Un nuovo capitolo della difficile storia del WiFi nel nostro paese. Era il 26 ottobre 2010 quando il nostro governo proponeva per decreto una bozza di regolamento in attuazione della direttiva europea 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni. Si chiude oggi la consultazione pubblica sul documento nel quale è possibile leggere che “i lavori di installazione, di allacciamento e di collaudo delle apparecchiature terminali […] finalizzati alla realizzazione di un impianto interno di comunicazione elettronica, nonché i lavori di manutenzione o di trasformazione, sono eseguiti dalle imprese titolari di autorizzazione generale per l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazione elettronica”. Insomma, gli utenti sarebbero tenuti ad affidarsi a questi professionisti (che a loro volta sono tenuti ad iscriversi ad un albo la cui creazione è prevista nello stesso decreto) per ognuno dei passaggi e degli aspetti relativi alla connessione, con evidenti aumenti di intermediazione e dunque costi, per dare seguito ad una fino ad ora inapplicata legge del 1992 per effetto della quale erano arrivate pochi mesi prima del decreto multe a negozianti milanesi. L’articolo 10 della bozza esclude gli impianti con “una capacità non superiore a dieci punti di utilizzo finale”, il che escluderebbe i router che acquistiamo nei negozi ma non quelli che verrebbero inviati dagli operatori su richiesta dell’abbonato; operatori che si troverebbero così a dover inviare una squadra di tecnici ( un direttore dei lavori e due aiutanti) a casa di chi richiede un abbonamento per collegare router e modem, oltre a vari altri cavilli burocratici presenti su tutto il percorso. Il fai da te potrebbe costare caro, con multe che vanno dai 15 ai 150mila euro.
Ancora una volta sembra ribaltato lo spirito della direttiva dalla quale si parte, visto che la 2008/63/CE prescriveva misure volte a alla liberalizzazione del settore di telecomunicazione e il controllo dei dispositivi per promuovere standard che rendano la concorrenza praticabile su scala continentale. La norma invece sembra scoraggiare la nascita di piccoli Isp che si ritroverebbero di fronte ad una burocrazia ostile. Sembra che per norme definitive si debba attendere fino al prossimo dicembre; nel frattempo però il ministero è obbligato ad emettere provvedimenti in materia, che si spera siano correttivi. Speranza non peregrina dato che lo stesso Paolo Romani dichiara di non aver ancora preso in mano il testo. Magari dandogli una letta…