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Riccardi: “Un giro di vite contro il razzismo online”. Serve davvero?

Il ministro della cooperazione internazionale Andrea Riccardi si è “messo al lavoro per mettere le mani dentro al Web”. Lo ha dichiarato nella sua prima visita ufficiale alla sinagoga di Roma, nella serata di lunedì. L’obiettivo è quello di prevedere pene più severe per “i seminatori di odio e xenofobia via Internet” come la possibilità di ricorrere “all’oscuramento dei siti” e di “perseguire i visitatori non occasionali”. Riccardi assicura di lavorare “in sinergia” con il ministro della Giustizia, Paola Severino, e degli Interni, Anna Maria Cancellieri, per consegnare alla polizia postale “gli strumenti già usati per combattere altri reati del web”.

Il giro di vite contro il razzismo online promesso dal ministro somiglia agli annunci che in questi anni abbiamo sentito arrivare dal “palazzo” dopo ogni fatto di cronaca al quale i giornali hanno dato attenzione. E che l’attuale governo, su questo tipo di provvedimenti, si pone fin troppo in linea col sistema che è chiamato a riformare ce l’aveva fatto capire la Severino in tema di “ammazzablog”.

Ministro, la Rete non ha bisogno di altre norme. Non è coltivando l’elefantiasi del nostro sistema legislativo che si combatte il razzismo che viaggia online. I sequestri preventivi messi in atto (spesso anche oltre misura) dalle autorità dimostrano che di strumenti ce ne sono già a sufficienza. Mentre questo tipo di annunci sanno tanto di quel populismo col quale ogni giorno speriamo di aver chiuso il giorno precedente.

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Ministro Severino, non ci siamo

Paola Severino, ministro della GiustiziaRubo dal blog di Massimo Mantellini questo passaggio dell’intervento del ministro della Giustizia Paola Severino al festival del giornalismo di Perugia. Come giusto e prevedibile la Severino ha dovuto rispondere alle domande sulla reintroduzione dell’ “ammazza blog”, tra le quali quella del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, che si chiede perché una così marcata penalizzazione dei “diari online”. Così il ministro:

Vede per quanto riguarda i blog il problema non è certo quello di vederli con sfavore; il problema è di reprimere anche lì l’abuso.
 Cosa che è più difficile perché il giornale ha una sua consistenza cartacea, il giornalista è individuabile, l’editore anche, dunque è possibile intervenire. Il blog ha una diffusione assolutamente non controllata e non controllabile ed è capace di provocare dei danni estremamente più ampi del giornale, estremamente più diffusi.
 Ecco perché io dicevo che bisogna vederne anche la parte oscura. E’ un fenomeno sicuramente positivo per certi aspetti, ma è un fenomeno nel quale si possono annidare tante cose negative. Può essere per esempio un punto criminogeno. L’anonimato che spesso accompagna questo tipo di comunicazione può anche incentivare all’uscita delle pulsioni… alla manifestazione delle pulsioni più oscure e normalmente represse, lo abbiamo constatato in tanti casi: Facebook come punto d’incontro e come punto dal quale poi nascono incontri che hanno conclusioni criminose estremamente gravi.
Quindi non si tratta certamente di un preconcetto; si tratta della sensazione che questo mondo vada regolamentato.
Che pur nella spontaneità che ne rappresenta la caratteristica non possa trasformarsi in arbitrio: e questo credo che sia un messaggio importante.

Dunque, partendo dall’inizio, secondo il ministro un blogger è incontrollabile solo perché può essere anonimo. Non serve spendere troppe parole sulla genericità di tale affermazione.

Il punto più preoccupante è il quadro che dipinge il ministro secondo il quale la blogsfera sarebbe totalmente deregolamentata. Insomma, non esisterebbe la possibilità di applicare norme che già esistono per reati (nel suo linguaggio “abusi”) come la calunnia o la diffamazione. Secondo la Severino invece bisogna importare altre regole, tra le quali, appunto, quell’obbligo di rettifica che non si consiclia assolutamente con l’attività del blogger, almeno non nei tempi e nei modi indicati dal famigerato comma figlio del precedente governo.

Voler considerare per forza la Rete come un far west gioca solo a favore di chi vuole imporle regole scellerate e deleterie della libertà di informazione; e in Italia abbiamo decine di esempi di settori iper regolamentati ma che dall’elefantiasi di norme, codici e codicilli hanno ricavato solo ingessatura da un lato e scorciatoie per i più furbi dall’altro.

Che poi l’opera di filtro critico esercitato dai giornalisti-Giornalisti e dai grandi giornali sulle notizie sia ancora scandalosamente necessaria è fuori dubbio (anzi lo è ancor più di prima; più aumenta la complessità della realtà circostante più si rende necessario tale esercizio di analisi e sistematizzazione); ma da qui a pensare che bisogna regolamentare le “pulsioni” di blogger e frequentatori dei social network francamente ci passa l’abisso che divide un buona governante da un finto educatore e pseudo psicologo sociale.

Dunque, ministro, faccia semplicemente ammenda e ritiri l’ammazza-blog. Sarebbe un bel gesto tecnico, e gliene saremmo grati.

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