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L’unica conclusione che posso trarre è che l’ambiente di Internet è una risorsa della quale va incentivato lo sviluppo nell’interesse del più ampio benessere sociale, e che vanno al contempo compresi i suoi pericoli così da strutturare un sistema di regolamentazione funzionale proprio a quello sviluppo.
Il tutto stigmatizzando senza appello il controllo censorio e il filtraggio mossi dagli scopi politici o economici di pochi. L’impostazione più consona alla regolamentazione di Internet, date le caratteristiche del mezzo, sembra dunque essere la costante collaborazione tra il legislatore, la magistratura, il governo, le autorità in generale e i produttori di contenuti (chiamati soprattutto a elaborare modelli di business adatti alla Rete) nonché i fornitori di servizi, i provider, gli intermediari e la sempre più vasta comunità degli internauti.
Stiracchiando un paio di concetti al di fuori del loro ambito, potremmo dire che bisogna passare da una “legislazione broadcast” ad una “legislazione netcast”.
Detto in altri termini, la Rete non sta bene in una gabbia, ma solo in un’altra rete.L’intervento a Radio1 – 10 aprile 2013
L’intervento a Radio1 – 28 dicembre 2011
L’intervento a Radio1 – 11 ottobre 2011
Condannerete Zuckerberg per il mio status
Pubblicato da Marco Ciaffone in Italia il 14 Maggio 2013
Se si condanna un blogger per commenti “fuorilegge” postati da terzi con l’argomento che il blogger stesso ha una responsabilità diretta in quanto titolare dello spazio (Varese prima, Roma poi) a prescindere dal reale controllo o filtro esercitati e dal ruolo attivo o passivo svolto dal soggetto si affermano altre pesanti cose di riflesslo.
Ad esempio, che la responsabilità è anche di chi ha messo a disposizione del blogger una piattaforma (Google? WordPress?), e di chi ha dato la possibilità a tutti i soggetti di creare lo spazio, accedervi e postare contenuti in violazione della legge (i provider). Di più, se si chiama in causa nella sentenza un profilo o una pagina Facebook, allora le responsabilità per contenuti diffamatori o considerati apologia di reato se le dovrebbe accollare anche Mark Zuckerberg,o chi per lui rappresenta il social network in sede legale.
Ultimo, a chi riceve montagne di commenti a post e status non resterebbe che fare una scelta: passare le giornate a scremare contenuti pericolosi, rischiarsela ogni giorno o chiudere i rubinetti della conversazione (prosciugando così l’anima più profonda della rete). Basterebbe questo a palesare la terrificante imponenza dell’attacco mosso da certe sentenze alla libertà di espressione online, ma c’è anche di più: la disciplina europea in materia di intermediazione e le pronunce della Corte di Cassazione. E mi sembra abbastanza.
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