Articoli con tag Controllo

I post in stand by, la mappa dei materiali, le nuove avventure

Lareteingabbia si prende una pausa, ma non lo fa chi cura il blog. In realtà era già da tempo che la sezione dedicata ai post non veniva aggiornata, tanto da rendere quasi tardiva una tale precisazione. Tuttavia, è l’occasione per informare chi legge che questo stand by non ha coinvolto la sezione “Tutto quello che c’è da sapere“; i materiali ospitati sul blog sono stati infatti aggiornati e da questo momento saranno anche localizzati su una mappa; clicca sull’immagine qui sotto per aprirla a tutto schermo e consultare gli ultimi pdf condivisi.

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Inoltre, chi avesse voglia di seguirmi altrove troverà di sicuro interesse gli approfondimenti radiofonici settimanali ai quali collaboro nella trasmissione di Radio Radicale Presi per il Web.

Buon ascolto!

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“Senatori che uccidono la Rete”. Il flash mob al Pantheon

sulatesta al Pantheon

La “salva Sallusti” in discussione al Senato “metterà il bavaglio a chi fa informazione sul Web, disincentivando giornalisti e blogger a scrivere per paura di ricevere richieste di rimozione, essere trascinati in tribunale ed essere multati”. #Sulatesta ha così organizzato un flash mob in piazza del Pantheon per protestare contro “una norma che con la scusadella libertà di informazione rischia di uccidere le nuove forme di espressione sul Web”. Tra gli altri, Alessandro Gilioli, Gianfranco Mascia e Guido Scorza, armati di tastiere, mouse e cavi ethernet e circondati da un nastro giallo con su scritto “Scena del crimine. Senatori che uccidono la Rete”.

Update – Stando a quanto afferma Scorza di ritorno dal Transatlantico di Montecitorio, anche l’impostazione data dalla Cassazione, di cui si parlava nel precedente post, sembra saltata.

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La “salva Sallusti” senza “ammazza blog”

La “salva Sallusti” è stata approvata da poche ore dalla commissione Giustizia del Senato e si prepara all’esame dell’aula. Tra le disposizioni previste nel testo, l’obbligo di rettifica per le testate telematiche. Questa spada di Damocle che ormai da anni si ripresenta sulla testa di chi scrive sul Web sembra tuttavia aver perso la sua caratteristica più minacciosa; resterebbero infatti esclusi dagli obblighi di rettifica entro 48 ore i blog e i siti che hanno carattere informativo ma che non sono registrati come testate.

Dunque, di nuovo arginati i più censori e pericolosi intenti di quella parte del nostro universo politico sempre pronta a usare il manganello contro chi affida ai bit il proprio pensiero? Vedremo. Sembra intanto ribadita l’impostazione che vede l’obbligo di registrazione delle testate telematiche e il rispetto di tutti gli oneri che ne derivano come passaggio meramente amministrativo del quale devono farsi carico solo coloro che voglio accedere ai contributi pubblici dell’editoria, come ha più volte stabilito la Corte di Cassazione.

Ma c’è da vigilare sul prossimo passaggio istituzionale prima di dirsi certi che questa sia una buona notizia per l’informazione online.

Update 24 ottobre – Come volevasi dimostrare, Guido Scorza informasul fatto che in realtà quegli intenti censori restano intatti in altre forme. 

E arriva il diritto all’oblio, che se non rispettato si traduce in multe salate. Anche per i blog. Ma c’è chi non la vede così nera

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Il governo Monti in un pantano digitale

La discontinuità sistemica inaugurata dal governo tecnico guidato da Mario Monti, chiamato a svolgere l’ingrato compito di risanatore dei bilanci dello Stato, non sembra essere molto evidente in materia di regolamentazione di Internet, mercato televisivo e, soprattutto, in quell’intersezione che si crea tra i due insiemi. L’esecutivo “dei professori” è ormai a palazzo Chigi dal novembre scorso, otto mesi durante i quali il consiglio dei ministri ha inanellato una serie di piccoli successi alternandoli a grosse concessioni al sistema che ha governato per decenni l’ambiente mediatico della Penisola.

La partenza è stata timida ma tutto sommato di segno positivo. Già nel “Pacchetto semplificazioni” presentato alla fine di gennaio veniva infatti riservato un occhio di riguardo alle potenzialità di Internet e delle “reti telematiche”. Il focus è lo sviluppo della banda larga e l’imposizione dell’open data a tutta la rete della pubblica amministrazione che, contensutalmente, dovrà condividere i dati tra i vari settori sfruttando le tecnologie “a nuvola”. A marzo  partiva così il percorso dell’Agenda Digitale targata Monti, coordinata da una “cabina di regia” che alla metà del mese era pronta a partire (qui il documento ufficiale della roadmap). Benissimo per un paese che in materia di digital divide si trova sempre a guardare con invidia gli altri paesi europei.

Alla “cabina” si è affiancata in seguito anche l’Agenzia per l’Italia digitale, che però non è altro se non il nuovo nome della DigitPa, l’ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione che ha cambiato sigla più volte senza mai arrivare a svolgere il suo compito a regime. L’ennesimo lifting, insomma, al quale si accompagnano le prime perplessità sulla reale discontinuità alla quale si accennava poco sopra. Le nomine dell’Agenzia sembrano infatti destinate a seguire il destino di quelle di Rai ed Agcom: lottizzazione spinta e tanti saluti a trasparenza e meritocrazia. La modalità si assegnazine dei compiti inoltre, facendo comfusione tra le varie agenzie, rischia di provocare cortocircuiti nella gestione dello spazio pubblico online, senza contare i ritardi con i quali si stanno consumando le nomine stesse. Ultimamente è stato Paolo Donzelli, tra le altre cose responsabile della sopra citata “cabina di regia”, a proporre la sua idea sull’utilizzo della posta elettronica certificata, in merito alla quale assicura che presto sarà possibile eleggere a domicilio digitale la casella personale. Una bellissima idea, se non fosse che è possibile farlo dal 2006. E al passare delle settimane la situazione sembra entrare in ulteriore stallo e la cabina di regia stenta ad imprimere la svolta verso l’Italia 2.0.

L’atteggiamento del consiglio dei ministri nei confronti della Rete aveva assunto tinte fosche soprattutto il 29 aprile scorso, quando il ministro della giustizia Paola Severino, intervendo al festival del Giornalismo di Perugia, aveva dichiarato di vedere di buon occhio l’introduzione dell’obbligo di rettifica per i blogger perché “la Rete, in fondo, è troppo deregolamentata”. Basta solo accennare che argomento della discussione è la famosa norma “ammazza blog”, rimbalzata negli utlimi anni da un disegno di legge del dicembre 2006 firmato da Ricardo Franco Levi, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Prodi (un’inziativa legislativa che il Times di Londra, il 24 ottobre 2007, arrivò a definire come “un attacco geriatrico ai blogger italiani”), al decreto intercettazioni dell’ex guardasigilli Angelino Alfano, fino alla bozza del decreto giustizia che l’attuale governo stava mettendo a punto proprio nei giorni del festival.

Ma è sulla gestione del mercato televisivo italiano che Monti e la sua squadra si sono maggiormente macchiati di “continuità” con l’ancien regime. Sembrava lodevole l’aver annullato, ad aprile, il beauty contest che avrebbe regalato preziosi spazi nell’etere al duopolio Rai-Mediaset; ma oltre ai pesanti dubbi che si sono sollevati nelle ore successive al provvedimento, appare chiaro che la compagnia del Biscione, che contro la decisione dell’esecutivo ha fatto ricorso al Tar del Lazio, sembra conservare importanti santi in Parlamento.

Nella legge di conversione del decreto sui contributi all’editoria viene infatti piazzata una norma che amplifica la portata della legge Gasparri, la 112 del maggio 2004. Per chi l’avesse dimenticato, il testo firmato dall’attuale capogruppo del Pdl al Senato fu una raffinata operazione di congelamento dello status quo a tutto vantaggio di Mediaset. Veniva infatti previsto il Sistema integrato delle comuncazioni (Sic), un paniere che delimita un’area entro la quale nessun soggetto può superare il 20% di ricavi complessivi pena l’essere considerato in posizione dominante e dunque lesiva del pluralismo. Detto così sembra una norma di buon senso, se non fosse che il paniere in questione è talmente onnicomprensivo da attenuare la portata dello strapotere dei dupopolisti nel mercato televisivo diluendolo in un più vasto insieme di settori. Un insieme che, e veniamo ai nostri professori, viene ora ulteriormente slargato; nel Testo unico della radiotelevisione, figlio della legge Gasparri, vengono inseriti tra i “ricavi” anche quelli derivanti da “pubblicità on line e sulle diverse piattaforme anche in forma diretta, incluse le risorse raccolte da motori di ricerca, da piattaforme sociali e di condivisione”. 

L’obiettivo sembra essere quello di dare all’Agcom maggiore potere di intervento sugli “over the top” della Rete come Google, Facebook e affini. Il che non sarebbe scandaloso se non si stesse considerando, come spiega l’avvocato Guido Scorza su L’espresso, alla stregua di soggetti editoriali alcune imprese del Web che non hanno un controllo di natura, appunto, editoriale su ciò che passa sotto il loro logo. Inoltre, sempre stando all’analisi di Scorza, si sottrae ad un ampio dibattito parlamentare una norma che innesca un effetto domino che abbassa ulteriormente la percentuale di “estensione sul mercato” di Mediaset allargandone, di conseguenza, i confini dell’impero che è già suo. Questo sì che sembra poter ledere il pluralismo, e viene da riflettere sul fatto che si parla di una norma spinta verso la Gazzetta ufficiale da un esecutivo che poggia anche sui voti del Partito Democratico, che sul conflitto di interessi del Cavaliere ha costruito più di una campagna elettorale.

E non va meglio con l’ultima fresca assegnazione di frequenze agli operatori del broadcasting, atto che, stando all’analisi di Alessandro Longo, rischia di bloccare importanti spazi per la banda larga nel 2016, quando un terzo di essi dovranno essere destinati alla broadband, come previsto dalle norme europee.

Mario Monti ha assicurato nei giorni scorsi che nel 2013 non si ricandiderà per la poltrona di premier, lasciando la partita in mano agli scalpitanti leader di partito della seconda repubblica. Ha dunque meno di un anno per rilanciare l’azione legislativa sulla Rete e sull’intero panorama mediatico italiano tirandola fuori dalle sabbie mobili di palazzo dentro le quali sembra essersi impantanata strada facendo.

Magari il propulsore sarà il bando diffuso dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca il 5 luglio, il quale certifica lo stanziamento di 655 milioni di euro per lo sviluppo di “Smart cities and communities”: le “comunità e città intelligenti” dovranno fare leva sulle tecnologie digitali per incrementare i servizi in settori come sicurezza del territorio, invecchiamento della società, tecnologie di welfare ed inclusione, qualità della vita, giustizia, scuola, gestione dei rifiuti e dell’energia e tecnologie cloud per la pubblica amministrazione. Proprio il cuore di quell’Agenda Digitale. In bocca al lupo.

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Riccardi: “Un giro di vite contro il razzismo online”. Serve davvero?

Il ministro della cooperazione internazionale Andrea Riccardi si è “messo al lavoro per mettere le mani dentro al Web”. Lo ha dichiarato nella sua prima visita ufficiale alla sinagoga di Roma, nella serata di lunedì. L’obiettivo è quello di prevedere pene più severe per “i seminatori di odio e xenofobia via Internet” come la possibilità di ricorrere “all’oscuramento dei siti” e di “perseguire i visitatori non occasionali”. Riccardi assicura di lavorare “in sinergia” con il ministro della Giustizia, Paola Severino, e degli Interni, Anna Maria Cancellieri, per consegnare alla polizia postale “gli strumenti già usati per combattere altri reati del web”.

Il giro di vite contro il razzismo online promesso dal ministro somiglia agli annunci che in questi anni abbiamo sentito arrivare dal “palazzo” dopo ogni fatto di cronaca al quale i giornali hanno dato attenzione. E che l’attuale governo, su questo tipo di provvedimenti, si pone fin troppo in linea col sistema che è chiamato a riformare ce l’aveva fatto capire la Severino in tema di “ammazzablog”.

Ministro, la Rete non ha bisogno di altre norme. Non è coltivando l’elefantiasi del nostro sistema legislativo che si combatte il razzismo che viaggia online. I sequestri preventivi messi in atto (spesso anche oltre misura) dalle autorità dimostrano che di strumenti ce ne sono già a sufficienza. Mentre questo tipo di annunci sanno tanto di quel populismo col quale ogni giorno speriamo di aver chiuso il giorno precedente.

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Acta, game over?

Quasi dispiace per tutte le lobbies e tutti gli organismi che per anni ne hanno discusso in gran segreto dietro porte chiuse dalle quali uscivano solo stralci di testo oscurati e fuorvianti. Ma Acta è stato bocciato dal Parlamento Europeo con una maggioranza schiacciante, dopo aver preso mazzate in tutte le commissioni per le quali era transitato e aver scontato la chiusura da parte di paesi come Germania, Svizzera, Polonia, Bulgaria e Paesi Bassi. La speranza è che la presa di posizione dell’Europarlamento si tramuti in uno sforzo volto a riportare la discussione sulla riforma del copyright nei luoghi deputati alla rappresentanza del popolo sovrano.

Chi rifiuta Acta chiede solo l’apertura del dibattito su un nuovo regime di diritto d’autore a tutti gli stakeholders. Nessuno vuole legalizzare la pirateria in quanto tale, ma solo mettere a punto un sistema di tutela delle opere e dei loro autori che sia in grado di rispondere a tutti (tutti!) i soggetti che interagiscono in un contesto digitale.

Uno scenario da augurarsi anche guardando al Parlamento di casa nostra, così densamente popolato di omini pronti ad assecondare il volere di questa e quella major (e dei signori della Siae) e sempre più in difficoltà nel vedere che finalmente lo strumento contro il quale combattono riesce ad ottenere delle schiaccianti vittorie.

I promotori di Acta ci proveranno ancora, come tanti Giovanni Fava sparsi per il mondo. Ma lo faranno con la consapevolezza di poter essere battuti nelle sedi di più alto livello istituzionale. Ma soprattutto noi saremo consapevoli di poterli andare a prendere lì e lì schiacciarne i peggiori intenti.

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Agcom, trasparenza e prese in giro

Agorà Digitale denuncia l’ennesimo affronto fatto a chi si batte per la trasparenza nelle nomine Agcom. A questo punto l’intervento dei caschi blu sarebbe benvenuto.

UpdateNicotra invita i parlamentari a disobbedire.

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La Regione Lazio diventa open

L’open data passa la prova del Consiglio regionale, che approva il testo di legge sul “riutilizzo delle informazioni e dei dati pubblici”. Grazie a questa norma sarà possibile avere accesso all’enorme mole di dati custoditi nei database della “Pisana” così da permettere a chiunque lo sviluppo di statistiche e servizi o anche solo una più dettagliata valutazione dell’attività amministrativa regionale. L’esempio dichiarato non è da poco: il portale Data.gov, fortemente voluto negli Stati Uniti da Barack Obama. Una norma che viaggia verso il Bollettino ufficiale grazie all’impegno sul tema da parte dei Radicali.

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Agcom, proroga di 60 giorni. Ma non oltre

La prorogatio degli organi collegiali dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni “non potrà protrarsi oltre i 60 giorni dalla scadenza del mandato dei suoi componenti”. A scriverlo è la seconda sezione del Consiglio di Stato nel parere sul quesito presentato dalla stessa Agcom. Il mandato del presidente Corrado Calabrò e dei commissari scade domani. Per il Consiglio “non sembra esserci dubbio” che i componenti di tutti gli organismi dell’authorithy siano di nomina parlamentare, anche il presidente, perché nonostante sia “nominato con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, vede la proposta della propria nomina sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari, che devono esprimere parere favorevole a maggioranza dei due terzi dei propri componenti”. Per il Consiglio l’importanza delle mansioni svolte dall’Agcom non permette una sospensione dell’attività; tuttavia, proprio perché di proroga trattasi, “l’organo dovrebbe limitarsi all’adozione degli atti di ordinaria amministrazione e di quelli urgenti ed indifferibili”. 

Dunque, entro 60 giorni dovremmo sapere se i prossimi sette anni saranno caratterizzati, come gli ultimi, dalla necessità di combattere un’autorità (in)dipendente o se stavolta le nomine (ci crediamo poco, davvero poco) non saranno il prodotto dei soliti giochi di palazzo.

In questo, non resta che augurarci #Quinta4President.

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Non siamo clandestini

Un blogger non deve registrare il suo spazio online come una testata tradizionale, non è sottoposto a disposizioni della legge sulla stampa come, per dirne una, l’obbligo di rettifica, e la sua “creatura” non rientra tra i prodotti editoriali discilipnati dalla 62/2001. A sancirlo è la Corte di Cassazione, che ieri ha messo la parola fine al procedimento che vedeva imputato il giornalista di Accadeinsicilia Carlo Ruta, che viene ora assolto dal reato di stampa clandestina perché “il fatto non sussiste”. Si scrive così un’importante pagina della regolamentazione della Rete nostrana.

Alla fine del maggio 2011 Ruta è stato condannato dalla prima sezione della Corte d’Appello di Catania per il reato di stampa clandestina, disciplinato dall’articolo 16 della legge sulla stampa (n.47 dell’8 febbraio 1948). Già condannato dal tribunale di Modica nel 2008, Ruta è impegnato in inchieste riguardanti politica e collusioni con la mafia. Era stato citato in giudizio dal procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera, che si riteneva danneggiato dai contenuti dello spazio online. A Catania si stabiliva ora che il blog necessitava di una registrazione presso un tribunale perché equiparato ad un giornale cartaceo; in mancanza di registrazione avrebbe dunque operato in clandestinità.

Adesso la Suprema Corte ribalta tutto e cancella una delle spade di Damocle che pendevano sulla testa dei blogger. Restano vive le altre, e la citazione iniziale dell’obbligo di rettifica non è casuale. Vero, ministro Severino?

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La resa di Calabrò e l’intervento dell’Onu

Confindustria e Fimi se ne facciano una ragione, ma stavolta abbiamo vinto noi. Ed è stata una grossa battaglia, che rischiava di essere vanificata da un governo di tecnici che dopo i vaneggiamenti è passato al silenzio, per decidere, infine, di non sporcarsi le mani. Pur contribuendo a rimettere subito le formazioni in trincea avallando la mancanza di trasparenza nelle nomine dei nuovi commissari Agcom, tanto da costringere l’Onu ad intervenire.

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Ministro Severino, non ci siamo

Paola Severino, ministro della GiustiziaRubo dal blog di Massimo Mantellini questo passaggio dell’intervento del ministro della Giustizia Paola Severino al festival del giornalismo di Perugia. Come giusto e prevedibile la Severino ha dovuto rispondere alle domande sulla reintroduzione dell’ “ammazza blog”, tra le quali quella del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, che si chiede perché una così marcata penalizzazione dei “diari online”. Così il ministro:

Vede per quanto riguarda i blog il problema non è certo quello di vederli con sfavore; il problema è di reprimere anche lì l’abuso.
 Cosa che è più difficile perché il giornale ha una sua consistenza cartacea, il giornalista è individuabile, l’editore anche, dunque è possibile intervenire. Il blog ha una diffusione assolutamente non controllata e non controllabile ed è capace di provocare dei danni estremamente più ampi del giornale, estremamente più diffusi.
 Ecco perché io dicevo che bisogna vederne anche la parte oscura. E’ un fenomeno sicuramente positivo per certi aspetti, ma è un fenomeno nel quale si possono annidare tante cose negative. Può essere per esempio un punto criminogeno. L’anonimato che spesso accompagna questo tipo di comunicazione può anche incentivare all’uscita delle pulsioni… alla manifestazione delle pulsioni più oscure e normalmente represse, lo abbiamo constatato in tanti casi: Facebook come punto d’incontro e come punto dal quale poi nascono incontri che hanno conclusioni criminose estremamente gravi.
Quindi non si tratta certamente di un preconcetto; si tratta della sensazione che questo mondo vada regolamentato.
Che pur nella spontaneità che ne rappresenta la caratteristica non possa trasformarsi in arbitrio: e questo credo che sia un messaggio importante.

Dunque, partendo dall’inizio, secondo il ministro un blogger è incontrollabile solo perché può essere anonimo. Non serve spendere troppe parole sulla genericità di tale affermazione.

Il punto più preoccupante è il quadro che dipinge il ministro secondo il quale la blogsfera sarebbe totalmente deregolamentata. Insomma, non esisterebbe la possibilità di applicare norme che già esistono per reati (nel suo linguaggio “abusi”) come la calunnia o la diffamazione. Secondo la Severino invece bisogna importare altre regole, tra le quali, appunto, quell’obbligo di rettifica che non si consiclia assolutamente con l’attività del blogger, almeno non nei tempi e nei modi indicati dal famigerato comma figlio del precedente governo.

Voler considerare per forza la Rete come un far west gioca solo a favore di chi vuole imporle regole scellerate e deleterie della libertà di informazione; e in Italia abbiamo decine di esempi di settori iper regolamentati ma che dall’elefantiasi di norme, codici e codicilli hanno ricavato solo ingessatura da un lato e scorciatoie per i più furbi dall’altro.

Che poi l’opera di filtro critico esercitato dai giornalisti-Giornalisti e dai grandi giornali sulle notizie sia ancora scandalosamente necessaria è fuori dubbio (anzi lo è ancor più di prima; più aumenta la complessità della realtà circostante più si rende necessario tale esercizio di analisi e sistematizzazione); ma da qui a pensare che bisogna regolamentare le “pulsioni” di blogger e frequentatori dei social network francamente ci passa l’abisso che divide un buona governante da un finto educatore e pseudo psicologo sociale.

Dunque, ministro, faccia semplicemente ammenda e ritiri l’ammazza-blog. Sarebbe un bel gesto tecnico, e gliene saremmo grati.

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Secondo indizio

No alla legge bavaglioE così ci tocca esporlo di nuovo, questo post-it. Pensavamo di averlo attaccato sul fascicolo realtivo al governo Berlusconi, quello riposto nell’archivio delle nefandezze digitali provenienti dai palazzi della politica italiana. Invece dobbiamo constatare che l’esecutivo guidato da Monti, dopo aver teso una mano ai progetti censori dell’Agcom e del suo presidentissimo Corrado Calabrò, riporta in vita il famoso “ammazza blog”, la norma che, contenuta nella bozza del decreto giustizia, obbligherebbe i gestori di qualunque sito Internet alla rettifica così come è regolata per le testate registrate come tali, con prevedibili effetti di deterrenza su tutto quell’universo di commentatori e freelance della Rete nostrana.

Sembra che la “cabina di regia” sull’Agenda Digitale sia una cella di sicurezza dentro la quale sono stati chiusi ambiziosi progetti intorno ai quali continua a crescere la stessa malerba degli attacchi alla Rete contro la quale siamo costretti a lottare da anni.

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Lo pseudonimo non è uno scudo

Utilizzare uno pseudonimo non salva da una multa chi apre una casella di posta elettronica a nome di un altro. A stabilirlo è la Cassazione, che afferma: la “partecipazione ad aste on line con l’uso di uno pseudonimo presuppone necessariamente che a tale pseudonimo corrisponda una reale identità, accertabile on line da parte di tutti i soggetti con i quali vengono concluse le compravendite. E ciò, evidentemente, al fine di consentire la tutela delle controparti contrattuali nei confronti di eventuali inadempimenti”.

Con queste motivazioni la Terza sezione penale ha convalidato una sanzione di 1140 euro per il reato di sostituzione di persona nei confronti di un uomo che aveva utilizzato i dati anagrafici di una donna per aprire a suo nome un account e una casella di posta elettronica, facendo così ricadere sull’inconsapevole intestataria le morosità dei pagamenti di beni acquistati ad aste in Rete.

Inutile il ricorso dell’uomo, che puntava a dimostrare di aver partecipato alle aste con un nome di fantasia e di aver utilizzato i dati della donna solo per l’iscrizione.

Più in generale la Suprema Corte nella sentenza 12479 spiega che rientra nel “reato di sostituzione di persona, la condotta di colui che crei e utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della Rete Internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese”.

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Paniz si rassegni allo stato di diritto

Il provvedimento di inibizione DNS e IP oggetto dell’ordine di esecuzione firmato dal pubblico ministero è eccessivo rispetto al fine da tutelare, ovvero l’onorabilità di qualsiasi individuo, nella fattispecie l’On Maurizio Paniz. In particolare il Tribunale ha affermato:

‘Le modalità di esecuzione rendono evidente, nei limiti del fumus richiesto dal sequestro, l’eccessività contenutistica del disposto sequestro preventivo in relazione al fine che doveva essere tutelato (l’onorabilità dell’On Paniz), in riferimento alla frase di natura oggettivamente offensiva’

È bello apprendere dall’avvocato Fulvio Sarzana che il Tribunale della Libertà di Belluno ha a cuore le tutele costituzionalmente garantite alla libertà d’espressione, molto più di chi ha sequestrato il sito Vajont.info e di chi, dopo averne denunciato gli amministratori per una frase ritenuta diffamatoria, aveva esultato per il provvedimento. Ed è bello che per la seconda volta in sede di giudizio vengano accolte le ragioni dei provider.

A dirla tutta, Paniz potrà rassegnarsi facilmente, in realtà. Al provvedimento di dissequestro dell’intero sito si affianca infatti il permanere dell’oscuramento della frase incriminata e la condanna dell’amministratore del sito Tiziano Del Farra a pagare una multa di 900 euro e un risarcimento danni di 10mila all’onorevole.

In pratica la misura che il giudice avrebbe dovuto prendere all’inizio senza scatenare sequestri e dissequestri. Se c’è una frase diffamatoria su un sito, è giusto che la si tolga, e si condanni chi l’ha scritta; ma il resto dei (perfettamente leciti) contenuti va lasciato a disposizione degli utenti.

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Against ACTA. Again

Incollo qui sotto l’email che mi è arrivata dai ragazzi di Avaaz in merito alla nuova raccolta firme contro il cammino europeo di ACTA:

Cari amici in Europa,

Fra pochi giorni la Commissione europea giocherà la sua ultima carta per rilanciare ACTA, ma se interverremo subito potremo neutralizzare questo attacco mondiale alla libertà di internet.

Siamo vicini alla vittoria: la nostra petizione forte di 2,4 milioni di firmeha scosso i politici in tutta Europa e fermato i censori. Ora però la Commissione europea è sulla difensiva e si è rivolta alla Corte di giustizia sperando di ricevere un orientamento positivo su ACTA, visto che ha presentato una questione di legalità molto limitata.

Ma se uniremo le nostre voci ora potremo far sì che la Corte prenda in considerazione tutte le conseguenze legali di ACTA e che rilasci una valutazione che dica la verità sull’attacco di ACTA ai nostri diritti. Firma la petizione urgente al Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso per chiedere alla Corte di dire tutta la verità:

http://www.avaaz.org/it/acta_time_to_win_eu//?vl

La Commissione europea ha passato 5 anni a negoziare in segreto ACTA con le multinazionali, ma nelle ultime 5 settimane siamo riusciti a portare il dibattito di ACTA allo scoperto. Ora la Commissione sta facendo il possibile per ottenere il via libera della Corte di giustizia per evitare il naufragio di ACTA . La Commissione, esperta in sotterfugi burocratici, potrebbe presentare alla Corte soltanto una questione molto limitata, prevenendo così il giudizio di legalità sulle conseguenze di ACTA sulla nostra libertà di espressione, privacy e democrazia.

Abbiamo costretto i governi di Polonia, Germania, Bulgaria e altri paesi a sospendere la ratifica. E ora se vinceremo questa battaglia alla Commissione europea potremo fermare ACTA una volta per tutte . Se l’Ue non ratificherà ACTA, questo non potrà mai diventare un trattato globale e i negoziatori dovranno rimettersi al tavolo per produrre un accordo che contrasti gli abusi ma allo stesso tempo protegga i nostri diritti.

Chiediamo con urgenza alla Commissione e alla Corte di dedicare ad ACTA un’udienza completa ed equa, per garantire che sia raccontata tutta la verità su questo pericolo alle nostre libertà fondamentali. Firma ora e gira questo messaggio a tutti:

http://www.avaaz.org/it/acta_time_to_win_eu//?vl

Milioni di noi hanno partecipato alla battaglia per la libertà di internet e per fermare le leggi bavaglio degli Stati Uniti. Abbiamo vinto, ma ora il pericolo è in agguato con ACTA. Nessuno credeva che saremmo riusciti a fare quello che abbiamo fatto: insieme abbiamo fermato la marcia del trattato verso la ratifica. Portiamo a termine quanto abbiamo cominciato e sconfiggiamo ACTA una volta per tutte!

Con speranza e determinazione,

Alex, Pascal, Laura, Alice, Ricken, Dalia, Diego e tutto il team di Avaaz

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Diffamato, defacciato

Ecco cosa appare in queste ore andando sul sito dell’onorevole Maurizio Paniz, il quale, insieme al suo collega Domenico Scilipoti, ha querelato per diffamazione il sito Vajont.info.

Non è in discussione il sacrosanto diritto dei due a tutelare la propria dignità, ma il sito in questione è stato sequestrato e tutti i contenuti da esso ospitati resi irraggiungibili, tutti. Per una sola frase ritenuta diffamatoria. Senza contare ulteriori effetti collaterali di una simile mostruosità. È un attentato alla libertà di parola che nella vita “materiale” scatenerebbe manifestazioni mastodontiche in piazza. Ecco, sarebbe ora che si reagisse alla stessa maniera per gli abusi che le autorità compiono in Rete e che non ci si indignasse solo quando un giornale cartaceo “antagonista” è costretto a chiudere per fallimento.

Update 20 febbraio – Il testo del provvedimeto di sequestro preventivo (prendo da Fulvio Sarzana).

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Una firma per Hamza

His Majesty King Abdullah Bin Abdul Aziz Al Saud
The Custodian of the two Holy Mosques
Office of His Majesty the King
Royal Court, Riyadh
KINGDOM OF SAUDI ARABIA

Sua Maestà,

sono un simpatizzante di Amnesty International, l’Organizzazione non governativa che dal 1961 agisce in difesa  dei diritti umani, ovunque nel mondo vengano violati.

Le scrivo per sollecitarLa a revocare l’ordine d’arresto nei confronti di Hamza Kashgari.

Le chiedo di rilasciarlo immediatamente e senza condizioni, che l’inchiesta venga archiviata e che nell’immediato egli possa essere assistito da un avvocato di sua scelta, anche nel corso degli interrogatori.

La ringrazio per l’attenzione.

Il messaggio è di Amnesty International (rubo da IlNichilista). Hamza Kashgari è un ragazzo saudita che ha espresso in tre tweet un pensiero non ortodosso sul compleanno di Maometto. Per questo ora rischia una condanna a morte per apostasia. Le firme potrebbero anche non servire a nulla, certo. Ma neanche ci costano, nulla, mentre ad Hamza l’aver espresso un sentimento religioso in un paese del tardo medioevo industriale può costare la vita. Firma qui la petizione in sua difesa.

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Fava: bocciato!

Fava bocciatoL’emendamento Fava è stato respinto nel voto odierno sulla Legge Comunitaria alla Camera. La Rete ringrazia chi ha evitato lo scempio. Adesso, onorevole Fava, dopo averci provato tre voltea sfregiare questo mezzo, la faccia finita.

Update 2 febbraio – Niente di particolare, l’ho visto, mi ha gustato parecchio e lo posto.

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Proteste giuste, ma per i motivi sbagliati?

Mi sembra doveroso segnalare questo pezzo di Valigiablu, nel quale si mette in luce come ACTA sia avversato in queste ore forse per i motivi sbagliati. Non è una difesa del trattato, anzi, è ben sottolineato il danno che esso creerebbe e gli scenari ai quali darebbe modo d’esistere, ma si fa una specie di grande rettifica sul alcuni dei punti nodali (che ho toccato anch’io quindi è doppiamente giusto che io segnali il post).

Da diversi mesi ci stiamo occupando di ACTA, abbiamo intervistato il Portavoce dell’UE per il commercio John Clancy e fatto un punto sulla protesta e seguito il percorso ‘legislativo’ con il primo sì da parte di 22 Stati membri dell’UE. Siccome, come sempre, pensiamo che una protesta debba essere informata, continuiamo il nostro approfondimento proponendo questo articolo che analizza la fragilità e la debolezza della protesta contro questi accordi.

Continua a leggere su ValigiabluSegnalo anche l’analisi di Arturo Di Corinto.

ACTA è solo in apparenza un accordo commerciale: in realtà esso è di natura legislativa. Perciò è Inaccettabile che i parlamentari italiani siano stati esclusi dal processo, mentre 42 dirigenti delle industrie con interessi correlati a brevetti e copyright hanno potuto accedere ai documenti e concorrere alla loro formulazione, mentre si richieda di accettare come fatto compiuto i risultati di un lavoro svolto in segreto.
Non è ammissibile che a decidere del futuro della libertà e ad interferire con le leggi di uno Stato sovrano siano pochi funzionari e rappresentanti di corporation.

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