della politica italiana. Invece dobbiamo constatare che l’esecutivo guidato da Monti, dopo aver teso una mano ai progetti censori dell’Agcom e del suo presidentissimo Corrado Calabrò, riporta in vita il famoso “ammazza blog”, la norma che, contenuta nella bozza del decreto giustizia, obbligherebbe i gestori di qualunque sito Internet alla rettifica così come è regolata per le testate registrate come tali, con prevedibili effetti di deterrenza su tutto quell’universo di commentatori e freelance della Rete nostrana.

Sembra che la “cabina di regia” sull’Agenda Digitale sia una cella di sicurezza dentro la quale sono stati chiusi ambiziosi progetti intorno ai quali continua a crescere la stessa malerba degli attacchi alla Rete contro la quale siamo costretti a lottare da anni.

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La schizofrenia di Calabrò e il silenzio di Monti

In meno di un mese il presidente dell’Agcom, passando per le stanze delle commissioni del Senato, ha detto tutto e il contrario di tutto. Da “andremo avanti” a “dobbiamo attendere che il Governo ci investa dei poteri necessari” fino all’ “emaneremo la delibera entro la fine del mandato”. Entro il 18 maggio, dunque. Tutt’intorno, l’atteggiamento ambiguo del sottosegretario Antonio Catricalà, i dubbi sulle reali possibilità che il testo dell’Authority sia considerato legittimo in sede europea e gli ulteriori (originali) irrigidimenti delle norme previste nel testo antipirateria, come l’oscuramento dei siti in sede amministrativa.

La confusione ormai regna sovrana su un provvedimento destinato a stravolgere le dinamiche della Rete nostrana come la conosciamo ora. Una confusione che a tratti appare voluta, scudo dietro il quale si nascondo gli ultimi atti dell’attentato che si sta consumando nei confronti della comunicazione online. E se questo può essere comprensibile (non giustificabile, comprensibile) per un organismo che ha da tempo svelato la sua mancanza di indipendenza nei confronti di alcuni poteri economici, non è assolutamente accettabile per quel Governo di tecnici nominato proprio per la sua presunta libertà dalle dinamiche corporative che ingessano da decenni il “sistema Italia”.

Catricalà, cercado di spiegare la posizione dell’Esecutivo, ha già toppato, svelando le storture delle dinamiche che viziano la messa a punto di un decreto tanto importante; ora non può che toccare a Monti fermare questo scempio, invitare gli attuali commissari Agcom a esercitare solo poteri di ordinaria amministrazione fino alla scadenza del mandato (leggi “obbligarli, semplicemente fermando il decreto che giace nel cassetto del sottosegretario”) e rimettere al Parlamento la discussione sulla riforma del diritto d’autore. In tema di Internet e digitale il premier è intervenuto in prima persona su beauty contest e Agenda Digitale. Non può esimersi dal farlo anche su questa fondamentale questione. 

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Agcom in bozza

Si prevede inoltre che, in caso di violazione dei conseguenti ordini e delle diffide emanati dall’Autorità, oltre all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie previste dalla legge istitutiva dell’Autorità medesima, questa possa disporre, in casi di particolare gravità ovvero se le violazioni dovessero ripetersi, la completa disabilitazione dell’accesso al servizio telematico oppure, nel caso in cui sia tecnicamente possibile, ai soli contenuti resi accessibili in violazione delle norme sul diritto d’autore (comma 2)

Anna Masera presenta sul suo blog la bozza del decreto sul regolamento che dobbiamo fermare.

Mentre Calabrò è tornato in Senato.

P.s.: per fare informazione in Rete occorre essere giornalisti iscritti all’ordine professionale? Ce lo dirà il tribunale di Pordenone alla fine di un procedimento che Guido Scorza definisce “Un attentato all’informazione online”.

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“Non possiamo farlo. Ma potremo”

Nell’audizione tenuta mercoledì in Senato il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò ha praticamente ammesso di non avere, al momento, una delega che permetta all’authority di emanare il regolamento sul diritto d’autore. Bene? Non proprio. Calabrò, dopo aver sostenuto a lungo di essere legittimato dal decreto Romani, si contraddice ma non molla, annunciando che il Governo è pronto a mettere a punto una norma che lo lascerà libero di attuare lo scempio sulla Rete. In pratica, fa notare Guido Scorza, lo scenario sarebbe quello di

un Governo che vara una norma allo scopo di ‘sanare’ una situazione di illegalità nella quale si è andata ad incastrare un’Autorità semi-indipendente, lasciandosi tirare per la giacchetta da un nugolo di preistorici industriali dell’audiovisivo incapaci di guardare al futuro e pronti a veder sacrificata la libertà di manifestazione del pensiero online sull’altare dei propri portafogli.
È, probabilmente, il peggiore degli epiloghi possibili di una vicenda che aveva già offerto uno spaccato inquietante ed allarmante dello stato di degrado nel quale sono precipitate le nostre istituzioni […] Siamo al golpe contro la Rete.

Come si reagisce ad un golpe? Come si reagisce ad un atto di forza che rende le istituzioni strumento di un potere che non rappresenta un interesse generale ma solo un interesse economico di parte, e per giunta fuori dal tempo?

La risposta sembra essere una sola: resistenza. Resistenza contro uno strappo che si consumerebbe a meno di due mesi dalla fine del mandato degli attuali commissari dell’Agcom. Ribadisco che se i soggetti in gioco non hanno centrato il loro obiettivo nei tempi che avevano previsto è solo grazie alla straordinaria mobilitazione che gli utenti di questo mezzo hanno messo in atto per ripararlo dalla colata di lava che stava per travolgerlo. E in Senato quella mobilitazione è stata citata più volte.

La pressione deve continuare, per evitare questo colpo di mano e per far sì che sia il Parlamento, dopo una discussione che coinvolga tutti (tutti!) gli stakeholder, a legiferare su una riforma del diritto d’autore tarata sulla nuova realtà digitale. E che il rinnovo dei commissari non segua le modalità di martuscielliana memoria. Altrimenti saremmo alla ripetizione del paradosso: l’espressione del tecnicismo al Governo e l’espressione dei partiti dentro un’authority, con il primo a legittimare lo scellerato operato dei secondi.

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Dobbiamo fermarli. Di nuovo

Corrado Calabrò AgcomTra soli due giorni Corrado Calabrò sarà in Parlamento. La squadra dell’Agcom da lui presieduta ha tutta l’intenzione di chiudere la partita del regolamento sul diritto d’autore prima della fine del mandato, ormai imminente. Insomma, questi signori anziché limitarsi (come forse sarebbe giusto) all’ ordinaria amministrazione in attesa di passare il testimone, provano a scappare col malloppo imponendo alla Rete e ai suoi utenti un inaccettabile bavaglio. Li abbiamo già fermati. Ora dobbiamo farlo di nuovo.

Segnalo l’iniziativa di Avaaz: bombardamento ad onorevoli e leader di partito.

p.s.: non c’entra con Internet ma basta come paradigma degli schemi mentali dell’industria del disco; la Corte di Giustizia europea ha stabilito la liceità della diffusione di musica nelle sale d’aspetto dei dentisti, dopo la denuncia che la Società consortile fonografici aveva recapitato ad un dentista torinese (insieme a richiesta di risarcimento di 25mila euro). I motivi sono ovvi: la diffusione di musica non è la principale attività dell’ambiente nel quale avviene e quindi non si configura lo scopo di lucro; inoltre, i pazienti in sala d’attesa non sono classificabili come “pubblico”. Infine, fatela finita con questo tipo di richieste, sono ridicole.

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Paniz si rassegni allo stato di diritto

Il provvedimento di inibizione DNS e IP oggetto dell’ordine di esecuzione firmato dal pubblico ministero è eccessivo rispetto al fine da tutelare, ovvero l’onorabilità di qualsiasi individuo, nella fattispecie l’On Maurizio Paniz. In particolare il Tribunale ha affermato:

‘Le modalità di esecuzione rendono evidente, nei limiti del fumus richiesto dal sequestro, l’eccessività contenutistica del disposto sequestro preventivo in relazione al fine che doveva essere tutelato (l’onorabilità dell’On Paniz), in riferimento alla frase di natura oggettivamente offensiva’

È bello apprendere dall’avvocato Fulvio Sarzana che il Tribunale della Libertà di Belluno ha a cuore le tutele costituzionalmente garantite alla libertà d’espressione, molto più di chi ha sequestrato il sito Vajont.info e di chi, dopo averne denunciato gli amministratori per una frase ritenuta diffamatoria, aveva esultato per il provvedimento. Ed è bello che per la seconda volta in sede di giudizio vengano accolte le ragioni dei provider.

A dirla tutta, Paniz potrà rassegnarsi facilmente, in realtà. Al provvedimento di dissequestro dell’intero sito si affianca infatti il permanere dell’oscuramento della frase incriminata e la condanna dell’amministratore del sito Tiziano Del Farra a pagare una multa di 900 euro e un risarcimento danni di 10mila all’onorevole.

In pratica la misura che il giudice avrebbe dovuto prendere all’inizio senza scatenare sequestri e dissequestri. Se c’è una frase diffamatoria su un sito, è giusto che la si tolga, e si condanni chi l’ha scritta; ma il resto dei (perfettamente leciti) contenuti va lasciato a disposizione degli utenti.

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Curiose coincidenze

British Telecom e Talk TalkNel giugno 2011 i provider britannici British Telecom e TalkTalk presentavano ricorso contro il Digital Economy Act (DEA), legge di enforcement sul diritto d’autore che ricalca i contenuti di quella che fu definita “cura Mandelson”. Il ricorso è stato respinto oggi da una Corte d’Appello. Coincidenza, si apprende in queste ore dell’accusa di aver “chiuso un occhio nei confronti della pirateria” mossa proprio ai due provider. Operatori di BT e TalkTalk sarebbero stati intercettati mentre consigliavano pacchetti broadband a clienti che chiedevano delucidazioni in merito all’utilizzo di BitTorrent e sistemi per il filesharing, quando avrebbero dovuto avvertirli che no, non si fa, è pirateria.

La magistratura britannica dovrà ora appurare se davvero in quelle telefonate si davano consigli su come mettere in pratica “pirateria a banda larga”, mentre i due provider da un lato dovranno difendersi dalle accuse e dall’altro potranno continuare la loro battaglia contro il DEA in sede di Corte di Giustizia Europea. Di sicuro, non manca materiale per qualche teoria del complotto su una macchina del fango 2.0. 

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Against ACTA. Again

Incollo qui sotto l’email che mi è arrivata dai ragazzi di Avaaz in merito alla nuova raccolta firme contro il cammino europeo di ACTA:

Cari amici in Europa,

Fra pochi giorni la Commissione europea giocherà la sua ultima carta per rilanciare ACTA, ma se interverremo subito potremo neutralizzare questo attacco mondiale alla libertà di internet.

Siamo vicini alla vittoria: la nostra petizione forte di 2,4 milioni di firmeha scosso i politici in tutta Europa e fermato i censori. Ora però la Commissione europea è sulla difensiva e si è rivolta alla Corte di giustizia sperando di ricevere un orientamento positivo su ACTA, visto che ha presentato una questione di legalità molto limitata.

Ma se uniremo le nostre voci ora potremo far sì che la Corte prenda in considerazione tutte le conseguenze legali di ACTA e che rilasci una valutazione che dica la verità sull’attacco di ACTA ai nostri diritti. Firma la petizione urgente al Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso per chiedere alla Corte di dire tutta la verità:

http://www.avaaz.org/it/acta_time_to_win_eu//?vl

La Commissione europea ha passato 5 anni a negoziare in segreto ACTA con le multinazionali, ma nelle ultime 5 settimane siamo riusciti a portare il dibattito di ACTA allo scoperto. Ora la Commissione sta facendo il possibile per ottenere il via libera della Corte di giustizia per evitare il naufragio di ACTA . La Commissione, esperta in sotterfugi burocratici, potrebbe presentare alla Corte soltanto una questione molto limitata, prevenendo così il giudizio di legalità sulle conseguenze di ACTA sulla nostra libertà di espressione, privacy e democrazia.

Abbiamo costretto i governi di Polonia, Germania, Bulgaria e altri paesi a sospendere la ratifica. E ora se vinceremo questa battaglia alla Commissione europea potremo fermare ACTA una volta per tutte . Se l’Ue non ratificherà ACTA, questo non potrà mai diventare un trattato globale e i negoziatori dovranno rimettersi al tavolo per produrre un accordo che contrasti gli abusi ma allo stesso tempo protegga i nostri diritti.

Chiediamo con urgenza alla Commissione e alla Corte di dedicare ad ACTA un’udienza completa ed equa, per garantire che sia raccontata tutta la verità su questo pericolo alle nostre libertà fondamentali. Firma ora e gira questo messaggio a tutti:

http://www.avaaz.org/it/acta_time_to_win_eu//?vl

Milioni di noi hanno partecipato alla battaglia per la libertà di internet e per fermare le leggi bavaglio degli Stati Uniti. Abbiamo vinto, ma ora il pericolo è in agguato con ACTA. Nessuno credeva che saremmo riusciti a fare quello che abbiamo fatto: insieme abbiamo fermato la marcia del trattato verso la ratifica. Portiamo a termine quanto abbiamo cominciato e sconfiggiamo ACTA una volta per tutte!

Con speranza e determinazione,

Alex, Pascal, Laura, Alice, Ricken, Dalia, Diego e tutto il team di Avaaz

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Il nostro giochino preferito

C’è una evidente differenza di approccio tra il risicato spazio che viene riservato all’Agenda Digitale sui mezzi d’informazione mainstream e l’entusiasmo con il quale invece gli addetti ai lavori della Rete accolgono ogni piccolo passo in avanti che si registra in questo senso.

Guardando i nostri Tg nazionali sembra quasi che le questioni legate al digitale restino confinate nello spazio degli “smanettoni”, quello spazio che non influirebbe su tutto il sistema ma si limiterebbe a restituire un giochino più prestante a noi che lo utilizziamo tutti i giorni per alimentare quello che è un volano economico che non ha alcun paragone nella “vita materiale”. No, molto meglio le disquisizioni sui massimi sistemi, il faccione di Gasparri che viene chiamato ancora a commentare anche la farfalla di Belen e gli interminabili “braccio di ferro” tra le “parti sociali”, con la Camusso che ogni tanto scende dal “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo e dice che no, l’articolo 18 non si tocca e no, le email per parlare con il Ministro non vanno bene, salvo poi permettere ai suoi di utilizzare Twitter per degli slogan che sembrano uscire dai tavoli di una Festa dell’Unità quando i fiaschi di vino rosso sono finiti.

Insomma, più i temi legati allo sviluppo digitale si impongono come prioritari più il nostro sistema si rivela impreparato ad accogliergli come tali. Non si può dunque che fare affidamento sulle forzature e gli strappi che unilateralmente (ma neanche tanto) questo Governo sta imponendo al sistema di cui sopra. E a proposito di “Agenda Digitale per l’Italia di Domani“, gli si dedica un discreto spazio nel documento col quale gli uomini del presidente riassumono i primi cento giorni dell’Esecutivo.

Risulta confermata la volontà di farla viaggiare in parallelo agli obiettivi fissati da Europa2020, con la fine del decennio, appunto, indicata come scadenza per i piani che vedono al centro la liberazione dei dati delle pubbliche amministrazioni, “la trasparenza, la responsabilità e l’efficienza del settore pubblico”, il tutto “puntando ad alimentare l’innovazione e stimolare la crescita economica”.

Priorità vengono indicate nell’ “uso sociale della tecnologia, la realizzazione delle reti di nuova generazione e, più in generale, l’alfabetizzazione digitale”. Si parla dell’ormai celeberrima “cabina di regia”: “a questa spetterà il compito di coordinare l’azione delle amministrazioni centrali e territoriali: i Ministeri, le Regioni, gli Enti locali e le Autorità indipendenti. La cabina di regia opererà su cinque fronti: Banda larga e ultra-larga (quasi 5,6 milioni di italiani si trovano in condizione di divario digitale, mentre sono almeno 3000 le località nel Paese che soffrono di un ‘deficit infrastrutturale’ soprattutto al Sud e nelle aree rurali), Smart Communities/Cities (l’Agenda digitale italiana stanzia nuovi finanziamenti per realizzare le piattaforme tecnologiche necessarie a consentire alle città di adottare la filosofia smart), Open data (si pensi che, nella sola Europa, il “valore” dell’informazione pubblica ammonta a circa 140 miliardi di euro l’anno), Cloud Computing e E-government (un esempio concreto è quello degli appalti pubblici, con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Le imprese, dal 1 gennaio 2013, presenteranno alla Banca tutta la documentazione contenente i requisiti di carattere generale, tecnico ed economico)”.

Si parla poi di deroghe al patto di stabilità interno che permetteranno a diverse regioni di sfruttare per quest’anno, il prossimo e il 2014, circa un miliardo di euro per co-finanziare i fondi strutturali europei; di questa cifra, 423 milioni di euro sono indirizzati verso l’Agenda Digitale.

Ora attendiamo di sapere cosa ne pensa Gasparri e se la Camusso e gli altri sindacati inizieranno a capire che un nuovo sistema economico che scalpita a ridosso del sistema delle tutele rende indispensabile la revisione di alcune pratiche, schemi mentali e modalità d’azione politico-sociale ormai segnati dal tempo.

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Diffamato, defacciato

Ecco cosa appare in queste ore andando sul sito dell’onorevole Maurizio Paniz, il quale, insieme al suo collega Domenico Scilipoti, ha querelato per diffamazione il sito Vajont.info.

Non è in discussione il sacrosanto diritto dei due a tutelare la propria dignità, ma il sito in questione è stato sequestrato e tutti i contenuti da esso ospitati resi irraggiungibili, tutti. Per una sola frase ritenuta diffamatoria. Senza contare ulteriori effetti collaterali di una simile mostruosità. È un attentato alla libertà di parola che nella vita “materiale” scatenerebbe manifestazioni mastodontiche in piazza. Ecco, sarebbe ora che si reagisse alla stessa maniera per gli abusi che le autorità compiono in Rete e che non ci si indignasse solo quando un giornale cartaceo “antagonista” è costretto a chiudere per fallimento.

Update 20 febbraio – Il testo del provvedimeto di sequestro preventivo (prendo da Fulvio Sarzana).

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Una firma per Hamza

His Majesty King Abdullah Bin Abdul Aziz Al Saud
The Custodian of the two Holy Mosques
Office of His Majesty the King
Royal Court, Riyadh
KINGDOM OF SAUDI ARABIA

Sua Maestà,

sono un simpatizzante di Amnesty International, l’Organizzazione non governativa che dal 1961 agisce in difesa  dei diritti umani, ovunque nel mondo vengano violati.

Le scrivo per sollecitarLa a revocare l’ordine d’arresto nei confronti di Hamza Kashgari.

Le chiedo di rilasciarlo immediatamente e senza condizioni, che l’inchiesta venga archiviata e che nell’immediato egli possa essere assistito da un avvocato di sua scelta, anche nel corso degli interrogatori.

La ringrazio per l’attenzione.

Il messaggio è di Amnesty International (rubo da IlNichilista). Hamza Kashgari è un ragazzo saudita che ha espresso in tre tweet un pensiero non ortodosso sul compleanno di Maometto. Per questo ora rischia una condanna a morte per apostasia. Le firme potrebbero anche non servire a nulla, certo. Ma neanche ci costano, nulla, mentre ad Hamza l’aver espresso un sentimento religioso in un paese del tardo medioevo industriale può costare la vita. Firma qui la petizione in sua difesa.

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A due velocità

In queste ore il divario tra la Rete e  il mezzo televisivo sta emergendo in maniera davvero preoccupante per chi, dal tubo catodico, continua a dare spazio a personaggi che nel frattempo vengono smascherati su Internet per quello che sono: populisti allarmisti che dalla paura e dalle emergenze traggono la propria forza. E quando l’emergenza non c’è, la creano, con le loro richieste all’esercito, con le loro accuse alla Protezione Civile, con la loro logorroica onnipresenza peraltro in abbigliamenti che neanche sulle piste da sci, ridicoli in confronto alla quantità di neve caduta sul suolo delle loro città.

Ho usato il plurale ma ogni riferimento al Sindaco di Roma Gianni Alemanno è puramente voluto. E nel frattempo, altre zone d’Italia vengono ignorate nonostante migliaia di famiglie siano isolate senza beni di prima necessità e le persone muoiono dentro ambulanze impalate nella neve. Anche qui, ogni riferimento alla Marsica, al centro dell’Abruzzo, è puramente voluto. Ma la Rete si sta organizzando mentre guarda nel retrovisore i “colleghi” della tv.

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