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L’unica conclusione che posso trarre è che l’ambiente di Internet è una risorsa della quale va incentivato lo sviluppo nell’interesse del più ampio benessere sociale, e che vanno al contempo compresi i suoi pericoli così da strutturare un sistema di regolamentazione funzionale proprio a quello sviluppo.
Il tutto stigmatizzando senza appello il controllo censorio e il filtraggio mossi dagli scopi politici o economici di pochi. L’impostazione più consona alla regolamentazione di Internet, date le caratteristiche del mezzo, sembra dunque essere la costante collaborazione tra il legislatore, la magistratura, il governo, le autorità in generale e i produttori di contenuti (chiamati soprattutto a elaborare modelli di business adatti alla Rete) nonché i fornitori di servizi, i provider, gli intermediari e la sempre più vasta comunità degli internauti.
Stiracchiando un paio di concetti al di fuori del loro ambito, potremmo dire che bisogna passare da una “legislazione broadcast” ad una “legislazione netcast”.
Detto in altri termini, la Rete non sta bene in una gabbia, ma solo in un’altra rete.L’intervento a Radio1 – 10 aprile 2013
L’intervento a Radio1 – 28 dicembre 2011
L’intervento a Radio1 – 11 ottobre 2011
Da blogger a direttore responsabile in un colpo solo. E senza filtro
Pubblicato da Marco Ciaffone in Italia il 8 Maggio 2013
Sei hai un blog e qualcuno inserisce commenti diffamatori sotto un tuo post, che tu abbia un filtro o meno, potresti essere condannato per diffamazione. È la amara conclusione che arriva dal tribunale di Varese, dove una ragazza di 21 anni è stata condannata per la presenza, sul suo diario online, di alcuni commenti ritenuti lesivi dell’immagine della responsabile di una casa editrice.
Il giudice ha deciso di applicare alla giovane le norme previste dalla legge sulla stampa 47 del 1948 e dall’articolo 595 del codice penale, quello sulla diffamazione appunto, finendo per equiparare la figura della blogger a quella di un direttore di testata. Un’impostazione che stride con quella che la corte di Cassazione dava nel luglio 2010 con la sentenza 35511, dove si leggeva chiaramente:
A maggior ragione l’articolo 57 del codice penale non potrebbe valere per un blogger, soprattutto se non esercita alcun filtro sui commenti che arrivano sul suo blog (come nel caso in questione). Tanto che in precedenza anche direttori responsabili sono stati assolti in situazioni analoghe. Il caso più noto è quello dell’ex direttore dell’Espresso online Daniela Hamaui; nella sentenza si leggeva che il commento che l’aveva portata in tribunale “non era un commento giornalistico, ma un post inviato alla rivista da un lettore, automaticamente pubblicato, senza alcun filtro preventivo”.
Tra le motivazioni della sentenza di Varese si legge, invece:
In pratica, sembra dire il tribunale, che tu sia direttore di una testata registrata o tu sia un blogger, e che nello specifico tu abbia un filtro o meno sui tuoi contenuti è indifferente: se c’è una diffamazione sul tuo sito, da qualunque parte venga, sei responsabile della diffamazione. E in più senza che risulti imputato l’autore materiale del commento incriminato. Uno scenario che farà tremare le vene ai polsi di chi riceve decine di commenti ad ogni post che pubblica e sembra disegnato sull’“amazza blog”, legge che però, per fortuna, non è mai entrata in vigore.
La corte di Varese (in passato protagonista di una condanna per un blog satirico francese accusato di aver diffamato Renzo Bossi) chiude, inoltre, facendo la morale al sistema:
Risuonano gli echi dei recenti dibattiti sulla presunta “anarchia del Web”. Il che rende la vicenda, se possibile, ancora più triste.
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