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La ritirata dei sequestratori di massa

Sentenza dissequestro siti Tribunale di Padova

Si può, in un paese democratico, sequestrare 493 siti Internet perché si presume che, avendo nell’URL il nome di un marchio registrato, essi siano responsabili di violazioni di dritto d’autore? Si può bypassare il momento del controllo caso per caso e intervenire invece con la solita scure, credendo sulla parola al proprietario del marchio che ci dice “vendono i miei prodotti in maniera illecita, tutti, o almeno potrebbero farlo, ne sono sicuro”? Evidentemente no, ma ci hanno provato. Anzi, per un po’ ci sono riusciti.

Ripercorriamo le fasi della vicenda: il 29 settembre 2011 il GIP di Padova Lara Fortuna firma un provvedimento per il sequestro preventivo di ben 493 siti a seguito della denuncia della società proprietaria del marchio di abbigliamento “Moncler”. Il marchio stesso sarebbe stato sfruttato in maniera illecita dai suddetti spazi online; nello specifico infatti le accuse sono commercio di prodotti con segni falsi e vendita di prodotti con segni mendaci. Come spiegava l’avvocato Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito “sembra proprio che il semplice nome di dominio associato al sito sequestrato, sia stato considerato di per sé elemento da cui far scaturire l’illecito contraffattorio. Si tratta quindi in verità di un vero e proprio “sequestro preventivo” di nomi di dominio, “camuffato” da inibizione all’accesso per gli utenti italiani. La richiesta giunta ai provider italiani, inoltre, in ordine alla ricerca attiva delle centinaia di siti internet da oscurare, contrasta contro l’elementare principio in base al quale i provider non possono essere considerati a tutti gli effetti gli sceriffi della rete. Il precedente rischia di ripercuotersi seriamente sulle vendite effettuate tramite i portali di commercio elettronico quali Ebay, che potrebbero essere chiamate a rispondere in concorso con coloro che vendono beni ritenuti contraffatti su internet, e vedersi cosi chiuse le pagine delle inserzioni attraverso lo strumento del sequestro preventivo”.

Poche settimane dopo la sentenza veniva impugnata da Assoprovider e AIIP davanti al Tribunale della Libertà di Padova. Il 2 novembre 2011 su Wired Alessandro Longo scriveva: “Ho scoperto che in Italia al momento sono oscurati 6 mila siti web, di cui solo 900 per pedopornografia. 2.500 lo sono per scommesse/giochi non autorizzati. Il resto sono per reati di contraffazione, violazione del diritto d’autore, persino (raramente) diffamazione. Si spiega così la rabbia dei provider. La buona notizia è che per la prima volta hanno avuto la possibilità di opporsi contro un ordine di oscurare i siti […] Significa che ora c’è un arma in più contro l’abuso di oscuramento di siti web: almeno un Tribunale ha considerato legittimo il tentativo dei provider opporsi all’ordine. In ballo c’è la tenuta della libertà d’espressione online. Se passa l’idea che è così facile oscurare centinaia di siti in un colpo solo, con il concetto del “sequestro preventivo”, allora rischiano tutti coloro che si scagliano contro politici e aziende scorrette. Ricordiamo che il caso Moncler ha riguardato anche domini vuoti, senza un sito attivo, solo per la futura eventualità che potessero essere utilizzati per vendere prodotti contraffatti.
Per di più, è pericoloso per lo stesso funzionamento di internet che si ecceda con gli oscuramenti di indirizzi ip. Ognuno di questi infatti può avere sotto più di un sito web. Tutti vengono oscurati per il blocco del loro ip: anche quelli che non c’entrano niente con la sentenza”.

Dunque mi viene in mente: e se io mi chiamassi Gianni Moncler e avessi aperto un blog per esprimere le mie opinioni in merito al sindaco del mio paese? Un’azienda mi avrebbe tappato la bocca. E se semplicemente questo blog fosse collegato allo stesso indirizzo IP di un “vendomoncler.org”? Non potrei più esprimere un parere come “questo tipo di meccanismo somiglia ad una censura irrispettosa della libertà d’espressione e delle garanzie costituzionali che devono essermi garantite in uno stato democratico”.

E così ieri arrivava il dissequestro dei siti da parte del Tribunale del riesame di Padova, che specificava: “il provvedimento impugnato tende effettivamente a connotarsi per esorbitanza rispetto alla concreta acquisizione di elementi fattuali che consentano di evidenziare, chiaramente, acclarate condotte di contraffazione di capi con marchi Moncler”. Per la prima volta si dà ascolto ai provider e si instaura il principio che il sequestro preventivo (quello stabilito dal tribunale prima del processo) va usato con parsimonia, anche sul Web. Si riporta poi alla giusta dimensione l’onere della prova: “non ci basta una lista, cari amici della Moncler. Vogliamo prove, caso per caso. Siamo la magistratura, non una mannaia a gettoni”.

Speriamo solo che il sistema abbia imparato la lezione.

Update 7 novembre – Chi ha il compito di difendere gli utenti? Una riflessione di Guido Scorza in proposito.

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Non aggiornateci troppo…

Quello nell’immagine è l’ultimo post dell’Intergruppo Parlamentare 2.0. L’argomento sembra davvero stimolante per l’avvio di un dibattito. La data molto meno. Il blog dell'Intergruppo Parlamentare 2.0

Nel frattempo arriva questa incredibile (nel senso che davvero non si può credere che ancora c’è chi pensa alla Rete solo in questi termini) interrogazione parlamentare dei senatori Manfred Pinzger e Oskar Peterlini.

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Ma quando la finite?

BASTAE siamo a tre. Tre progetti di legge, tutti volti a rendere più pesanti gli oneri per gli intermediari della comunicazione online, presentati in tre mesi e mezzo.

Si inizia il il 14 luglio 2011 con il disegno di legge n.4511 intitolato “Modifica degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 (quello che recepisce la direttiva 2000/31/CE sulla “Responsabilità dei prestatori intermediari”, nda), in materia di responsabilità e di obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione”. Firmato dall’onorevole leghista Giovanni Fava (LNP), mira ad introdurre un principio di responsabilità diretta nei confronti degli ISP nel caso di contraffazione e rivendita sulle proprie reti di prodotti che hanno un mercato dedicato, come ad esempio quelli farmaceutici. Solo dodici giorni dopo, veniva depositata alla Camera dei Deputati la proposta di legge C4549, firmata dall’on.Elena Cementero (Pdl), anch’esso mirante a modificare gli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 70/2003 (ne parlavo qui); con il solito sprezzo di diritti costituzionalmente garantiti, si voleva costringere ogni intermediario a rimuovere contenuti illeciti se informato da qualunque soggetto, sia esso un detentore di diritti, un magistrato o un cittadino qualsiasi. Si arriva addirittura a pensare di chiedere agli intermediari “la sospensione della fruizione dei servizi dei destinatari di tali servizi che pongono in esame violazioni dei diritti di proprietà industriale per evitare che siano commesse nuove violazioni della stessa natura da parte degli stessi soggetti”.

E arriviamo all’11 ottobre, con l’arrivo dell’S2951; firmato dal senatore Antonio Tomassini (Pdl) e altri, perfettamente in linea con gli altri due.

Dunque, la domanda non può che essere: quando avranno intenzione di finirla? Quando smetteranno coi tentativi di irrigidire il quadro delle responsabilità per gli operatori della Rete, scoraggiando nuovi ingressi ed investimenti nell’Internet nostrano e alimentando così quel circolo vizioso che ci vede sempre più indietro in un settore chiave a livello di libertà politiche e sociali nonché tasto prioritario sul quale battere per l’uscita da questo momento di crisi?

P.s.: qualche giorno fa su Wired Martina Pennisi metteva in luce come nella lettera presentata a Bruxelles pochi giorni prima dal governo italiano (in ballo le misure richieste dall’Unione al nostro Paese per la crescita) mancasse qualunque riferimento al digitale. Se vi si aggiunge l’ormai cronica mancanza di fondi per lo sviluppo della banda larga e il sempre più dilagante conflitto di interessi di Sua Emittenza (che punta a dare al mondo online una forma più consona possibile al ritorno economico delle sue aziende, e guarda all’economia digitale solo nella maniera che più gli conviene, guarda qui) appare davvero chiaro come ogni giorno di vita in più per questa maggioranza e questo governo è un giorno perso per l’avanzamento della realtà digitale nostrana.

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Decreto Pisanu, finalmente chiarezza? Non proprio

WiFi Decreto PisanuNella bozza di decreto sviluppo si vuole intervenire sulla “asimmetria regolamentare a sfavore dei gestori che, utilizzando una diversa tecnologia (e segnatamente quella mobile) sono tutt’ora obbligati a identificare ed acquisire informazioni dell’utenza prima di attivare il servizio, a fronte di elevati oneri economici necessari per la registrazione e l’archiviazione di tali informazioni”, asimmetrie derivate dall’abolizione del Decreto PisanuCe ne parlano Guido Scorza e Claudio Tamburrino.

Update 27 ottobre 2011 – Fulvio Sarzana sottolinea invece l’effetto negativo che norma avrebbe sulle intercettazioni.

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Wikitalia per la wikicrazia

WikitaliaParte oggi il progetto Wikitalia, “l’iniziativa di un gruppo di appassionati di web e democrazia, per realizzare una piattaforma da mettere gratuitamente a disposizione delle città italiane dove sviluppare degli strumenti in open source che garantiscano la trasparenza della politica, consentano il riutilizzo dei dati pubblici e favoriscano la partecipazione dei cittadini”. Dunque si punta a realizzare un “governo-wiki, ovvero l’amministrazione che prende a modello ed utilizza gli strumenti collaborativi usati per esempio ogni giorno da migliaia di estensori anonimi e volontari di Wikipedia […] e la Wikicrazia” (a parlare è Riccardo Luna nel pezzo con il quale spiega perché aderisce al progetto; lo stesso luna su Repubblica rilancia in materia di “archivi gratis sul Web”).

Il tutto mentre sembra muoversi qualcosa anche nel pubblico, con il lancio del piano governativo per l’Open Government da parte del ministro Brunetta (nella speranza che il suo impatto sia maggiormente significativo dei precedenti tentativi).

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Una banda sempre più stretta

Giusto per segnalare che nella bozza della Legge di Stabilità sono spariti 770 milioni per la banda larga; si parla della metà di quel surplus ricavato dall’asta delle frequenze che era stato promesso allo sviluppo della Rete veloce nostrana. Chi doveva decidere di quei soldi è nella foto qui sotto, mi sembra inutile ribadire per l’ennesima volta i perché, i per come.Paolo Romani e Giulio Tremonti

Il tutto mentre sembra definitivamente naufragato il Tavolo Romani (la Telecom nei giorni scorsi ha confermato la sua uscita); al suo posto si affaccia il piano di MetrowebAd addolcire la giornata l’annuncio che “Milano sarà la prima città italiana con l’accesso a Internet wireless al 100%”. 

Qui invece un’analisi condotta da Wired sulle richieste di rimozione di contenuti e consegna di dati personali degli utenti avanzate dalle autorità di vari paesi (tra i quali ovviamente l’Italia) a Google (fuori argomento, lo so, però vale la pena dargli più di un’occhiata). 

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Intervista su Radio1

Toh, mi si intervista a CheckIn (RaiRadio1)! Qui il Podcast dell’intera puntata.

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Il calcio in streaming è diventato legale?

Calcio in streamingSe è tua abitudine seguire lo sport sul pc senza sborsare un euro, allora questa per te è una dolcissima notizia. L’ultima sentenza della Corte di Giustizia Europea potrebbe infatti risolversi in una legalizzazione dello streaming degli eventi sportivi. Tutto ha origine in un pub inglese nel quale si trasmettono le partite della Premier League tramite una card e un decoder di un’emittente greca, il che fa risparmiare qualche sterlina al gestore ma va anche contro l’assegnazione dei diritti per gli eventi sportivi, che avviene con limiti territoriali.

E qui arriva la sentenza in questione, che reputa illegittimo questo limite. Come ci spiega l’avvocato Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito:

Per i giudici europei, il sistema che vieta ai telespettatori di seguire le partite con una scheda di decodificazione in altri Stati membri e’ contrario alla “libera prestazione dei servizi” e alla concorrenza nell’Unione. Tanto più che, ha aggiunto la Corte, la Premier League non può reclamare alcun diritto d’autore sugli incontri calcistici, che non possono essere considerati alla stregua di “creazioni intellettuali” […] la sentenza dichiara espressamente che gli eventi sportivi non costituiscono creazione intellettuale e, laddove invece inquadrati dalla normativa nazionale nel sistema dei diritti di proprietà intellettuale, non possono essere oggetto di limitazioni di utilizzo da parte del titolare di diritti ( sia esso la Lega Calcio ovvero l’emittente satellitare) su base territoriale, con il pretesto della giusta remunerazione dei titolari dei diritti.

Il dictum della Corte porta come conseguenza a mio modesto avviso, che se io acquisto su internet una partita ad un prezzo di dieci volte inferiore da una piattaforma greca (analogamente a quanto previsto dalla Corte in relazione alle schede da inserire nel decoder) posso tranquillamente godermi lo spettacolo in lingua greca e ad un prezzo molto più basso. Il principio della libera circolazione dei servizi deve valere infatti in un pub inglese come sulla rete”.

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Wikipedia si autosospende contro il bavaglio. Mentre il Ddl, modificato, passa l’udienza filtro.

Wikipedia autosospesaIn queste ore Wikipedia in lingua italiana rischia di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c’è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero”

Si legge così sulla home page della versione italiana di Wikipedia, i cui vertici hanno deciso di protestare in maniera eclatante contro il bavaglio che vuole imporre l’ormai celeberrimo comma 29sospendendo il servizio.

Il timore è che l’enciclopedia Wiki possa finire nella lunga listi di siti passibili di richieste di rettifica. La struttura e le dinamiche del sito renderebbero molto faticosi i dribbling alle salate multe previste dalla norma che vuole essere introdotta.

C’è già chi si spende per “salvare Wikipedia” anche contro chi invece pensa che la sua chiusura sarebbe un grande merito per il comma 29.

UPDATE –Il testo del Ddl ha passato l’udienza filtro (causando le dimissioni della relatrice Giulia Bongiorno) con l’ultimo emendamento del pidiellino Roberto Cassinelli; dunque, distinzione tra le testate registrate e i blog, con l’obbligo di rettifica entro 48 ore solo per i primi. Per gli altri siti informatici “il termine è di dieci giorni e decorre dal momento in cui vi è, per il soggetto che ha pubblicato il contenuto, il quale agisce anche in forma anonima, conoscibilità della richiesta di rettifica, che non è valida se inoltrata con mezzi per cui non sia possibile verificarne l’effettiva ricezione da parte del destinatario. Non possono essere oggetto di richiesta di rettifica quei contenuti che, per la loro natura, sono destinati ad un limitato numero di utenti, oppure che si qualificano in concreto quali commenti, corredi o accessori di un terzo contenuto principale. Qualora ragioni tecniche ostino alla pubblicazione di una nota in calce al contenuto oggetto della richiesta di rettifica, colui che lo ha pubblicato indica all’autore della richiesta il recapito di altro soggetto avente la disponibilità tecnica di procedervi, oppure pubblica la nota con la stessa visibilità e le stesse caratteristiche grafiche del contenuto a cui fa riferimento”.

Resta comunque inaccettabile il bavaglio che la legge imporrebbe a tutto il sistema dell’informazione.

RI-UPDATE 6 ottobre 2011 – E Wikipedia torna ad essere accessibile a pieno regime “anche se le modifiche al decreto non sono ancora state approvate in via definitiva” e c’è la consapevolezza che discussioni e voto alla Camera saranno decisivi.

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Vasco è permaloso. Peggio per lui

Vasco su FacebookDenunciare per diffamazione un sito che fa satira può risolversi in un bel boomerang, caro Blasco. E forse il cantautore deve averlo capito a sue spese: i gestori del sito Nonciclopedia, che da anni si divertono, facendo il verso a Wikipedia, a presentare improbabili biografie di personaggi famosi, hanno deciso di autosospendersi “ringraziando” in home page proprio il rocker di Zocca. Quest’ultimo non aveva gradito alcuni passaggi della voce che lo riguardava, agendo così per vie legali. E dire che sembrava aver scoperto la Rete prima e meglio di altri colleghi, con le ormai famose clippine su Facebook finite anche nei Tg (non capita spesso da noi, a meno che non si tratti di episodi riguardanti il “lato oscuro” di Internet). Peccato, perché oltre alla reazione di chi non si è limitato a tutelarsi cancellando il testo incriminato, adesso su Twitter appaiono hashtag come  #VascoMerda…

UPDATE 5 ottobre 2011 –Vasco ritira la querela e da Nonciclopedia spariscono le parti peggiori della sua pseudo-biografia. Il sito, così, torna operativo

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La scure al posto del bisturi

Alfemminile.com sequestratoSequestro preventivo per il forum Alfemminile.com, spazio di discussione online per donne tra i più popolati in Italia. Il motivo è la comparsa di quasi 3 milioni di messaggi che rimandavano alla vendita di medicinali anoressizzanti ad azione stupefacente e dopante messi fuorilegge da un decreto legge del 2 agosto scorso. Il provvedimento è stato emesso dalla Procura della Repubblica di Savona alla fine di un’indagine condotta per un anno dai Carabinieri del NAS di Roma. Dunque, con l’accusa di cessione di sostanza stupefacenti vengono denunciati i soggetti responsabili dell’illecito e la piattaforma sequestrata per aver permesso questa distribuzione.

Si ripropone purtroppo la questione della proporzionalità della misura: che senso ha sequestrare tutto il forum per via di alcuni messaggi? Quali sono le responsabilità specifiche dei gestori del sito? Tornano in mente i casi di sequestri di interi blog per via di singoli post contenenti diffamazioni o simili, senza contare le sentenze che hanno dovuto fare chiarezza in merito alle responsabilità di chi gestisce un blog o un forum nel caso in cui qualcuno commetta reati commentandone i contenuti. Last but not least, tutte le implicazioni dal punto di vista della tutela della libertà d’espressione: da un giorno all’altro vengono praticamente censurati tutti i contenuti (compresi quelli di altre sezioni e discussioni) di un forum che conta in media tre milioni e settecentomila utenti unici al mese. In Italia si continua ad agire con la scure dove servirebbe il bisturi.

PA e digitalizzazione – Intanto arriva una condanna per la Regione Basilicata: l’articolo 11 del dlgs n.150 del 2009 e il nuovo CAD prevedono che ogni organismo della Pubblica Amministrazione debba mostrare sul proprio sito Internet un indirizzo di posta certificata, norma che non è stata rispettata dai vertici della suddetta Regione, il che faceva partire un ricorso promosso dall’Associazione Radicale Agorà Digitale. Ora il Tar lucano emette una sentenza con la quale condanna la Regione a versare 5000 euro ad Agorà Digitale per il disservizio del quale si è resa responsabile.

UPDATE 3 ottobre 2011 – Per restare in tema di sequestri preventivi e garanzie costituzionali, vale la pena prestare attenzione all’esperienza raccontata da Massimo Russo. Documenti online per 12 ore prima che arrivino i Carabinieri per farli rimuovere:

La magistratura accerterà se effettivamente vi sia stata una violazione del segreto investigativo, e nel caso come essa vada sanzionata. Il punto su cui mi vorrei soffermare, tuttavia, è il sequestro preventivo e l’oscuramento delle pagine web, prima ancora che vi sia stato in proposito un giudizio di merito. Il provvedimento è firmato dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta Sergio Lari. Colleghi giornalisti che lo conoscono lo descrivono come un magistrato preparato e coscienzioso. Non si tratta dell’unico caso in cui vi sia stato l’oscuramento preventivo di pagine web, anche se a mia memoria è di sicuro uno dei più clamorosi per la fattispecie contestata, ovvero la rivelazione di notizie di ufficio secretate. Tuttavia, nessuno di questi magistrati sembra aver considerato la gravità dell’oscuramento di articoli di giornale prima di un giudizio di merito […] Non serve il diritto. Basta il buon senso per rendersi conto dell’insensatezza di un simile provvedimento. Che per fortuna non c’è stato. Ma allora perché su web questo è concepibile? E non si tratta di un eccesso di zelo da parte degli esecutori. Ai carabinieri è stato chiesto se ci si dovesse limitare ai soli documenti o se andassero cancellati anche gli articoli. Dopo alcune verifiche, hanno spiegato in tono cortese e civile che andavano cancellati anche i pezzi. Sulla carta sarebbe impensabile. Su web si fa. La censura digitale fa meno paura? Sporca meno? E’ una semplice questione di ignoranza che impedisce di cogliere che cancellare un pezzo di un giornale dal web prima di un qualsiasi giudizio definitivo è esattamente come andare in edicola e rimuovere fisicamente quelle pagine da tutte le copie disponibili?”

RI-UPDATE 7 ottobre 2011 – Un’altra scure porta al sequestro di 493 siti Internet (su denuncia della Moncler) e getta un’ombra sulle future possibilità di operare nel nostro paese di servizi come eBay. 

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“Ammazzablog”: è mobilitazione

Fortunatamente la Rete sa difendere se stessa. Il nuovo tentativo di introdurre la “legge bavaglio” e con essa il suo comma 29, l’“ammazzablog”, ha innescato una serie di reazioni che stanno già convergendo in queste ore; in primis, in Parlamento sono stati presentati 7 emendamenti provenienti da tutti gli schieramenti. In merito, l’associazione radicale Agorà Digitale propone di “provare a portare gli attuali 26 firmatari verso i 316 della maggioranza necessaria all’approvazione di tali emendamenti alla Camera”, inviando a tutti i deputati questa richiesta:

Gentile Onorevole, 26 dei suoi colleghi di PD (8), Radicali (6), UDC (5), PDL (3), IDV (2) e Gruppo Misto (2) hanno presentato alla Camera ben 7 diversi emedamenti volti a limitare ai soli contenuti professionali ed in particolare alle testate registrate la validità del comma 29 del ddl intercettazioni volto ad estendere anche online la normativa sul diritto di rettifica. Riteniamo pericoloso estendere anche a contenitori amatoriali come blog o generici “siti internet” una normativa pensata per testate registrate e che appare sproporzionato applicare ad un contesto di scrittura amatoriale e rivolta a gruppi ristretti di persone. Le chiediamo di apporre la sua firma sui sette emendamenti o quantomeno su alcuni di essi, per dare forza alla richiesta di abrogazione in modo che sia chiaro che la difesa del web, non come luogo di assenza di regole, ma come risorsa anche per l’informazione è condivisa da tutti gli schieramenti politici.Internet è e sarà una risorsa fondamentale per la nostra democrazia e deve essere tutelata”.

E’ possibile aderire quiAllo stesso tempo, è prevista una manifestazionea Roma (per chi avesse ancora bisogno di delucidazioni sul perché la norma è assurda, può trovarne in questo pezzo di Guido Scorza), davanti al Pantheon.

Dulcis in fundo, segnalo l’iniziativa di Valigiablu, che mira sostanzialmente a unificare gli sforzi che sta compiendo ogni ogni singolo blogger; si propone a corredo anche un lungo ed esauriente articolo su ciò che la norma rappresenta. Il tutto con buona pace dell’onorevole Gasparri, che si diverte a definire Internet uno strumento micidiale…

Forse bisogna prepararsi anche a mobilitarsi su scala internazionale, visto che è imminente un nuovo eG8 che, come il precedente, escluderà dal tavolo i netizen (noi) e i loro (nostri) rappresentanti; in più, proprio oggi il ministro degli esteri giapponese annuncia che il primo ottobre prossimo arriveranno le prime ratifiche dell’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), in un giro di firme che vedrà protagonisti, oltre ai nipponici, paesi come il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti d’America.

UPDATE 29 settembre 2011 – Resistenza ad oltranza, in tutte le sedi, fino alla “disobbedienza civile” (Maria Luisa Busi, nda). Manifestazioni come quella di oggi danno coraggio, soprattutto perché palesano capacità di rimpallo “mondo virtuale – mondo reale” che hanno, pensate un po’, le potenzialità per fermare quegli imbavagliatori sempre più soli, sempre più precari. Anche se sempre lì. Dunque, ancora, resistenza. 

NO ALA BAVAGLIO

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Intercettazioni e bavagli, ci risiamo

Pubblica resistenza contro il ddl intercettazioniOrmai non ci stupisce più, il Web da noi è in costante pericolo censura. Tant’è che qualcuno pensa di riprovarci con il DDL intercettazioni per cercare di arginare quello che il nostro caro presidente chiama “stato di polizia”. In quel testo si impone a tutti i “siti informatici” di provvedere entro 48 ore a rettificare contenuti segnalati come impropri da chi se ne ritiene danneggiato. Chiunque, in qualunque modo e di qualunque spazio si tratti (che si il sito del Corriere della Sera o un blog gestito da un sedicenne, secondo loro, cambia poco). E se un blogger non rispetta la norma? Facile, rischia 12mila euro di multa. Così, se la legge dovesse arrivare fino alla Gazzetta Ufficiale, avremmo un universo digitale popolato di contenuti che potrebbero essere disinnescati a mezzo di obbligatorie rettifiche in qualunque momento perché non graditi a chi ci governa o a qualunque altro soggetto. Curioso, per un provvedimento che vuole salvarci dallo “stato di polizia”…

UPDATE 26 settembre 2011 – Alessandro Capriccioli parla di come questa norma significherebbe di fatto un’imposizione a mentire per migliaia di blogger. L’avvocato Fulvio Sarzana invece, oltre a sottolineare quanto difficile sarebbe vedere ancora sfilze di commenti in calce agli articoli online (“le testate, come i blogger preferiranno moderare tutti i commenti per eviatare problemi con coloro che potrebbero richiedere “a spron battuto” le rettifiche”, si concentra sulle contraddizioni insite nella norma:

La norma oltre che singolare rischia anche di essere vanificata dalle concrete modalità di immissione dei contenuti sul web e dalla caratteristica di transnazionalità della rete internet. L’obbligo di rettifica come è noto, è previsto in generale dalla legge sulla stampa e, precisamente dall’art 8 Legge 8 febbraio 1948, n. 47. La legge sulla stampa prevede una sanzione amministrativa per le testate che non adempiono all’obbligo di rettifica e la possibilità di avvalersi degli strumenti previsti dal codice di procedura civile per ottenere il diritto di rettifica.Orbene la norma sulla stampa è stata emanata in un periodo storico nel quale non c’era internet e non era ipotizzabile che una testata potesse risiedere all’estero. Internet ha portato con sè la possibilità di delocalizzare gli strumenti di comunicazione alla collettività sino al punto in cui un blog, come quello del sottoscritto, essendo ospitato presso una piattaforma che risiede all’estero e che non appare soggetta, almeno per ciò che riguarda la possibilità di essere raggiunta da un ordine di rettifica, alla giurisdizione italiana, può ignorare l’ordine di rettifica senza andare incontro a particolari problemi”.

Il deputato del Pdl Roberto Cassinelli, intanto, annuncia sul suo blog che ripresenterà l’emendamento con il quale nel giugno 2010 chiedeva di allungare a 7 giorni le scadenze imposte ai blogger per effettuare le rettifiche, oltre ad una sensibile diminuzione delle pene pecuniarie. 

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Internet è una cura per la crisi. Che vi piaccia o no

Secondo il rapporto McKinsey Internet farebbe guadagnare molti più posti di lavoro di quanti non ne faccia perdere; nello specifico, nel nostro paese l’economia che viaggia in Rete ha creato 700mila posti di lavoro distruggendone 380mila. Dunque, un saldo netto di 320mila posti di lavoro guadagnati. E il dato sarebbe ancor più positivo se gli investimenti nell’Internet Economy fossero più coraggiosi. Lo dimostra la Francia, dove a fronte di 500mila posti di lavoro bruciati se ne siano materializzati un milione e duecentomila. E questo perché i nostri cugini hanno da tempi capito l’importanza di investire in banda larga e ultralarga; secondo i calcoli di Sacco “è dimostrato che ogni 10 per cento di aumento di penetrazione della banda larga, la ricchezza di un paese in termini di Pil cresce dell’1 per cento. E ogni mille nuovi utenti di banda larga si creano 80 nuovi posti di lavoro”. E le occasioni non riguardano solo le aziende “della rete”, perché, come afferma lo stesso rapporto McKinsey, “Internet comporta una modernizzazione per tutti i settori economici e il maggiore impatto positivo si registra per le imprese tradizionali: tre quarti della ricchezza totale prodotta dalla rete viene da aziende che non si definiscono Internet player ma che hanno beneficiato dalla innovazione digitale”. E sarebbero soprattutto le Piccole e Medie imprese a beneficiare di queste opportunità, cosa che non accade ancora visto che la maggior parte dei 700mila posti vengono fuori dalla grande industria. Dunque, investire nelle nuove tecnologie sembra essere un must per uscire fuori dalla crisi e porre le basi dell’economia del prossimo futuro; azzerare il digital divide e migliorare le infrastrutture di rete per far si che cresca significativamente un settore che già oggi equivale al 2% del PIL (ovvero a 36,1 miliardi di euro).

Il nostro governo ha più volte dimostrato di avere molta attenzione per la Rete. Peccato sia sempre stati in senso esattamente opposto; vedi l’ultimo capitolo della saga “Sua Emittenza non gradisce l’ICT”.

CYBERTRUFFE – Certo bisognerà accrescere anche l’attenzione quando si naviga; secondo l’indagine Norton Cybercrime Report della Symantec gli italiani vittime di cyberciminali, nell’ultimo anno, sono stati in media 22646 al giorno. E se dati come il fatto che il 69% dei netizen nostrani non ha un antivirus aggiornato restituiscono una causa scontata, più curioso il fatto che chi mente online sui propri dati ha un bel 20% in più di possibilità di essere colpito dalle frodi telematiche (61% contro 81%). Dopo virus e malaware come cause principali di problematiche subite ci sono le molestie sessuali e profili social vittime di hacker; l’ammontare dei danni si stima, sempre nell’ultimo anno, in 616,7 milioni di euro a livello materiale e ben 6,1 miliardi di euro a livello di tempo perso. Gli stessi numeri su scala globale sono rispettivamente 114 e 274 miliardi di dollari.

UPDATE 24 settembre 2011 – Si conclude l’asta sulle frequenze per la parte relativa a quelle più pregiate (800mhz), che saranno sottratte alle tv locali in loro possesso entro la fine del 2012; Tim, Vodafone e Wind se ne aggiudicano due lotti ciascuno, per un ricavo complessivo per lo stato di 3,7 miliardi di euro. Un passo in avanti verso il 4G nel nostro BelPaese.

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Internet, per il governo, è un bene di lusso

Computer con SwaroskyApprendo da Byoblu dell’ennesimo affronto mosso alla Rete da questo governo catodico; mentre a parole dice di voler combattere il digital divide, contribuisce con questa manovra a disincentivare ulteriormente l’utilizzo delle nuove tecnologie:

Tra i cosiddetti servizi di lusso di cui il governo sembra pensare si possa fare a meno, ci sono infatti i computer e gli abbonamenti a internet. Non solo l’IVA per le connessioni alla rete passa dal 20% al 21%, ma per di più la legge consente ai gestori di retrodatarne l’aumento, che può essere così applicato ai consumi non ancora fatturati. Quando vi arriverà la bolletta, controllate che gli incrementi partano dal 18 settembre e non prima.

Internet non è un servizio di lusso: è un bene essenziale perché afferisce direttamente al diritto dei cittadini di essere informati. L’Iva per le connessioni alla rete non deve essere aumentata. Va semmai ridotta al 4% come quella applicata ai generi di prima necessità o eliminata del tutto, perché mai come ora l’informazione libera e il dibattito aperto che la rete è in grado di garantire sono risorse di vitale importanza”.

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L’Agcom dà il via alle audizioni mentre Mediaset batte Yahoo. E arriva un’altra proposta di legge dal secolo scorso…

AGCOML’avvocato Guido Scorza fotografa la situazione in merito al regolamento che l’Agcom si appresta a varare in materia di tutela dei diritti d’autore online, mettendo in luce pericoli, contraddizioni e possibili alternative:

E’ scaduto in queste ore il termine – rigorosamente estivo – concesso dall’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni agli addetti ai lavori per partecipare alla consultazione pubblica relativa allo schema del nuovo regolamento sul diritto d’autore online che tante polemiche ha sollevato nei mesi scorsi.

Nei prossimi giorni si aprirà, invece, la fase delle audizioni nel corso della quale i soggetti interessati che hanno presentato, per iscritto, all’Autorità le proprie posizioni sullo schema di regolamento avranno la possibilità di illustrarle, nel dettaglio, ai funzionari dell’Autorità.

Chiusa anche questa fase, quindi, nei prossimi mesi starà all’Autorità – tenuto o meno conto delle osservazioni ricevute e perplessità sollevate da quanti hanno partecipato alla consultazione – adottare il regolamento e stabilire così, una volta per tutte, quali saranno le regole che governeranno la circolazione dei contenuti digitali nello spazio pubblico telematico italiano.

Una piccola Autorità, un minuscolo regolamento per un ambizioso obiettivo.

Tanto ambizioso, quanto pericoloso perché qualsivoglia errore commesso – ed a giudicare dallo schema di regolamento ce ne sono tanti – nella definizione della posizione di equilibrio tra la tutela dei diritti d’autore e quella della libertà di manifestazione del pensiero, finirà, inesorabilmente, con l’incidere sulla misura di democrazia e libertà alla quale avremo diritto, on line, negli anni a venire”

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MEDIASET VS YAHOO! – Nel frattempo il tribunale di Milano accoglie le richieste di Mediaset e condanna Yahoo per aver indebitamente diffuso sul suo portale materiale coperto da diritto d’autore. Appuntamento al 18 ottobre per la quantificazione della multa.

UPDATE 17 settembre 2011 – Arrivano anche le motivazioni dei giudici, qui brillantemente analizzateda Guido Scorza. 

Mentre, con meraviglioso tempismo, viene depositata alla Camera dei Deputati la proposta di legge C4549, mirante a modificare gli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, quello che recepisce la direttiva 2000/31/CE (sulla “Responsabilità dei prestatori intermediari”). La proposta parte dal presupposto che la direttiva solleva gli intermediari da responsabilità qualora gli utenti dei servizi  da loro gestiti commettano reati, ma solo quando è accertato che lo stesso intermediario era ignaro della presenza del suddetto contenuto. Dunque, affermano i proponenti, in tutti quei casi nei quali l’intermediario (che sia esso provider di connessione o di servizi telematici) viene informato, da qualunque soggetto, in merito ad una violazione perpetrata sulle sue reti, esso deve intervenire per risolvere il problema. Il punto critico della proposta è che si salta il momento nel quale viene accertato che un contenuto genera reato, il che spetta alla magistratura e a nessun altro. Inoltre, nonostante si riconosce all’intermediario di non avere obblighi di sorveglianza, si spinge affinché egli implementi dei filtri contro la pubblicazione di materiale, ad esempio, in violazione di copyright. Si arriva addirittura a pensare di chiedere agli intermediari “la sospensione della fruizione dei servizi dei destinatari di tali servizi che pongono in esame violazioni dei diritti di proprietà industriale per evitare che siano commesse nuove violazioni della stessa natura da parte degli stessi soggetti”. Cioè, non si deve far pubblicare di nuovo a quel soggetto quel contenuto, imboccando la china pericolosa che porta fino alla richiesta di impedire l’accesso al servizio e, perché no, alla Rete Internet. 

Per approfondire in merito agli scempi di questa iniziativa legislativa clicca qui

Una “curiosità”: la 4549 fa il paio con il disegno di legge 4511, intitolato proprio “Modifica degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, in materia di responsabilità e di obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione”; firmato dall’onorevole leghista Giovanni Fava, sembra proprio il testo sul quale è stata ricalcata questa nuova proposta. 

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Cronologia delle leggi e delle sentenze sull’Internet italiano

Clicca sull’immagine per aprire la timeline che ripercorre la cronologia delle principali leggi e sentenze che hanno dato forma alla rete Internet sotto il cielo d’Italia. 

Timeline leggi Internet Italia

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Agcom e copyright: pronti per l’autunno?

Dunque, siamo in attesa di nuove mosse da parte dall’Agcom, dopo la moratoria scattata in luglio, con scadenza a novembre, sul testo del regolamento contenuto nella delibera 668/2010. Nel frattempo, il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio EU ha in programma di estendere da 50 a 95 anni il termine dei diritti d’autore dei quali beneficiano artisti (interpreti ed esecutori) e produttori di fotogrammi.

Sempre in ambito internazionale, Parigi è pronta ad ospitare un nuovo G8 per la Rete, questa volta focalizzato sul copyright. E mentre alcune telco francesi iniziano a prospettare nel loro paese un limite di utilizzo della banda, si consumano stravolgimenti negli assetti delle maggiori società del mondo della tecnologia, con conseguenze già a breve termine su tutto il sistema.

E’ giusto una serie di appunti per dire che, tornati dalle ferie, bisogna prepararsi alla mobilitazione autunnale…

UPDATE 31 agosto 2011 – Quasi dimenticavo: inizia oggi l’asta delle frequenze liberate dal passaggio al digitale terrestre e utili per le reti di nuova generazione 4G. Sono quattro le compagnie di telecomunicazioni in corsa: Telecom Italia, Vodafone, Wind e H3G. Poste Mobile e Linkem si sono tirati indietro all’ultimo. Si spera di ricavare almeno 3,1 miliardi di euro che le aziende dovranno versare entro al fine di settembre; la base d’asta è di 2,4 miliardi con possibilità di un rilancio minino del 3%. Sarà possibile consultare le graduatorie sul sito del ministero dello Sviluppo Economico. 

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Regolamento Agcom: moratoria fino a novembre. E intanto l’Autorità apre al dialogo

Arriva la decisione da parte dell’Agcom di mettere, di fatto, in moratoria fino a novembre il testo del regolamento contenuto nella delibera 668/2010. L’annuncio è arrivato da parte del presidente Corrado Calabrò durante l’audizione di oggi al Senato, seconda parte di quella avuta giovedì scorso. Commentano così il segretario di Agorà Digitale Luca Nicotra e Marco Perduca, senatore radicale: “è un’altro passo nella giusta direzione. Un segnale positivo perché dimostra come il confronto di Agcom con una mobilitazione che ha coinvolto numerose associazioni, partiti, organizzazioni ed esperti del settore stia pian piano erodendo le certezze e la volontà di chiudere con rapidità che l’Autorità stessa aveva espresso solo poche settimane fa. Si tratta pero’ di segnali che ci inducono ad auspicare che la mobilitazione continui, insistendo su un punto: l’Autorità abbia il coraggio di sospendere l’iter del regolamento fino all’approvazione di una riforma del diritto d’autore. Innanzitutto perche’ i riferimenti normativi fatti dall’Autorità sono quantomeno dubbi: il decreto Romani riguarda solo i media audiovisivi e non l’intero diritto d’autore, mentre la normativa sul diritto d’autore, nella parte citata da Agcom (art. 182/bis), è del 2000 e non si comprende, se sussistesse tale legittimità di intervento, il motivo per cui l’Autorità ad oggi non l’abbia messa in atto.
Inoltre il regolamento avrebbe un impatto enorme nel frenare l’innovazione nel paese, escludendo nuovi soggetti per favorire quelli con posizioni consolidate. Ma soprattutto sarebbe un precedente nell’uso di sistemi di censura senza eguali in altri paesi occidentali. Un rischio di un regolamento-apripista nell’uso della censura come sistema per affrontare i problemi che pare confermato dalla richiesta di Calabrò al Parlamento di attribuire ad Agcom il potere di intervento anche sui siti esteri”.

Stamattina attivisti e blogger avevano consegnato a Calabrò il volume “La Rete, una Sinfonia”, iniziativa partorita da Agorà digitale, Avaaz e FakePress contenente gli oltre 20000 messaggi che hanno invaso profili Facebook e Twitter in queste ore; “La richiesta della società civile, dei parlamentari e addirittura di membri del governo è la stessa da mesi – ha dichiarato lo stesso Luca Nicotra, che ha fisicamente consegnato il volume – L’Autorità non ha la possibilità di autoattribuirsi poteri di censura di contenuti e perciò si deve fermare, mettere in moratoria il regolamento, e lasciare che della riforma del sistema del diritto d’autore si occupi il Parlamento”.

UPDATE 29 luglio 2011 – Puntuale, Guido Scorza mette in evidenza le contraddizioni e le incongruenze che si celano dietro questa decisione dell’Agcom; l’Autorità appare così in totale confusione.

UPDATE 3 agosto 2011 – L’Agcom sembra aprire al dialogo: nell’ultima newsletter l’Autorità propone un forum degli addetti ai lavori che, giovandosi anche dei contributi che gli utenti lasciano sui social network, possa creare un centro di discussione sul nuovo regolamento. Commenta così, al Fatto Quotidiano, Luca Nicotra: “Indubbiamente è un passo avanti che testimonia l’importanza della nostra mobilitazione. All’autorità va dato atto di un cambiamento netto nel modo di porsi nei confronti del popolo della Rete, specie nell’uso del linguaggio, prima indirizzato a screditare gli utenti, ora quasi “da vecchi amici. Certo, una cosa è una newsletter, un’altra è un forum, un’altra ancora è il Parlamento, che secondo noi era e rimane l’unico luogo deputato a decidere e legiferare su determinate questioni. In tal senso, una pagina su Facebook non può sostituire la Camera o il Senato. Noi vigileremo su questa iniziativa per comprenderne la reale portata e come sempre lo faremo con molto rigore”.

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La Rete è una sinfonia, non fermate la musica!

Un “Far Web” da civilizzare; un luogo di “cinguettii, grida di allarme, più megafono che piattaforma di discussione”. Si è espresso così il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò nel corso dell’audizione avuta giovedì 21 luglio di fronte alle Commissioni Cultura e Comunicazioni del Senato. Audizione che vedrà la sua seconda parte domani.

Dunque, Calabrò punta ad introdurre un vero e proprio schema cognitivo che prende di mira le logiche fondamentali dell’interazione e della comunicazione in Rete e ne ribalta la visione, ne stravolge il senso. Le iniziative prese dall’Agcom in materia di censura online vengono così contestualizzate in quella che sembra essere un’operazione di discredito di Internet e delle sue dinamiche, un retorico tentativo di far passare come necessarie le norme contenute nello schema di regolamento attualmente in fase di consultazione pubblica.

La Rete non è quella descritta da Calabrò, ma una sinfonia. Partecipiamo tutti insieme al concerto contro chi vuole fermare la musica!

www.agoradigitale.org/lareteunasinfonia

Ripropongo il Pdf con la relazione integrale presentata da Calabrò in Senato, insieme ad un “Approfondimento sul nuovo schema di regolamento sul diritto d’autore” a cura di Fabrizio Ventriglia di Agorà Digitale.

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