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Lareteingabbia a Radio1: “Monti pensi alla Rete!”

Qui sotto l’audio del mio intervento a Radio1 nella trasmissione mattutina CheckIn del 28 dicembre. Una bella occasione per gridare da una radio nazionale “dateci la bandaaaa!”.

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Kwangmyong

No non significa condoglianze. Kwangmyong è la intranet nazionale della Corea del Nord, la quale rispecchia nella realtà digitale l’isolamento che ha vissuto sotto tutti i punti di vista il paese asiatico in questi decenni di dittatura, e che purtroppo sembra destinato a vivere ancora.

La morte del despota Kim Jong-il è l’occasione per guardare da vicino uno dei più asfissianti contesti mai concepiti dal censore di Internet. Il regime socialista di Pyongyang infatti non si limita a filtrare il web, ma agisce alla radice, permettendo la connessione esclusivamente alla sopra citata intranet, nella quale sono comprese solo poche decine di siti approvati dal governo e alla quale può accedere solo una minoranza privilegiata. I siti accessibili nella Kwangmyong sono per lo più siti di propaganda del regime, i siti delle agenzie governative, siti di apologia di Kim Jong Il e di suo padre Kim Il Sung, e siti che inneggiano alla riunificazione su base socialista delle due Coree; la Corea del Sud, in risposta a questo atteggiamento, provvede a censurare sistematicamente i flussi di messaggi online provenienti dal Nord, in particolare quelli di Twitter. Senza contare le “schermaglie digitali” sul 38esimo parallelo (ad inizio luglio 2011 un rapporto della McAfee attribuiva gli attacchi subiti nelle settimane precedenti dai siti sudcoreani al governo di Pyongyang, che starebbe così facendo le prove generali di una cyberguerra. Nel frattempo, sempre dalla Nord Corea arrivavano infiltrazioni di hacker nei circuiti di giochi online dei vicini del Sud per racimolare fondi in maniera illecita).

Tornando tutta a Nord, ad un’ancor più ristretta cerchia di persone e agli stranieri è invece concessa la connessione al World Wide Web, anche per una questione di accessibilità economica (le tariffe degli Internet point non sono compatibili con gli stipendi medi dei cittadini).

Non esistono in generale media indipendenti in Corea del Nord, tutta l’informazione è controllata dalla giunta militare al potere, ma Internet ha una particolarità: avendo attivato un dominio di primo livello “.kp” solo nell’ottobre 2010, i server sui quali si basa la Nordcorea sono per lo più in Cina, Giappone, Germania e perfino Texas, comprese le pagine http://www.korea- dpr.com (pagina Web della Corea del Nord) e http://www.kcna.co.jp (la home page della Korean Central News Agency).

Molti cittadini stanno guadagnando un libero accesso a Internet tramite le reti mobili che si appoggiano a server cinesi (quindi in realtà Internet libero fino ad un certo punto, diciamo che si va dalla brace alla padella) e che vengono attivate su dispositivi comprati al mercato nero. Dal maggio 2004 è infatti vigente nel paese il divieto della telefonia mobile. Alla fine di maggio 2011 partiva a Pyongyang la messa a punto di tre diversi modelli di computer e device mobili interamente costruiti nel paese (o almeno passati al vaglio del regime prima della messa in commercio); un altro tassello nell’autarchia digitale perseguita dal defunto “Caro Leader”.

Come dicevo, c’è anche un fattore economico dietro la quasi nulla diffusione di Internet nella parte nord della penisola coreana: pc, corsi di alfabetizzazione digitale e connessioni sono incredibilmente costose per i sudditi del regime, e c’è da credere che sia esso stesso a far sì che le tariffe restino così alte. Pertanto, sebbene l’articolo 67 della Costituzione socialista garantisce la libertà di parola e di stampa, non vi è alcuna possibilità di scardinare il dominio dello Stato sull’accesso ad Internet come su qualunque manifestazione del diritto di espressione. Un piccolo spiraglio si aprì nell’estate 2010, quando il governo decise di aprire un proprio account su Twitter e Youtube; i contenuti finora caricati sono ovviamente soltanto propaganda di regime e accuse agli oppositori (repubblica del Sud inclusa), ma insieme all’imminente passaggio di consegne al vertice dello stato questo dato potrebbe innescare un certo rinnovamento.

O almeno speriamo, perché le lacrime viste in tv questi giorni dipingono scenari di propaganda che l’umanità ha bisogno di lasciarsi alle spalle.

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Censura privata. E l’ipocrisia della Lega

Dunque, la Universal Music Group avrebbe un accordo privato con Google che le permette di chiedere la rimozione di qualunque contenuto da Youtube. Cioè, un privato chiede ad un privato di rimuovere un contenuto caricato da un utente. In barba a garanzie costituzionali come il Primo Emendamento statunitense e tutte le altre a tutela della libertà d’espressione. Poco importano i motivi, resta il problema di fondo: una piattaforma come Youtube (e valga anche per Facebook e tutte le altre piattaforme di UGC) dal momento in cui diventa un mezzo di espressione per centinaia di milioni di persone resta uno spazio privato o assume i contorni dell’agorà pubblica nel quale devono in primis valere le regole dello stato di diritto?

Tanto più che nello specifico sembra infondata l’accusa mossa a Megaupload: il cyberlocker qualche settimana fa diffondeva il materiale di una sua nuova campagna pubblicitaria messa a punto con il supporto di numerosi artisti legati a diverse major (e dunque alla RIAA). La Universal chiedeva ripetutamente a Youtube di censurarne un video, i cui elementi però risultavano essere di proprietà del cyberlocker. Nonostante tutto, il canale di Megaupload rischia di essere chiuso per ripetute infrazioni tutte da provare. Il caso è approdato in tribunale pochi giorni fa. Qui una ricostruzione dellla vicenda.

Nel frattempo in Italia il caro senatore leghista Giovanni Fava prova ancora (si ancora, ci aveva già provato ad agosto) ad introdurre una norma che interviene sul regime di responsabilità degli intermediari disponendo che alla segnalazione di un titolare di diritti un intermediario della comunicazione online deve rispondere, subito e a prescindere dalle prove, con la rimozione dei contenuti. Anche oltre le idiziozie del regolamento Agcom e contro le ultime disposizioni che arrivano dall’Europa e gli orientamenti del Tribunale di Roma (che richiamando la sentenza della Corte Europea di aprile 2011 sul contenzioso SABAM – Scarlet, ha ritenuto illegittima la richiesta di Mediaset di imporre a Google di sorvegliare “a monte” affinché sui suoi servizi non passino materiali protetti dal copyright del biscione; cioè, non si può imporre ad un provider tale tipo di filtraggio preventivo).

Insomma, resistenze, passi in avanti e reazioni. Ma dei reazionari ci siamo scassati le scatole.

p.s.: lo dicano i leghisti che provano a tornare alle orgini coi cartelli in Parlamento che la loro contaminazione con quella che chiamano “Roma ladrona” li ha portati a sposare le cause delle multimilionarire major. Lo dicano, ipocriti.

Update 22 dicembreYoutube smentisce la presenza di un accordo con UMG. E’ una buona notizia. Restano comunque le perplessità e i quesiti che mi sono permesso di sollevare.

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Rojadirecta, antipirateria e censura

RojadirectaAssume i contorni della telenovela la querelle tra Rojadirecta, popolarissimo sito di indexing di eventi sprotivi in streaming, e le autorità degli Stati Uniti d’America. Ma soprattutto, si evidenziano modalità d’azione nella lotta alla pirateria che troppo spesso sconfinano nel terreno della censura.

Ripercorriamo le tappe della vicenda: nel febbraio 2011 il governo di Washington lanciava l’Operation in Our Sites, una campagna che prevede la disconnessione dei siti ritenuti responsabili di violazione di copyright; tra essi finiva appunto Rojadirecta, il quale veniva oscurato nei suoi domini .org e .com (tutti a utilizzare rojadirecta.es, dunque, vista la sentenza della Corte Suprema spagnola che giudica il sito come intermediario protetto dal “safe harbor europeo”).

Tuttavia, nel giugno 2011 arrivava la contromossa dei legali della startup spagnola Puerto 80, proprietaria del servizio, i quali trascinavano davanti ad un giudice federale i giudici di New York che avevano emesso la sentenza di disconnessione; essi avrebbero commesso un illecito ordinando la chiusura di quello che dovrebbe essere considerato, a detta degli avvocati, un mero servizio di indexing (si chiede in sostanza di essere trattati in America come in Spagna). Puerto 80 diventava così il primo gestore di siti a ribellarsi ad una chiusura ordinata dallo U.S. Immigration and Customs Enforcement (ICE) e dal Department of Justice (DoJ). Nell’agosto 2011 un giudice federale confermava l’oscuramento dei due domini (mentre a novembre arrivavano altri 130 sigilli nell’ambito dell’OinOS).

Poche ore fa, la svolta: un giudice di New York stabilisce la marcia indietro sui domini di Rojadirecta non essendo sufficienti le prove a dimostrazione della “volontarietà nella distribuzione di link alle partite trasmesse in streaming”. Tuttavia, si rimanda di 30 giorni la liberazione dei domini in attesa di nuove prove da parte dell’accusa. Una procedura nuovamente contestata dai legali di Puerto 80, che parlano di abuso e violazione del Primo Emendamento da parte del DoJ, perché tali blocchi sono contemplati nell’ordinamento USA solo in caso di pericolo per la sicurezza nazionale.

La scorsa settimana un caso che dimostra come queste ragioni non siano campate in aria e che questo tipo di battaglie antipirateria siano borderline con la censura: il sito Dajaz1 veniva dissequestrato dopo un anno di sequestro per presunta violazione di copyright senza che fossero date spiegazioni né sul primo né sul secondo provvedimento. Solo il fatto che mancassero prove sul reato; in pratica è stato messo offline e tenuto in quello stato per mesi senza ragioni.

Non solo da noi è aperta la caccia al censore: la battaglia contro le misure arbitrarie delle autorità in materia di copyright è, purtroppo, d’attualità anche nel paese che ha dato i natali alla Rete. 

Update – Mentre resta sotto sequestro la rete di Italianshare, il Tribunale di Roma respinge le richieste avanzate da Mediaset ai danni di Google e riafferma con forza: non si può imporre ad un intermediaro di sorvegliare preventivamente ciò che gli utenti diffondono tramite i suoi spazi online. Punto.

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Due belle notizie

Un paio di piccoli lumi in questa manovra: meno carte bollate per le Web tv e l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di prendere in considerazione i software open source nei loro bandi. In attesa di misure “strutturali” ci accontentiamo di due piccole toppe.

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Forse ha ragione la Lega

Il titolo non spaventi, è ovviamente una provocazione. Però quando le camicie verdi parlano delle radicali differenze che intercorrono tra i paesi dell’Unione lanciano un messaggio che torna alla mente in giornate come questa.

Leggo che in Germania vengono aboliti i filtri alla Rete (“l’unico modo per evitare che siti come quelli pedopornografici vengano visti è eliminarli”, e le liste nere risultano più un pericolo che una garanzia, non sai mai cosa può andarci a finire dentro), che in Svizzera il P2P non rappresenta un indiscriminato fumo negli occhi per un interno sistema ipergarantista ma solo degli interessi di pochi.

Mentre da noi i provider devono comprarsi una pagina sul primo quotidiano economico del Paese per lanciare un allarme sul regolamento che sta per varare l’Agcom in materia di fibra ottica, a loro detta foriero di inaccettabili irrigidimenti verso il monopolio. Agcom, autorità che ha più volte dimostrato la sua indipendenza. E la fibra ottica, che per il momento è stata al centro solo di tavoli fallimentari e annunci tanto roboanti quanto fasulli.

Lo so che sono temi disparati tra loro però sono in fondo spie di un approccio di fondo alla materia tutta. Signori della Lega, parlamentari tutti: noi e loro non siamo differenti. Già, noi siamo indietro.

P.s.: Passera dice che l’innovazione beneficerà di fondi e programmi al di là di specifici ruoli all’interno del Governo. Continua l’altalena tra stress e fiducia.

Update 7 dicembre – From Manteblog

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La fiducia contro lo stress

Dunque, ricapitolando: Internet crea più posti di lavoro di quanti non ne distrugga, permette praticamente a tutti i settori dell’economia di sfruttarlo e trarne vantaggio, è un settore produttivo esso stesso e oggi scopriamo anche, grazie al Censis, che Facebook e Twitter sono utili per uscire dalla crisi perché disinnescano le tensioni prossime venture attraverso “l’arricchimento dei rapporti sociali”.

Bene. Monti ha citato l’impegno per l’agenda digitale giusto di striscio nel discorso di presentazione al Senato, ha ignorato la proposta (da valutare quanto utile, questa si) di un ministro per Internet e ha bissato con le nomine dei sottosegretari.

Delle due l’una: o ci stiamo rigirando nella stessa brace di sempre o c’è solo da attendere perché i tecnici sanno quanto trasversale e non confinabile in un recinto sia la propulsione della Rete alla nostra (a qualunque) economia.

Continuo ad essere fiducioso che la spiegazione giusta sia la seconda. Ma solo per combattere lo stress da frustrazioni istituzionali.

P.s.: non c’entra nulla ma questa storia è troppo divertente. Come se Valentino Rossi fosse il testimonial della campagna contro l’evasione fiscale.

Update – Appena pubblicato questo post faccio un giretto in Rete e trovo Riccardo Luna con delle indiscrezioni sulla manovra di lunedì. Sempre più fiducia!

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Internet non si filtra. Almeno, non in Europa

La banda larga non entrerà tra i servizi universali però almeno nessuno degli Stati dell’Unione potrà imporre per legge agli ISP di implementare sistemi di filtraggio per impedire lo scaricamento di file illegali. Lo ha deciso la Corte di Giustizia europea, anteponendo così la privacy degli utenti e la loro libertà di scambiarsi informazioni agli interessi delle major. Senza contare i costi aggiuntivi che dovrebbero sostenere i provider e tutte le altre norme che impediscono loro di controllare le informazioni che viaggiano sulle loro “reti”.

La Corte risolve quindi la questione pregiudiziale dichiarando che il diritto dell’Unione vieta che sia rivolta ad un fornitore di accesso ad Internet un’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, applicabile indistintamente a tutta la sua clientela, a titolo preventivo, a sue spese esclusive e senza limiti nel tempo”

Lo dico sottovoce: è una vittoria. Soprattutto per chi nel Belpaese, sperando che certi progetti di legge abbiano esaurito il loro percorso, guarda con (timorosa) attesa alle prossime mosse dell’Agcom, pronta a ripresentare tra poche settimane il suo favolosamente scandaloso regolamento in materia di rimozione dei contenuti.

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E’ il diritto, bellezza

CopyleftIl settore creativo è una fonte unica per la crescita, sia economica che sociale. Per un attimo, facciamo un passo indietro dagli strumenti per ricordare quello che stiamo cercando di ottenere. Giuridicamente, vogliamo un quadro ben compreso e applicabile. Moralmente, vogliamo dignità, riconoscimento e un ambiente stimolante per i creatori. Economicamente, vogliamo premiare finanziariamente, in modo che gli artisti possano trarre beneficio dal loro duro lavoro ed essere incentivati a creare di più.

Sono una sostenitrice incondizionata di questi obiettivi. Ma chiediamoci, è il sistema di diritto d’autore lo strumento giusto e il solo per raggiungere i nostri obiettivi? Non proprio, temo. Dobbiamo continuare a lottare contro la pirateria, ma l’applicabilità giuridica sta diventando sempre più difficile. Nel frattempo i cittadini percepiscono le parole “diritto d’autore” e tutto quello che c’è dietro con sempre maggiore odio e insofferenza. Purtroppo, molti vedono il sistema attuale come uno strumento volto a punire e non riconoscere e premiare. E nonostante tutto, se anche servisse solo alla ricompensa economica, saremmo in fallo anche qui”

Si è espressa così l’altro ieri al Forum d’Avignone Neelie Kroes, commissario responsabile dell’attuazione dell’Agenda Digitale continentale.

A meno che non si voglia tacciarla di istigazione alla pirateria o inserire le sue parole tra le demagogie degli scariconi, è evidente quanto sia prioritaria una riforma del diritto d’autore volta alla riaffermazione dello stato di diritto e non ad una sua negazione. 

Ma soprattutto alla valorizzazione dei veri protagonisti delle creazioni artistiche: gli artisti.

Abbiamo bisogno di tornare alle origini e mettere l’artista al centro, non solo della legge sul copyright, ma di tutta la nostra politica sulla cultura e la crescita. In tempi di cambiamento, abbiamo bisogno di creatività e pensiero “out-of-the-box”: arte creativa per superare questo periodo difficile e modelli di business creativi per monetizzare l’arte. E per questo abbiamo bisogno di flessibilità nel sistema, non la camicia di forza di un unico modello. Le piattaforme e i modelli di business che forniscono contenuti, distribuzione e utilizzo possono essere tanto diversi e innovativi quanto il contenuto stesso.

Le ICT possono contribuire a questo proposito. In tutti i tipi di settori, le ICT possono aiutare gli artisti per un contatto con il pubblico diretto ed a basso costo. Allo stesso tempo, possono aiutare il pubblico a trovare e godere del materiale che si adatta alle loro specifiche esigenze, interessi e gusti. Le ICT possono aiutare anche in altri modi, sostenendo sistemi di riconoscimento e ricompensa [più equi di quelli attuali]. […] Non si tratta solo di tecnologia: è un discorso di legislazione intelligente. Abbiamo bisogno di trovare le regole di diritto, il modello giusto per alimentare l’arte,e gli artisti […] Quindi, la legge non dovrebbe prescrivere un particolare modello, ma stabilire un quadro che consenta di fiorire a molti nuovi modelli […] Un sistema di ricompensa della creazione artistica, in tutte le sue dimensioni, deve essere flessibile e sufficientemente adattabile a far fronte a questi nuovi ambienti. Altrimenti uccideremo l’innovazione e gli interessi degli artisti […] Queste idee sono quelle giuste per raggiungere i nostri obiettivi? Non lo so. Ma troppo spesso non riusciamo nemmeno a metterle alla prova a causa di qualche vecchio insieme di regole fatte per un’epoca diversa – che si tratti della Convenzione di Berna, le eccezioni e limitazioni legislazione sulla direttiva IVA o qualche altra legge attuale. Così nuove idee delle quali potrebbero beneficiare gli artisti vengono soffocate prima di poter esprimere i vantaggi che apportano. Questo deve cambiare”

Più chiaro di così solo una frase del tipo “smettetela con la repressione perché sono soldi buttati; il mondo sta girando così e non sarete voi a fermarlo. La musica che passa ora è questa e su questa bisogna ballare”.

P.s.: fa piacere segnalare la sentenza di dissequestro per il sito Alfemminile.com, dopo averne apertamente biasimato il sequestro.


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I progetti digitali del nuovo governo

Mario monti al SenatoOccorre inoltre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l’agenda digitale”.

Obiettivamente, è un po’ pochino se inserito in un discorso durato 45 minuti. Però vogliamo fidarci, e sperare in chi ha visto da vicino la “Strategia di Lisbona” (poi diventata “Europa 2020”), quella che punta a fare crescere il continente puntando su conoscenza, innovazione e società digitale. Ecco, speriamo le ormai iperventilate misure di crescita per il nostro Paese abbiano le stesse basi. Buon lavoro, SuperMario. 

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Si può

Happy Birthday WebHappy Birthday Web non è stata una celebrazione, ma un’occasione. Un’occasione per capire che si può.

L’ospite d’onore è stato naturalmente Tim Berners-Lee, che ha raccontato lo straordinario viaggio che ha portato la sua mente ad elaborare il Web (dal Cern alla programmazione dell’“ipertestuale”), facendo girare il primo browser su un Next. Nel 1991 mette online il primo sito. Per poi regalare al mondo la sua invenzione. I traguardi e gli esempi dei quali parla Berners-Lee vanno oltre l’aneddoto, rappresentando la giusta cornice entro la quale inquadrare il senso degli interventi precedenti e successivi; Berners Lee ha praticamente detto “ragazzi, si può”. Con la Rete si può.

Si può la scuola online di Marco De Rossi, si può perché c’è chi è riuscito a creare valore in Rete da pioniere come Stefano Quintarelli; si può regalare all’umanità la più grande piattaforma di circolazione dei contenuti che essa abbia mai avuto senza che si facciano danni a chicchessìa (e chi si sente danneggiato è perché ancora non ha compreso lo strumento).

Si può decentralizzare l’intelligenza e farne un valore, permettendo a chiunque di contribuire allo sviluppo ed arricchimento dei progetti (che siano software o un piano di valorizzazione urbana in condivisione in un paese, in una nuova fase di crescita della società tutta alla quale partecipa e contribuisce tutta la società). Perseguendo e difendendo la neutralità della Rete e la libertà per ogni utente di apportare il suo arricchimento al sistema.

Si può perché la Rete può migliorare la qualità della politica: la liberazione dei dati rende trasparente il potere e lo avvicina al al cittadino (nuovi strumenti di contatto tra potere e cittadino, che beneficia dell’egovernment e rende possibile il we-gov, contribuendo al wikigovernment e alla wikicrazia). Un progetto su tutti: Wikitalia (che non a caso si presenta con un wikimanifesto modificabile in Rete).

Si può partendo dallo studio del Digital Advisory Group che dimostra quanto può essere proficuo per il rilancio della nostra economia l’investimento nel digitale. E poi Marco Patuano parla del circolo virtuoso che si innescherebbe digitalizzando il vero tessuto della nostra economia, le PMI, e dotandole di banda necessaria, senza contare tutta la sfera del mobile del quale abbiamo solo “aperto appena la porta”.

Si può perché c’è gente in grado di lavorarci sopra seriamente, ci sono passi concreti realizzabili all’interno di un programma di medio e lungo periodo.

Si può perché è “vero più che mai che i mercati sono conversazioni”. Perché il salto di qualità imposto dalle nuove tecnologie all’editoria è ad un punto di non ritorno. E’ chiaro il cambio di paradigma (sono ancora necessari finanziamenti a “giornali tradizionali spesso sconosciuti?”). Ed in questo senso l’esperienza de Il Post e di Luca Sofri, ma anche di un gruppo editoriale innovativo come la Garamond.

Per far si che questo piano decolli queste spinte hanno bisogno di trovare, finalmente, una sponda al top; la speranza è dunque che il governo che si sta costruendo in queste ore sia disponibile a raccogliere l’appello che è partito dall’Internet Governance Forum di Trento e che sarà recapitato a Mario Monti in forma di lettera da Stefano Rodotà (che a Roma ci parla di quanto l’uomo e il cittadino si congiungano in una nuova sfera di diritti, di come dobbiamo unire l’innovazione e l’esistente in diritti ed eguaglianza, di come dobbiamo sfruttare insieme modalità tecnologicamente avanzate ed eguaglianza, del fatto che i diritti non possono essere bloccati, perché “la conoscenza in Rete è un bene comune globale” e non dobbiamo essere “né controllati né consumati in Rete”, e che l’idea che ogni norma sia un’intromissione illecita nel libero sviluppo della Rete è sbagliata, portando come esempio la sua proposta di Articolo 21-bis che punta a tutelare e non restringere i diritti):

Gentile Professore,

Non abbiamo bisogno di ricordarle l’importanza di Internet, spazio di libertà globale, strumento di organizzazione politica e sociale, sostegno indispensabile dell’economia. Lo “spread digitale” dell’Italia nei confronti dei principali paesi del mondo ha ormai raggiunto livelli insostenibili anche per la tenuta economica nazionale. Ancora più preoccupante, anche in queste ore di straordinaria apprensione per la situazione finanziaria del Paese, è il persistere di una condizione di inconsapevolezza politica e di inazione governativa nell’affrontare tale ritardo che pregiudica gravemente le nostre possibilità di crescita e di sviluppo. In particolare, l’incapacità di affrontare i problemi legati alla diffusione della banda larga è indegna di un paese che voglia restare in Europa.

Non si può aspettare il superamento della crisi economica per investire nel digitale, perché, come sancito dalla Commissione Europea nella Strategia 2020, lo sviluppo dell’economia digitale è una delle condizioni imprescindibili per il superamento stesso della crisi.

Nonostante i ritardi, l’economia digitale rappresenta già il 2% del PIL dell’economia nazionale e, negli ultimi 15 anni, ha creato oltre 700.000 posti di lavoro. Internet non può essere più ignorata. Il Paese non può continuare a rimanere politicamente emarginato rispetto a questi temi. Sono state abbandonate le iniziative che, grazie anche a documenti sottoscritti con altri stati, avevano fatto del nostro Paese un indiscusso protagonista dell’iniziativa per un Internet Bill of Rights nel quadro degli Internet Governance Forum promossi dalle Nazioni Unite. A fronte di questo ruolo, negli ultimi anni l’Italia è stata mortificata dall’inazione e da ripetuti tentativi di limitare la libertà in rete e lo sviluppo dell’economia digitale.

L’Internet Governance Forum Italia 2011 si rivolge a Lei affinché un nuovo governo si impegni concretamente, anche attraverso la nomina di un ministro se necessario, per la piena implementazione di un’agenda digitale in conformità con quanto stabilito dall’Europa. Richiamiamo in particolare l’attenzione sull’accesso ad Internet come diritto fondamentale della persona, come già riconosciuto da costituzioni, leggi nazionali e risoluzioni del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa; sul riconoscimento in via di principio della conoscenza come bene comune globale; sulla garanzia della neutralità della rete in relazione ai flussi di dati; sulla definizione di uno statuto del lavoro in rete”.

E viene da essere ottimisti quando si sente uno come Nicola Zingaretti parlare del suo “Provincia WiFi”.

E poi gli esempi di lotta, di blogger che dall’Egitto alla Palestina partecipano allo sviluppo dello strumento con l’entusiasmo di chi sente di poter realizzare qualcosa di grandioso (quando un ragazzo della tua età ti mostra un video fatto col suo cellulare dicendoti “qui ci sparavano addosso” non puoi pensare di tirarti indietro, perché lui ha combattuto contro un regime e tu devi combattere contro un paese addormentato. Ti devi fare un mazzo così ma non rischi certo la vita).

Non c’è altro da aggiungere. C’è solo da mettersi al lavoro.

p.s.: grazie Tim e grazie e tutte quelle persone che come te hanno contribuito a regalarci tutto questo. E grazie a Riccardo Luna, stakanovista evangelist dell’innovazione digitale (perché “Internet è un’autentica arma di costruzione di massa”).

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Le lettere vanno di moda…

Ormai la corrispondenza tra Roma e Bruxelles è pane quotidiano per la cronaca. Stavolta riguarda da vicino noi neitzen: la Commissione Europea scrive all’Agcom per chiedere chiarimenti in merito all’ormai famigerato regolamento contenuto nella delibera 668/2010 e alle modifiche occorse nei mesi.

Nella lettera si richiederebbe all’AGCOM, che aveva ammorbidito a luglio la delibera emessa a dicembre 2010, di reintrodurre l’inibizione all’accesso ai cittadini italiani in caso di siti esteri che violano il diritto d’autore, si consiglierebbe di agire anche nei confronti degli access providers ( e non solo nei confronti degli hosting providers, ovvero di coloro che ospitano i siti che violano il copyright) italiani con l’ordine di inibizione in caso di siti italiani, e si chiede all’AGCOM, in quanto ritenuto evidentemente non in linea con la disciplina europea, di riconsiderare l’introduzione del cd fair use ( ovvero dell’uso amatoriale del copyright che limita la possibilità di adottare il procedimento inibitorio). Quello che costituiva invece l’unica nota positiva dell’intero procedimento.”

Sono parole dell’avvocato Fulvio Sarzana, il quale pubblica in anteprima i contenuti della missiva. Lettura consigliatissima, come l’analisi che fa Guido Scorza.

Update 10 novembre 2011 – La prima versione della lettera viene sostituita da una nuova e ufficiale.

Rilancia (doppio) Guido Scorza a cui si affianca Marco Sicaldone. La Commissione critica i tempi troppo lunghi delle procedure di rimozione, quelli troppo corti concessi alle difese e i poteri eccessivi ed eccedenti che l’Agcom si è autoattribuita.

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La ritirata dei sequestratori di massa

Sentenza dissequestro siti Tribunale di Padova

Si può, in un paese democratico, sequestrare 493 siti Internet perché si presume che, avendo nell’URL il nome di un marchio registrato, essi siano responsabili di violazioni di dritto d’autore? Si può bypassare il momento del controllo caso per caso e intervenire invece con la solita scure, credendo sulla parola al proprietario del marchio che ci dice “vendono i miei prodotti in maniera illecita, tutti, o almeno potrebbero farlo, ne sono sicuro”? Evidentemente no, ma ci hanno provato. Anzi, per un po’ ci sono riusciti.

Ripercorriamo le fasi della vicenda: il 29 settembre 2011 il GIP di Padova Lara Fortuna firma un provvedimento per il sequestro preventivo di ben 493 siti a seguito della denuncia della società proprietaria del marchio di abbigliamento “Moncler”. Il marchio stesso sarebbe stato sfruttato in maniera illecita dai suddetti spazi online; nello specifico infatti le accuse sono commercio di prodotti con segni falsi e vendita di prodotti con segni mendaci. Come spiegava l’avvocato Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito “sembra proprio che il semplice nome di dominio associato al sito sequestrato, sia stato considerato di per sé elemento da cui far scaturire l’illecito contraffattorio. Si tratta quindi in verità di un vero e proprio “sequestro preventivo” di nomi di dominio, “camuffato” da inibizione all’accesso per gli utenti italiani. La richiesta giunta ai provider italiani, inoltre, in ordine alla ricerca attiva delle centinaia di siti internet da oscurare, contrasta contro l’elementare principio in base al quale i provider non possono essere considerati a tutti gli effetti gli sceriffi della rete. Il precedente rischia di ripercuotersi seriamente sulle vendite effettuate tramite i portali di commercio elettronico quali Ebay, che potrebbero essere chiamate a rispondere in concorso con coloro che vendono beni ritenuti contraffatti su internet, e vedersi cosi chiuse le pagine delle inserzioni attraverso lo strumento del sequestro preventivo”.

Poche settimane dopo la sentenza veniva impugnata da Assoprovider e AIIP davanti al Tribunale della Libertà di Padova. Il 2 novembre 2011 su Wired Alessandro Longo scriveva: “Ho scoperto che in Italia al momento sono oscurati 6 mila siti web, di cui solo 900 per pedopornografia. 2.500 lo sono per scommesse/giochi non autorizzati. Il resto sono per reati di contraffazione, violazione del diritto d’autore, persino (raramente) diffamazione. Si spiega così la rabbia dei provider. La buona notizia è che per la prima volta hanno avuto la possibilità di opporsi contro un ordine di oscurare i siti […] Significa che ora c’è un arma in più contro l’abuso di oscuramento di siti web: almeno un Tribunale ha considerato legittimo il tentativo dei provider opporsi all’ordine. In ballo c’è la tenuta della libertà d’espressione online. Se passa l’idea che è così facile oscurare centinaia di siti in un colpo solo, con il concetto del “sequestro preventivo”, allora rischiano tutti coloro che si scagliano contro politici e aziende scorrette. Ricordiamo che il caso Moncler ha riguardato anche domini vuoti, senza un sito attivo, solo per la futura eventualità che potessero essere utilizzati per vendere prodotti contraffatti.
Per di più, è pericoloso per lo stesso funzionamento di internet che si ecceda con gli oscuramenti di indirizzi ip. Ognuno di questi infatti può avere sotto più di un sito web. Tutti vengono oscurati per il blocco del loro ip: anche quelli che non c’entrano niente con la sentenza”.

Dunque mi viene in mente: e se io mi chiamassi Gianni Moncler e avessi aperto un blog per esprimere le mie opinioni in merito al sindaco del mio paese? Un’azienda mi avrebbe tappato la bocca. E se semplicemente questo blog fosse collegato allo stesso indirizzo IP di un “vendomoncler.org”? Non potrei più esprimere un parere come “questo tipo di meccanismo somiglia ad una censura irrispettosa della libertà d’espressione e delle garanzie costituzionali che devono essermi garantite in uno stato democratico”.

E così ieri arrivava il dissequestro dei siti da parte del Tribunale del riesame di Padova, che specificava: “il provvedimento impugnato tende effettivamente a connotarsi per esorbitanza rispetto alla concreta acquisizione di elementi fattuali che consentano di evidenziare, chiaramente, acclarate condotte di contraffazione di capi con marchi Moncler”. Per la prima volta si dà ascolto ai provider e si instaura il principio che il sequestro preventivo (quello stabilito dal tribunale prima del processo) va usato con parsimonia, anche sul Web. Si riporta poi alla giusta dimensione l’onere della prova: “non ci basta una lista, cari amici della Moncler. Vogliamo prove, caso per caso. Siamo la magistratura, non una mannaia a gettoni”.

Speriamo solo che il sistema abbia imparato la lezione.

Update 7 novembre – Chi ha il compito di difendere gli utenti? Una riflessione di Guido Scorza in proposito.

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Non aggiornateci troppo…

Quello nell’immagine è l’ultimo post dell’Intergruppo Parlamentare 2.0. L’argomento sembra davvero stimolante per l’avvio di un dibattito. La data molto meno. Il blog dell'Intergruppo Parlamentare 2.0

Nel frattempo arriva questa incredibile (nel senso che davvero non si può credere che ancora c’è chi pensa alla Rete solo in questi termini) interrogazione parlamentare dei senatori Manfred Pinzger e Oskar Peterlini.

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Ma quando la finite?

BASTAE siamo a tre. Tre progetti di legge, tutti volti a rendere più pesanti gli oneri per gli intermediari della comunicazione online, presentati in tre mesi e mezzo.

Si inizia il il 14 luglio 2011 con il disegno di legge n.4511 intitolato “Modifica degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 (quello che recepisce la direttiva 2000/31/CE sulla “Responsabilità dei prestatori intermediari”, nda), in materia di responsabilità e di obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione”. Firmato dall’onorevole leghista Giovanni Fava (LNP), mira ad introdurre un principio di responsabilità diretta nei confronti degli ISP nel caso di contraffazione e rivendita sulle proprie reti di prodotti che hanno un mercato dedicato, come ad esempio quelli farmaceutici. Solo dodici giorni dopo, veniva depositata alla Camera dei Deputati la proposta di legge C4549, firmata dall’on.Elena Cementero (Pdl), anch’esso mirante a modificare gli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 70/2003 (ne parlavo qui); con il solito sprezzo di diritti costituzionalmente garantiti, si voleva costringere ogni intermediario a rimuovere contenuti illeciti se informato da qualunque soggetto, sia esso un detentore di diritti, un magistrato o un cittadino qualsiasi. Si arriva addirittura a pensare di chiedere agli intermediari “la sospensione della fruizione dei servizi dei destinatari di tali servizi che pongono in esame violazioni dei diritti di proprietà industriale per evitare che siano commesse nuove violazioni della stessa natura da parte degli stessi soggetti”.

E arriviamo all’11 ottobre, con l’arrivo dell’S2951; firmato dal senatore Antonio Tomassini (Pdl) e altri, perfettamente in linea con gli altri due.

Dunque, la domanda non può che essere: quando avranno intenzione di finirla? Quando smetteranno coi tentativi di irrigidire il quadro delle responsabilità per gli operatori della Rete, scoraggiando nuovi ingressi ed investimenti nell’Internet nostrano e alimentando così quel circolo vizioso che ci vede sempre più indietro in un settore chiave a livello di libertà politiche e sociali nonché tasto prioritario sul quale battere per l’uscita da questo momento di crisi?

P.s.: qualche giorno fa su Wired Martina Pennisi metteva in luce come nella lettera presentata a Bruxelles pochi giorni prima dal governo italiano (in ballo le misure richieste dall’Unione al nostro Paese per la crescita) mancasse qualunque riferimento al digitale. Se vi si aggiunge l’ormai cronica mancanza di fondi per lo sviluppo della banda larga e il sempre più dilagante conflitto di interessi di Sua Emittenza (che punta a dare al mondo online una forma più consona possibile al ritorno economico delle sue aziende, e guarda all’economia digitale solo nella maniera che più gli conviene, guarda qui) appare davvero chiaro come ogni giorno di vita in più per questa maggioranza e questo governo è un giorno perso per l’avanzamento della realtà digitale nostrana.

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Decreto Pisanu, finalmente chiarezza? Non proprio

WiFi Decreto PisanuNella bozza di decreto sviluppo si vuole intervenire sulla “asimmetria regolamentare a sfavore dei gestori che, utilizzando una diversa tecnologia (e segnatamente quella mobile) sono tutt’ora obbligati a identificare ed acquisire informazioni dell’utenza prima di attivare il servizio, a fronte di elevati oneri economici necessari per la registrazione e l’archiviazione di tali informazioni”, asimmetrie derivate dall’abolizione del Decreto PisanuCe ne parlano Guido Scorza e Claudio Tamburrino.

Update 27 ottobre 2011 – Fulvio Sarzana sottolinea invece l’effetto negativo che norma avrebbe sulle intercettazioni.

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Wikitalia per la wikicrazia

WikitaliaParte oggi il progetto Wikitalia, “l’iniziativa di un gruppo di appassionati di web e democrazia, per realizzare una piattaforma da mettere gratuitamente a disposizione delle città italiane dove sviluppare degli strumenti in open source che garantiscano la trasparenza della politica, consentano il riutilizzo dei dati pubblici e favoriscano la partecipazione dei cittadini”. Dunque si punta a realizzare un “governo-wiki, ovvero l’amministrazione che prende a modello ed utilizza gli strumenti collaborativi usati per esempio ogni giorno da migliaia di estensori anonimi e volontari di Wikipedia […] e la Wikicrazia” (a parlare è Riccardo Luna nel pezzo con il quale spiega perché aderisce al progetto; lo stesso luna su Repubblica rilancia in materia di “archivi gratis sul Web”).

Il tutto mentre sembra muoversi qualcosa anche nel pubblico, con il lancio del piano governativo per l’Open Government da parte del ministro Brunetta (nella speranza che il suo impatto sia maggiormente significativo dei precedenti tentativi).

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Una banda sempre più stretta

Giusto per segnalare che nella bozza della Legge di Stabilità sono spariti 770 milioni per la banda larga; si parla della metà di quel surplus ricavato dall’asta delle frequenze che era stato promesso allo sviluppo della Rete veloce nostrana. Chi doveva decidere di quei soldi è nella foto qui sotto, mi sembra inutile ribadire per l’ennesima volta i perché, i per come.Paolo Romani e Giulio Tremonti

Il tutto mentre sembra definitivamente naufragato il Tavolo Romani (la Telecom nei giorni scorsi ha confermato la sua uscita); al suo posto si affaccia il piano di MetrowebAd addolcire la giornata l’annuncio che “Milano sarà la prima città italiana con l’accesso a Internet wireless al 100%”. 

Qui invece un’analisi condotta da Wired sulle richieste di rimozione di contenuti e consegna di dati personali degli utenti avanzate dalle autorità di vari paesi (tra i quali ovviamente l’Italia) a Google (fuori argomento, lo so, però vale la pena dargli più di un’occhiata). 

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Intervista su Radio1

Toh, mi si intervista a CheckIn (RaiRadio1)! Qui il Podcast dell’intera puntata.

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Il calcio in streaming è diventato legale?

Calcio in streamingSe è tua abitudine seguire lo sport sul pc senza sborsare un euro, allora questa per te è una dolcissima notizia. L’ultima sentenza della Corte di Giustizia Europea potrebbe infatti risolversi in una legalizzazione dello streaming degli eventi sportivi. Tutto ha origine in un pub inglese nel quale si trasmettono le partite della Premier League tramite una card e un decoder di un’emittente greca, il che fa risparmiare qualche sterlina al gestore ma va anche contro l’assegnazione dei diritti per gli eventi sportivi, che avviene con limiti territoriali.

E qui arriva la sentenza in questione, che reputa illegittimo questo limite. Come ci spiega l’avvocato Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito:

Per i giudici europei, il sistema che vieta ai telespettatori di seguire le partite con una scheda di decodificazione in altri Stati membri e’ contrario alla “libera prestazione dei servizi” e alla concorrenza nell’Unione. Tanto più che, ha aggiunto la Corte, la Premier League non può reclamare alcun diritto d’autore sugli incontri calcistici, che non possono essere considerati alla stregua di “creazioni intellettuali” […] la sentenza dichiara espressamente che gli eventi sportivi non costituiscono creazione intellettuale e, laddove invece inquadrati dalla normativa nazionale nel sistema dei diritti di proprietà intellettuale, non possono essere oggetto di limitazioni di utilizzo da parte del titolare di diritti ( sia esso la Lega Calcio ovvero l’emittente satellitare) su base territoriale, con il pretesto della giusta remunerazione dei titolari dei diritti.

Il dictum della Corte porta come conseguenza a mio modesto avviso, che se io acquisto su internet una partita ad un prezzo di dieci volte inferiore da una piattaforma greca (analogamente a quanto previsto dalla Corte in relazione alle schede da inserire nel decoder) posso tranquillamente godermi lo spettacolo in lingua greca e ad un prezzo molto più basso. Il principio della libera circolazione dei servizi deve valere infatti in un pub inglese come sulla rete”.

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