Articoli con tag Regolamentazione
Banda larga: il dossier del Senato
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Italia il 29 aprile 2011
Si intitola semplicemente “Banda larga” ed è il documento con il quale il Servizio Studi del Senato della Repubblica intende fare “una ricognizione normativa” sul tema, oltre a presentare in allegato “documenti di interesse provenienti dalla magistratura contabile, da autorità indipendenti e dal Governo”. Dai programmi di lotta al “rural divide” si passa alle misure prese in materia di New Generation Network, presentando interventi e documenti di Corte dei Conti, Agcom, Antitrust e ministeri direttamente coinvolti nell’Agenda Digitale. Clicca qui per il Pdf.
BUON COMPLEANNO LINUX – Volevo anche segnalare un breve video nel quale si riassume la storia di Linux in occasione del suo ventesimo anno di vita e nel giorno del lancio di Ubuntu 11.04, la distribuzione per pc ultra user friendly dello stesso Linux.
La difesa di Jobs. Che non basta
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Italia, Unione Euopea, USA il 28 aprile 2011
Sarebbe una mancanza degli sviluppatori la causa della presenza del file che registra i dati di localizzazione degli utenti di iPhone. In sostanza, Apple ammette di aver dimenticato di mettere un limite temporale alla conservazione, che al momento vede registrato fino ad un anno di cronologia. E’ poi colpa di un bug se le informazioni di geolocalizzazione vengono incamerate anche con la relativa funzione spenta. Tuttavia, gli utenti possono comunque tranquillizzarsi perché i dati raccolti non sono associabili ad un singolo dispositivo, ma sono aggregati anonimi che Cupertino usa per lo sviluppo dei software, per la risoluzione dei problemi nonché per la messa a punto delle pubblicità di iAd. Lo stesso Jobs, in un’intervista al settimanale Mobilized, afferma: “Non seguiamo nessuno. I file trovati nei telefoni, come abbiamo spiegato, erano sostanzialmente creati attraverso informazioni anonime che raccogliamo da decine di milioni di iPhone”. Il numero uno di Apple giustifica poi così l’accaduto:”Quando una nuova tecnologia fa il suo ingresso c’è un periodo di aggiustamento e di insegnamento”. Dulcis in fundo, consolidated.db, il file incriminato, verrà cancellato con il prossimo aggiornamento di iOS.
PAROLE SOLTANTO PAROLE? – Di sicuro non basteranno le parole giunte da Cupertino a chiudere la questione. Analoghe prese di posizione sono attese anche da Google e Microsoft, e le iniziative legali già intraprese in più parti del mondo spingono a credere che la vicenda sarà ancora lunga. Anche alla luce di chi allarga il raggio della questione accusando Mountain View e Cupertino di manovrare illecitamente i dati di localizzazione raccolti dai Pc sfruttando interazioni tra reti WiFi e browser come Chrome. Il problema risiederebbe nell’opacità che ricopre l’utilizzo che di questi dati viene fatto dalle aziende dopo aver ricevuto comunque il consenso degli utenti alla loro raccolta.
Smartphone spioni: le prime iniziative legali
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Italia, Unione Euopea, USA il 26 aprile 2011
La sensazione è che siamo solo all’inizio della vicenda relativa agli iPhone spioni (che in realtà coinvolge gli smartphone in generale). Sono infatti partite le prime iniziative legali volte a far luce su queste pratiche potenzialmente lesive della privacy degli utenti, i cui spostamenti vengono memorizzati sotto forma di coordinate non criptate. Apple e Google hanno ricevuto una lettera con una richiesta di chiarimenti da Lisa Madigan, procuratore generale dell’Illinois, mentre l’autorità garante per le comunicazioni sudcoreana apre un’indagine sul caso. E nonostante entrambe le società affermino di aver sempre richiesto il consenso degli utenti per la raccolta di qualunque tipo di dato, si profila una class action proprio in merito a questo punto; il primo passo in questo senso è stata la denuncia che i due utenti della Mela morsicata Vikram Ajjampur e William Devito hanno depositato presso la Corte Federale di Tampa (Florida). Con essa i due chiedono un risarcimento per non aver ricevuto un’esplicita richiesta per la memorizzazione dei dati di geolocalizzazione e un’ingiunzione permanente nei confronti di questo stesso servizio.
Nelle ultime ore, inoltre, si è allargato il ventaglio dei punti critici: un’indagine del Wall Street Journal mette in luce come i dati vengano memorizzati anche con il sistema di localizzazione disattivato, mentre si scopre che una clausola nelle condizioni d’uso diventa una liberatoria per la memorizzazione dei dati in questione anche al di fuori del solo sistema GPS. Sempre più coinvolto risulta Google: alcune app dell’Android Market provvederebbero all’invio alla rete di inserzionisti di informazioni sul posizionamento dell’utente con altissima frequenza. E sembrano valere poco le spiegazioni di Mountain View che cercano di far rientrare il tutto nel servizio Google Location; il fatto che esso sia opt-in non rende meno grave che oltre all’aggregazione di dati per il miglioramento del servizio ci sia anche la possibilità di risalire al singolo utente. L’argomento principale della difesa di Apple è invece il fatto che i dati memorizzati non arrivino a Cupertino.
UPDATE 27 aprile – Finiscono direttamente coinvolti anche i dispositivi Windows Phone 7, con Redmond che non ha ancora chiarito con quale frequenza vengano raccolti questi dati, per quanto tempo vengano conservati e se rendono possibile risalire al singolo utente.
iPhone spioni
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Italia, Unione Euopea, USA il 23 aprile 2011
Si incendia il dibattito scaturito dalle denunce dei ricercatori di sicurezza Alasdair Allan e Pete Warren; i due hanno sollevato nei giorni scorsi l’attenzione sul fatto che il sistema operativo iOS, quello implementato sugli iPhone della Apple, conserva dei file nei quali sono registrati tutti gli spostamenti che compie il possessore del dispositivo. La liceità e i limiti ai quali devono sottostare gli strumenti di geolocalizzazione per non sconfinare nella violazione della privacy non sono argomenti dell’ultima ora, anche se divengono sempre più centrali perché i rischi di un abuso di questo tipo di tecnlogie sono innegabili. Rischi dei quali gli utenti, secondo un’indagine di Microsoft Italia del gennaio 2011, sono per la maggior parte preoccupati (52%) anche se solo il 62% è consapevole dell’esistenza dei servizi di geolocalizzazione nei propri smartphone. In ogni caso, fanno notare Allan e Warren, non è l’azienda ad attingere a questi dati, che vengono invece salvati nei computer sui quali si effettua la sincronizzazione col dispositivo mobile. Inoltre, non sono file segreti ed è possibile la loro cifratura. Tuttavia, i timori sembrano essere forti tra i rappresentanti dell’ADOC (l”associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori), tanto da richiedere al Garante della privacy un intervento per mettere luce a quella che viene definita una situazione “sconcertante”.
Si è già attivata sul caso l’Agenzia bavarese per la protezione dei dati, mentre la francese Commission nationale de l’informatique et des libertès (CNIL) afferma per bocca del suo segretario generale Yann Padova: ”Se [i dati, nda] vengono solo conservati si tratta di un semplice caso di mancata richiesta di autorizzazione, se invece sono accessibili da Apple è una questione ben più seria”. Chiarimenti a Steve jobs vengono richiesti anche dal Congresso americano e le autorità del New Jersey hanno aperto un’indagine sull’uso dei dati incamerati dagli smartphone. La questione della geolocalizzazione investe behavioral advertising, servizi location based nonché l’utilizzo che di questi dati possono fare le forze di polizia. E non di sola apple si tratta: ormai coinvolti anche gli altri sistemi operativi per dispositivi intelligenti, Android su tutti.
Le email come prova
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Italia il 22 aprile 2011
Un’importante sentenza arriva dal Tribunale di Prato: le email sono da considerarsi strumenti dotati di firma elettronica. Username e password sarebbero dunque un riconoscimento valido quanto quelli contenuti nella definizione di firma elettronica contenuti nel nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale (articolo 1, lett.Q). Un messaggio di posta elettronica ha dunque sufficienti e oggettivi requisiti di integrità, sicurezza, qualità e immodificabilità per avere efficacia probatoria in giudizio.
TORRENTISMO OFFLINE – Diventa intanto irraggiungibile dal nostro paese Btjunkie.org, motore di ricerca di BitTorrent. Il blocco è stato attuato a seguito dell’ordine di inibizione emesso da un PM e appellabile solo in Cassazione (procedura divenuta lecita nell’ambito del caso di The Pirate Bay), ordine imposto sulla base della normativa sul commercio elettronico (il D.lgs 70/2003). Btjunke.org è stato così messo offline nell’ambito dell’operazione Poisonous Dahlia condotta dalla Guardia di Finanza di Cagliari, spesso impegnata in questo tipo di operazioni. Gioia della Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI), che aveva definito il search engine come un enorme supermercato del falso multimediale alla luce di circa 500mila accessi quotidiani dall’Italia e dei 3,5 milioni di euro annui che si stima i gestori del sito abbiano guadagnato con questo servizio.
UPDATE 26/4/2011 – I gestori del sito sembrano non voler presentare ricorso bensì intraprendere la strada dell’aggiramento. Sull’home page del search engine è infatti apparsa la scritta: “Attenzione Italiani: btjunkie.org verrà presto bloccato a causa della censura giudiziaria italiana. Potrete continuare ad accedere al sito tramite proxyitalia.com/btjunkie.org”. Già in molti avevano evidenziato come le regole imposte dall’operazione Poisonous Dahlia avrebbero potuto essere aggirate tramite semplici meccanismi di VPN.
iPHONE SPIONI – Si incendia nel frattempo il dibattito scaturito dalle denunce dei ricercatori di sicurezza Alasdair Allan e Pete Warren; i due hanno sollevato nei giorni scorsi l’attenzione sul fatto che il sistema operativo iOS, quello implementato sugli iPhone della Apple, conservi dei file nei quali sono registrati tutti gli spostamenti che compie il possessore del dispositivo. La liceità e i limiti ai quali devono sottostare gli strumenti di geolocalizzazione per non sconfinare nella violazione della privacy non sono argomenti dell’ultima ora, anche se divengono sempre più centrali perché i rischi di un abuso di questo tipo di tecnlogie sono innegabili. Rischi dei quali gli utenti, secondo un’indagine condotta da Microsoft Italia nel gennaio 2011, sono per la maggior parte preoccupati (52%) anche se solo il 62% è consapevole dell’esistenza dei servizi di geolocalizzazione nei propri smartphone. In ogni caso, fanno notare Allan e Warren, non è l’azienda ad attingere a questi dati, che vengono invece salvati nei computer sui quali si effettua la sincronizzazione col dispositivo mobile. Inoltre, non sono file segreti ed è possibile la loro cifratura.
Tuttavia, i timori sembrano essere forti tra i rappresentanti dell’ADOC (l’associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori), tanto da spingerli a richiedere al Garante della privacy un intervento per fare luce su quella che viene definita una situazione “sconcertante”.
USA: class action contro gli spioni di Street View
Pubblicato da Marco Ciaffone in USA il 21 aprile 2011
San Josè, California. Un gruppo di netizen propone una class action al giudice distrettuale James Ware con l’obiettivo di fare luce sull’intercettazione e incameramento non autorizzato di dati da parte delle Google Cars durante i loro tour di mappatura in giro per gli USA. Un ulteriore, ennesima grana per Street View, alle prese in un tutto il mondo con processi, denunce, perquisizioni e restrizioni alla sua attività. Il giudice Ware dovrà ora stabilire se le comunicazioni che hanno luogo su reti WiFi non protette siano da ricomprendere nella stessa categoria delle frequenza radio AM-FM. Se fosse così, avrebbe ragione la difesa di Google nel considerarle liberamente intercettabili; in caso contrario, entrerebbero in scena le norme dello Wiretap Act, la legge statunitense che regola le intercettazioni. E dunque quello delle Google Cars risulterebbe una vera e propria violazione della privacy.
Scuole in WiFi: siamo alla vigilia
Pubblicato da Marco Ciaffone in Italia il 21 aprile 2011
L’Operazione Scuole in WiFi partirà il 9 maggio. Lo annuncia il ministro Renato Brunetta, specificando che grazie a questo progetto ogni istituto aderente al progetto ScuolaMia (attualmente 3mila) beneficerà di un access point gratuito alla Rete a scopo didattico. Un ulteriore tassello del Piano e-Gov 2012 che si giova, tra l’altro, di alcuni dati: negli ultimi tre anni tutte le scuole sarebbero state connesse alla Rete, mentre l’80% di esse sarebbero in possesso di una casella di posta certificata. Costo complessivo: 5 milioni di euro.
A margine, Brunetta ha annunciato che dal prossimo anno saranno disponibili online le pagelle e i servizi di pagamento delle tasse di iscrizione alle scuole pubbliche; un sistema che dovrebbe generare un risparmio complessivo di 120 milioni di euro.
Confalonieri e la retefobia
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Italia il 21 aprile 2011
Nel mercato di Internet “regna la totale assenza di regole e controlli” e si produce così “un’asimmetria dannosa” rispetto al mercato televisivo nel quale “vi è una pesante ingerenza degli organi di regolamentazione”. A parlare è il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, che centra il discorso tenuto davanti alla platea degli azionisti soprattutto su diritto d’autore e copyright, materia sulla quale la sua azienda si è già scontrata in tribunale con Youtube nell’affaire dei video del Grande Fratello ospitati sul Tubo; in quell’occasione il giudice diede ragione a Mediaset, a differenza di quanto accaduto in Spagna con la controllata Telecinco in un processo del tutto simile.
Dunque Internet sarebbe un pericolo per la Tv perché permetterebbe una seriale e massiccia violazione di copyright, con gli obiettivi futuri dell’azienda di Cologno Monzese così tratteggiati: “Difendere gli investimenti contro ogni utilizzo parassitario e ogni pirateria. Non vogliamo privare il mondo degli internauti dei contenuti più preziosi e apprezzati. Vogliamo invece fare in modo che questi contenuti continuino a essere pensati, finanziati, distribuiti dentro a una logica economica, l’unica che garantisce la loro generazione”. A pensare male si potrebbero ricondurre certe affermazioni alle intenzioni del famigerato Decreto Romani di imporre alla Rete oneri e balzelli tipici delle reti televisive tout court. E sempre a pensare male si risalirebbe al conflitto di interessi di chi guida sia il governo del quale fa parte Romani sia l’azienda presieduta da Confalonieri.
Il buon Fedele conclude parlando dell’asta sulla banda da 800mhz, a proposito della quale parla si “un’incomprensibile politica di favore verso il mondo delle telecomunicazioni e a scapito del mondo di noi televisivi” da parte dell’Europa, che ha prescritto l’assegnazione della suddetta banda agli operatori telefonico mobile. Tornando a pensare male, bisogna far notare che il nostro governo si è già mosso per “risarcire” le reti televisive di cotanta razzia
POLITICA E SOCIAL NETWORK – Intanto la società di social management Info realizza un’infografica (pubblicata da isuu.com) nella quale si analizzano i dati della presenza su Facebook dei nostri politici. Silvio Berlusconi insegue Nichi Vendola in quanto a fans (240.547 contro 386.821) ed è a sua volta tallonato da Antonio Di Pietro. Uno dei punti principali che risaltano è l’uso scarsamente interattivo che molti fanno del mezzo (in una logica figlia di comizi elettorali e televisione); a distinguersi, come facilmente immaginabile, le fasce più giovani. Clicca sull’immagine per vedere tutti i dati.
La cura Mandelson va (quasi) bene così
Pubblicato da Marco Ciaffone in Unione Euopea il 21 aprile 2011
L’Alta Corte d’Inghilterra boccia il ricorso presentato nel novembre 2010 dai due provider British Telecom e TalkTalk contro il Digital Economy Act (DEA), la legge di prossima approvazione che colpirà nel Regno Unito gli utenti colpevoli di condivisione di materiale coperto da copyright. Per la High Court la cosiddetta Cura Mandelson non si pone in contrasto con nessuna delle norme continentali; i due provider, tra i maggiori del paese, contestavano la presenza di obblighi come la notifica agli utenti e il blocco dei siti di condivisione illecita colti in flagrante. Unica vittoria per BT e TalkTalk la rilevata necessità di revisione della disciplina di suddivisione dei costi operativi, che prevederebbe allo stato attuale per gli ISP l’onere del 25% delle spese di gestione del “sistema DEA”.
I ricorrenti non sembrano però arrendersi: nel Regno Unito c’è ancora da attendere il giudizio dell’ Office of Communications (OFCOM) in merito all’applicabilità tecnica delle norme, mentre su scala continentale è sempre aperta la possibilità di un ricorso alla Corte di Giustizia Europea.
La difesa di Groovershark
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, USA il 20 aprile 2011
Potrete ascoltare liberamente qualsiasi canzone del mondo. Questa la promessa con la quale Paul Geller lanciava l’applicazione pere smartphone Groovershark, tirandosi addosso immediatamente le antipatie di tutto il mondo dei detentori di diritti. Tanto che Google faceva sparire l’app da Android Market; stessa richiesta era stata avanzata anche alla Apple, e medesimo era stato l’esito. Ora è lo stesso Geller ad inviare una lettera aperta a Cupertino, Mountain View e ai rappresentanti dell’industria del disco per chiedere il reintegro della sua app, che non avrebbe violato le condizioni di utilizzo di Android Market a App Store; tutte le regole del Digital Millennium Copyright Act sarebbero state sempre rispettate, tanto che dal lancio dell’applicazione i gestori avrebbero già eliminato 1,76 milioni di brani che si ponevano in violazione di diritto d’autore (con 20mila utenti estromessi dalla piattaforma perché accusati di caricare contenuti illeciti) e ha stipulato contratti con oltre mille etichette di tutto il mondo (anche se nessuna delle major è ricompresa). Dunque, Geller chiede per la sua Grooveshark le tutele del safe harbor.
USA: l’FBI contro il poker online
Pubblicato da Marco Ciaffone in USA il 19 aprile 2011
Frode bancaria, riciclaggio di denaro e gioco d’azzardo illegale. Sono queste le accuse mosse dall’FBI nei confronti dei gestori dei siti PokerStar, Full Tilt Poker e Absolute Poker, tra i maggiori nel panorama del gambling online. I domini dei siti sono stati bloccati e 76 conti bancari che vi facevano riferimento risultano chiusi. Le violazioni all’Unlawful Internet Gambling Enforcement Act (UIGEA) del 2006 che vengono contestate avrebbero fruttato fino a 3 miliardi di euro di incassi illeciti. In particolare si contesta l’aver fatto passare le transazioni online (tramite carte di credito) legate al gioco per acquisti di prodotti come fiori o palline da golf. L’UIGEA infatti proibisce alle banche di effettuare passaggi di denaro tra giocatori statunitensi e siti di casinò registrati all’estero (i siti incriminati “risiedono” tra Costa Rica e Regno Unito). I dirigenti dei siti erano infatti d’accordo con istituti di credito e banche in difficoltà per aggirare le norme, come si evince dall’indagine dell’FBI iniziata due anni fa. In manette finiscono così anche intermediari e vertici di istituti di credito di 14 stati. Se venisse provata la loro colpevolezza, tre dei dirigenti degli spazi online, già arrestati, rischierebbero fino a vent’anni di prigione oltre ad un’ammenda. Secondo PokerScout, che elabora statistiche sul mondo del gioco d’azzardo online, i tre siti l’anno scorso hanno totalizzato 1,8 milioni di giocatori; una schermata sulle homepage avverte ora i giocatori dell’avvenuto sequestro, ponendo dubbi su dove andranno a finire i soldi di chi aveva un account aperto.
IDENTITA’ DIGITALI – Arriva invece dal Dipartimento del Commercio la presentazione ufficiale della National Strategy for Trusted Identities in Cyberspace (NSTIC): obiettivo è promuovere una partnership tra pubblico e provato per la creazione di un sistema di identità sicure online utilizzabili dalle industrie nella maniera più ampia possibile. E’ arrivato un plauso aperto dal mondo delle imprese del web, soprattutto per un’iniziativa che non prova ad imporre ma rimette al dibattito tra i protagonisti la messa a punto di una soluzione alle piaghe come il furto d’identità che ogni anno pesano sull’Internet Economy USA per 37 milioni di dollari.
Aggirare l’antipirateria? Con Firefox!
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, USA il 19 aprile 2011
Si chiama MAFIAA Fire ed è un’estensione del browser Firefox. Misterioso lo sviluppatore ma chiaro l’intento: aggirare i sigilli antipirateria imposti dal governo a svariati siti web. In sostanza, il plug-in permette il reindirizzamento verso i nuovi e accessibili domini di siti che sono stati bloccati nelle loro versioni americane perché accusati di violazione di copyright. Come Rojadirecta.com e .org, offline in USA ma attivo nella sua versione .es vista la sentenza della Corte Suprema spagnola che nel 2010 lo considerava lecito. Il codice di MAFIAA Fire sarà aperto e disponibile in rete tra pochi giorni; intervistato dalla rivista specializzata TorrentFreak, lo sviluppatore avvolto d’ombra ha dichiarato che si tratta di una lotta contro un modello di business superato che causa blocchi e sequestri massicci messi in atto da organismi come la US Immigrationand Customs Enforcement (ICE) senza l’autorizzazione di giudici. “Siamo davvero stanchi di tutta la corruzione portata da queste persone agli alti vertici del nostro governo. Quando è troppo, è troppo. C’è un momento per lamentarsi e uno per entrare in azione. E questa azione è ormai attesa da troppo tempo”.
MATCH.COM – Se conosci un uomo su un sito di appuntamenti ed egli si rivela un manico, la colpa è del sito? A questa domanda dovrà rispondere il giudice della Corte Superiore di Los Angeles alla quale si è rivolta una donna vittima di abuso sessuale per denunciare il sito Match.com, sul quale aveva conosciuto colui che l’ha aggredita all’incontro combinato sullo spazio online. La donna chiede ora al sito di mettere a punto un sistema che confronti i dati delle carte di credito con i registri delle violenze sessuali, oltre a non accettare nuove iscrizioni finché questo sistema non sarà pronto. Dal canto suo il sito ha in un primo tempo smentito la possibilità di un tale passo, per poi annunciare invece la creazione di questo sistema di screening. Tuttavia, fa sapere Mandy Ginsberg, ai vertici di Match.com, che tali meccanismi non sono mai stati implementati prima perché potevano generare un falso senso di sicurezza vista la loro fallacia, situazione che, sottolinea, varrà anche per il sistema in fase di implementazione.
Per una nuova data retention europea
Pubblicato da Marco Ciaffone in Unione Euopea il 19 aprile 2011
Un’analisi della Commissione Europea mette in luce la volontà di aggiornare a mezzo emendamento la direttiva 2006/24/EC, quella che regola la data retention sul continente. Si sottolinea come l’obbligo di conservazione dei dati di navigazione da parte di provider e fornitori di servizi di Telecomunicazioni sia stato funzionale alla prevenzione di parecchi reati, ma allo stesso tempo si dichiara necessario un aggiornamento alla luce degli avanzamenti tecnologici occorsi da cinque anni a questa parte. Soprattutto in materia di privacy, tema sul quale si è sempre battuto il gruppo di attivisti di European Digital Rights; in un’analisi la EDRi sostiene che i netizen europei sono stati sottoposti dalla direttiva ad una sistematica violazione della privacy, tesi sposata dalle autorità della Repubblica Ceca nel considerare solo poche settimane fa anticostituzionale la legge di recepimento della direttiva.
E COMMERCE – E mentre si attende l’annuncio da parte del Commissario Neelie Kroes di un’indagine a tutto campo sulla Net Neutrality nell’Unione, anche in vista delle nuove regole in materia di trasparenza contenute nel Pacchetto Telecom che entreranno in vigore da fine maggio, arriva l’allarme delle tre principali associazioni europee del commercio elettronico (la francese Fevad, l’italiana Netcomm e l’inglese Imrg): i costi per gli acquisti effettuati online dai 150 milioni di europei che sono soliti farne (10 in Italia) aumenteranno di 10 miliardi di euro l’anno se verranno approvate le nuove misure in materia proposte dal Parlamento. Si parla della “Direttiva dei consumatori”, che punta a modificare la 2000/31/CE sull’e-commerce. Si contestano i punti che stabiliscono l’obbligo di vendere in tutti e 27 i paesi e di gestire 7 valute e 25 lingue diverse; inoltre, le nuove norme sulle rese, i cui tempi vengono triplicati causando così oneri maggiori per le imprese. Così il presidente di Netcomm Roberto Liscia, intervenuto sul Corriere della Sera: “Da un’analisi condotta sulla base dei dati forniti dalle associazioni di categoria europee che rappresentano circa il 50% del comparto, l’incremento dei costi di trasporto che si genererebbero se questa direttiva passasse, ammonta a circa 10 miliardi di euro. Ad oggi, infatti, i costi di trasporto dell’e-commerce europeo valgono circa 5,7 miliardi di euro. Con la nuova legislazione salirebbero a 15,6 miliardi. Questi emendamenti provenienti dall’Europa sono i più devastanti mai proposti in materia di commercio elettronico. Oltre a non essere necessari, genererebbero un incremento dei costi che ricadrebbe inesorabilmente su un peggioramento dei prezzi per i consumatori. Molte piccole e medie imprese italiane ed europee si vedrebbero costrette a chiudere e molte start up addirittura a non nascere in un momento in cui la forza e la vitalità imprenditoriale è più necessaria che mai per portare l’Italia e l’Europa fuori da una crisi fortissima che ha lasciato pesanti segni e dalla quale ancora non siamo del tutto usciti. In Italia, poi, la gravità sarebbe ancora più evidente se si pensa che solo da poco tempo si sta recuperando il terreno perduto e mai come oggi si respira un fermento imprenditoriale che non può fare che bene al settore e all’intero sistema Paese”. Da parte sua il segretario generale vicario dell’Adiconsum Pietro Giordano nella stessa sede affermava:”Per chi opera non perfettamente sul mercato la normativa peserà, ma non ci può essere automatismo tra tempi di rimborso e aumento dei prezzi. poi il mercato selezionerà i venditori migliori, non tutti sono in grado di vendere in tutta Europa. Per le piccole imprese bisogna pensare alla necessità di consorzi a livello europeo, o eventualmente a delle eccezioni nella nostra normativa nazionale che permettano alle piccole realtà di vendere solo in Italia […] Il 90% delle richieste di reso avviene perché il prodotto non è conforme a ciò che si è ordinato. In questo caso per noi è giusto avere anche il rimborso delle spese”.
WiFi ancora nel mirino della burocrazia
Pubblicato da Marco Ciaffone in Italia il 18 aprile 2011
Un nuovo capitolo della difficile storia del WiFi nel nostro paese. Era il 26 ottobre 2010 quando il nostro governo proponeva per
decreto una bozza di regolamento in attuazione della direttiva europea 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni. Si chiude oggi la consultazione pubblica sul documento nel quale è possibile leggere che “i lavori di installazione, di allacciamento e di collaudo delle apparecchiature terminali […] finalizzati alla realizzazione di un impianto interno di comunicazione elettronica, nonché i lavori di manutenzione o di trasformazione, sono eseguiti dalle imprese titolari di autorizzazione generale per l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazione elettronica”. Insomma, gli utenti sarebbero tenuti ad affidarsi a questi professionisti (che a loro volta sono tenuti ad iscriversi ad un albo la cui creazione è prevista nello stesso decreto) per ognuno dei passaggi e degli aspetti relativi alla connessione, con evidenti aumenti di intermediazione e dunque costi, per dare seguito ad una fino ad ora inapplicata legge del 1992 per effetto della quale erano arrivate pochi mesi prima del decreto multe a negozianti milanesi. L’articolo 10 della bozza esclude gli impianti con “una capacità non superiore a dieci punti di utilizzo finale”, il che escluderebbe i router che acquistiamo nei negozi ma non quelli che verrebbero inviati dagli operatori su richiesta dell’abbonato; operatori che si troverebbero così a dover inviare una squadra di tecnici ( un direttore dei lavori e due aiutanti) a casa di chi richiede un abbonamento per collegare router e modem, oltre a vari altri cavilli burocratici presenti su tutto il percorso. Il fai da te potrebbe costare caro, con multe che vanno dai 15 ai 150mila euro.
Ancora una volta sembra ribaltato lo spirito della direttiva dalla quale si parte, visto che la 2008/63/CE prescriveva misure volte a alla liberalizzazione del settore di telecomunicazione e il controllo dei dispositivi per promuovere standard che rendano la concorrenza praticabile su scala continentale. La norma invece sembra scoraggiare la nascita di piccoli Isp che si ritroverebbero di fronte ad una burocrazia ostile. Sembra che per norme definitive si debba attendere fino al prossimo dicembre; nel frattempo però il ministero è obbligato ad emettere provvedimenti in materia, che si spera siano correttivi. Speranza non peregrina dato che lo stesso Paolo Romani dichiara di non aver ancora preso in mano il testo. Magari dandogli una letta…
USA: in ascesa i controlli sulle electronic communications
Pubblicato da Marco Ciaffone in USA il 16 aprile 2011
Le comunicazioni elettroniche sul suolo americano sono sempre più controllate. Lo afferma tramite una ricerca Christopher Soghoian della Harvard University. Grazie alle disposizioni dello Stored Communications Act (SCA) del 1986, parte del più ampio Electronic Communications Privacy Act (ECPA), le forze dell’ordine statunitensi posso richiedere ai gestori dei servizi Internet i dati del traffico online degli utenti nei minimi dettagli. Facoltà che a quanto pare vengono ampiamente sfruttate dagli agenti che recapitano decine di migliaia di richieste al mese a Facebook&Co. “Le forze di polizia o l’FBI – argomenta Soghoian – possono ottenere la maggior parte dei dati di cui hanno bisogno dalla comodità e dalla sicurezza delle loro scrivanie con pochi click, con un fax o con una telefonata […] In realtà molte compagnie telefoniche hanno sviluppato siti web self service in esclusiva per gli agenti di polizia per recuperare i dati relativi agli utenti in maniera autonoma”, servizio che sarebbe stato sfruttato ben 8 milioni di volte in un anno. “Tali dati si sono dimostrati preziosi per la polizia e le altre forze dell’ordine – conclude Soghoian – tuttavia il reperimento di tali informazioni non ha nessun obbligo di rendicontazione e le statistiche appaiono minime se non del tutto inesistenti”. Il problema è tra quelli sollevati anche da Google, Microsoft e AOL nell’ambito della composizione del Digital Due Process.
La linea amica di Brunetta
Pubblicato da Marco Ciaffone in Italia il 16 aprile 2011
Un altro passo in avanti nel piano di e-government del ministro per la Pubblica Amministrazione e Innovazione Renato Brunetta. E’ da poche ore online Lineamica.gov, il “Portale degli italiani”, il cui obiettivo è quello di rendere più facile e diretto il rapporto tra il cittadino e la PA. Lo spazio online si affianca così al portale unico della Pubblica Amministrazione Vivifacile.gov e al prossimo Reti Amiche. Brunetta ha definito Lineamica “Il Google della PA, con in più la voce”, aggiungendo nel corso della conferenza stampa di presentazione:”Nella PA ci sono più di 40mila siti, con oltre un miliardo di documenti archiviati. È pensabile che nell’arco del prossimo anno questo miliardo diventi 10 miliardi. È una crescita esponenziale. È un portale che raggruppa direttamente e indirettamente tutti i siti della PA con un potente motore di ricerca, capace di navigare dentro questa enorme quantità di informazioni e di essere intelligente nel selezionare le informazioni ricercate”. Dunque, un ampio database, una ricca sezione di FAQ e un motore di ricerca collegato al circuito di Italia.gov che permetterà ad ogni cittadino di “sapere subito quanti punti ha sulla patente, se il figlio va a scuola o quante sono le auto blu”. Arriva al contempo lo strumento MiaPA, che permetterà di ricercare tramite smartphone gli uffici pubblici più vicini nonché di esprimere il grado di soddisfazione per il servizio ricevuto.
Il P2P è innocuo
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Unione Euopea il 16 aprile 2011
Non verrebbe certo sottoscritta dalle major dell’intrattenimento mondiale l’affermazione che da il titolo a questo post, Tuttavia, uno studio commissionato dal governo olandese (che si prepara a vare nuove e più stringenti norme sulla tutela dei diritti d’autore) dimostra come a risentire economicamente dello scambio di contenuti tramite Internet sia stato solo il 12% dei 4mila tra musicisti, registi, scrittori e fotografi facenti parte del campione selezionato per condurre la ricerca. Non solo: il file sharing per il 50% di loro ha contribuito a dare loro visibilità trascinandosi dietro anche un maggiore consumo legale, tanto che il 22% degli artisti del campione ha ammesso di aver fatto uso in prima persona dei circuiti di peer to peer, con un altro 40% a ritenere che i sistemi di DRM abbiano contribuito soltanto ad incrinare il rapporto con gli utenti/pubblico.
Pubblicità comportamentale: è autoregolamentazione
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web il 16 aprile 2011
Dal giugno 2012 sulle pagine di Google, Yahoo!, Microsoft ed altri protagonisti del panorama pubblicitario online europeo sarà presente un’icona che indicherà la presenza di pubblicità comportamentale. E’ il risultato del documento di autoregolamentazione sottoscritto da questi colossi del web il 14 aprile. Obiettivo principe dell’accordo messo a punto da IAB Europe è migliorare la trasparenza nel behavioral advertising; così, cliccando sull’icona si accederà ad una pagina nella quale sarà possibile disabilitare le funzioni di pubblicità basata sulle informazioni personali.
Una decisione che arriva a ridosso della scadenza del termine ultimo per il recepimento dell’articolo 5 della direttiva 2002/58/CE che, modificata con la 2009/136/CE, è stata soprannominata “Cookie law” perché è la norma che impone ai siti di richiedere consenso esplicito agli utenti per l’implementazione di cookie che permettono a siti terzi la raccolta di informazioni sugli utenti stessi per la pubblicità comportamentale.
FRANCIA – Gli stessi temi sono stati al centro dell’incontro che il ministro francese all’industria, all’energia e all’economia digitale Eric Bresson ha avuto con i rappresentanti di Facebook, Google e Twitter. Oltre che di gestione dei cookie, già al centro delle attuali politiche di regolamentazione francesi vista la legge sul diritto all’oblio di prossima approvazione, si è però anche parlato di net neutrality, copyright e cybercrimini e delle modalità con le quali questi temi verranno inseriti nei dibattiti del prossimo G8, che si svolgerà proprio a Parigi il 24 e 25 maggio.
Next Generation Networking, forse si parte
Pubblicato da Marco Ciaffone in Il mondo del Web, Italia il 15 aprile 2011
La Cassa dei Depositi e Prestiti parteciperà insieme alle società di telecomunicazione alla formazione della Newco che dovrà gestire la messa a punto in Italia della NGN, la rete di nuova generazione. Almeno è quello che si afferma nel Piano Nazionale di Riforma (documento con il quale si indicano in sostanza i passi che il governo intende compiere per tenere fede agli obiettivi della strategia comunitaria Europa2020) presentato il 13 aprile 2011 dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il cammino del New Generation Networking nel nostro paese sembra dunque essere ad un punto di svolta, e al punto 69 del capitolo “Innovazione” del PNR si prevede “l’avvio di un piano per portare le reti di nuova generazione al 50% dei cittadini italiani. Un’iniziativa in partenariato pubblico-privato che vede coinvolti i 20 principali operatori di telecomunicazione in Italia”. Certo non è quantificato l’impegno economico della Cdp e lo stato di implementazione del progetto è ancora in fase di “definizione del piano esecutivo”, che dovrebbe tuttavia essere terminato entro il 2016.
DIGITAL DIVIDE E LTE – Sono altri due i punti del Pnr che parlano di banda larga: al punto 68 si menziona l’eliminazione del digital divide e si dipinge uno scenario nel quale, entro il 2013, si porterebbe una connessione a 20mbps per tutti i cittadini. Fondi per 370 milioni di euro sarebbero già utilizzabili grazie al Fondo strategico per il paese (Fas). Subito dopo viene invece indicata una generica “maggiore disponibilità per compensare la liberalizzazione delle frequenze da parte delle emittenti locali” nell’ambito dell’asta che dovrebbe fruttare al governo 2,4 miliardi di euro da reinvestire nelle nuove reti mobile Lte; proprio pochi giorni fa le società che si occupano della rappresentanza delle tv locali nella vicenda avevano fatto sapere che se il governo vuole le frequenze che appartengono ad esse deve sborsare 480 milioni di euro anziché i 240 previsti dalla Legge di Stabilità. Nel Pnr si prevede così l’emanazione di un “Dpcm per l’istituzione del Comitato dei Ministri incaricato di sovraintendere alla procedura di gara. Anticipazione al 2011 della gara per le frequenze del cosiddetto dividendo digitale ora in uso all’emittenza televisiva locale da destinare alla telefonia mobile a banda larga”.
I filtri antipirateria sono illiberali?
Pubblicato da Marco Ciaffone in Unione Euopea il 14 aprile 2011
Imporre ai provider il filtraggio o il blocco delle comunicazioni elettroniche per tutelare i diritti d’autore viola le tutele previste nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Almeno stando a quanto afferma l’avvocato generale Cruz Villàlon nella sua proposta di soluzione al caso SABAM – Scarlet Extended. La SABAM è il corrispettivo belga della SIAE che nel 2004 trascinava in tribunale il provider Scarlet (ex Tiscali) accusandolo di aver tratto profitto dalle attività illecite svolte sulle sue reti dagli utenti. In un primo tempo era stata prevista l’implementazione di un filtro, che sarebbe dovuto essere AudibleMagic, tra i più in voga; se non fosse che gli stessi dirigenti di SABAM lamentavano una sostanziale inefficacia dello stesso. Così il caso si trascinava avanti per sette anni. Tornando alla tesi di Villàlon, l’unica situazione nella quale suddetti filtri possano ritenersi leciti sarebbe la presenza di norme nazionali che ne regolamentino l’utilizzo, situazione che non è quella belga. Villàlon ha così chiesto alla Corte di Giustizia europea di vietare ai giudici continentali l’emissione di ordini di implementazione di filtri e blocchi al traffico online degli utenti.






