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Aggirare l’antipirateria? Con Firefox!

MAFIAA FireSi chiama MAFIAA Fire ed è un’estensione del browser Firefox. Misterioso lo sviluppatore ma chiaro l’intento: aggirare i sigilli antipirateria imposti dal governo a svariati siti web. In sostanza, il plug-in permette il reindirizzamento verso i nuovi e accessibili domini di siti che sono stati bloccati nelle loro versioni americane perché accusati di violazione di copyright. Come Rojadirecta.com e .org, offline in USA ma attivo nella sua versione .es vista la sentenza della Corte Suprema spagnola che nel 2010 lo considerava lecito. Il codice di MAFIAA Fire sarà aperto e disponibile in rete tra pochi giorni; intervistato dalla rivista specializzata TorrentFreak, lo sviluppatore avvolto d’ombra ha dichiarato che si tratta di una lotta contro un modello di business superato che causa blocchi e sequestri massicci messi in atto da organismi come la US Immigrationand Customs Enforcement (ICE) senza l’autorizzazione di giudici. “Siamo davvero stanchi di tutta la corruzione portata da queste persone agli alti vertici del nostro governo. Quando è troppo, è troppo. C’è un momento per lamentarsi e uno per entrare in azione. E questa azione è ormai attesa da troppo tempo”.

MATCH.COM – Se conosci un uomo su un sito di appuntamenti ed egli si rivela un manico, la colpa è del sito? A questa domanda dovrà rispondere il giudice della Corte Superiore di Los Angeles alla quale si è rivolta una donna vittima di abuso sessuale per denunciare il sito Match.com, sul quale aveva conosciuto colui che l’ha aggredita all’incontro combinato sullo spazio onlineLa donna chiede ora al sito di mettere a punto un sistema che confronti i dati delle carte di credito con i registri delle violenze sessuali, oltre a non accettare nuove iscrizioni finché questo sistema non sarà pronto. Dal canto suo il sito ha in un primo tempo smentito la possibilità di un tale passo, per poi annunciare invece la creazione di questo sistema di screening. Tuttavia, fa sapere Mandy Ginsberg, ai vertici di Match.com, che tali meccanismi non sono mai stati implementati prima perché potevano generare un falso senso di sicurezza vista la loro fallacia, situazione che, sottolinea, varrà anche per il sistema in fase di implementazione.

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Emirati e BlackBerry, ci risiamo

Le autorità degli Emirati Arabi Uniti già ad ottobre 2010 avevano predisposto una stretta sorveglianza sulle comunicazioni che hanno luogo tramite dispositivi Blackberry accordandosi in tal senso con la RIM, l’azienda che li produce. La motivazione risiederebbe dietro la convinzione che gli uomini di Al Qaeda si servono proprio di questi device per scambiarsi messaggi cifrati. Ma oggi si vuole fare di più: limitarne l’uso da parte di piccole aziende, organizzazioni e singoli cittadini. In sostanza, si stabilisce per legge che tutte le aziende con meno di venti abbonati non dovranno più appoggiarsi ai server privati BlackBerry Enterprise Service (BES), che offrono un sicurissimo sistema di cifratura, ma ai meno sicuri BlacBerry Internet Service (BIS). Da maggio gli abbonamenti del primo tipo verranno automaticamente cancellati. Dunque solo le organizzazioni e le aziende più grandi potranno beneficiare dei sistemi più sicuri e solo su apposita autorizzazione del governo. Misure analoghe previste nei prossimi mesi anche per le altre compagnie di smartphone. 

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Per una nuova data retention europea

Un’analisi della Commissione Europea mette in luce la volontà di aggiornare a mezzo emendamento la direttiva 2006/24/EC, quella che regola la data retention sul continente. Si sottolinea come l’obbligo di conservazione dei dati di navigazione da parte di provider e fornitori di servizi di Telecomunicazioni sia stato funzionale alla prevenzione di parecchi reati, ma allo stesso tempo si dichiara necessario un aggiornamento alla luce degli avanzamenti tecnologici occorsi da cinque anni a questa parte. Soprattutto in materia di privacy, tema sul quale si è sempre battuto il gruppo di attivisti di European Digital Rights; in un’analisi la EDRi sostiene che i netizen europei sono stati sottoposti dalla direttiva ad una sistematica violazione della privacy, tesi sposata dalle autorità della Repubblica Ceca nel considerare solo poche settimane fa anticostituzionale la legge di recepimento della direttiva.

E COMMERCE – E mentre si attende l’annuncio da parte del Commissario Neelie Kroes di un’indagine a tutto campo sulla Net Neutrality nell’Unione, anche in vista delle nuove regole in materia di trasparenza contenute nel Pacchetto Telecom che entreranno in vigore da fine maggio, arriva l’allarme delle tre principali associazioni europee del commercio elettronico (la francese Fevad, l’italiana Netcomm e l’inglese Imrg): i costi per gli acquisti effettuati online dai 150 milioni di europei che sono soliti farne (10 in Italia) aumenteranno di 10 miliardi di euro l’anno se verranno approvate le nuove misure in materia proposte dal Parlamento. Si parla della “Direttiva dei consumatori”, che punta a modificare la 2000/31/CE sull’e-commerce. Si contestano i punti che stabiliscono l’obbligo di vendere in tutti e 27 i paesi e di gestire 7 valute e 25 lingue diverse; inoltre, le nuove norme sulle rese, i cui tempi vengono triplicati causando così oneri maggiori per le imprese. Così il presidente di Netcomm Roberto Liscia, intervenuto sul Corriere della Sera: “Da un’analisi condotta sulla base dei dati forniti dalle associazioni di categoria europee che rappresentano circa il 50% del comparto, l’incremento dei costi di trasporto che si genererebbero se questa direttiva passasse, ammonta a circa 10 miliardi di euro. Ad oggi, infatti, i costi di trasporto dell’e-commerce europeo valgono circa 5,7 miliardi di euro. Con la nuova legislazione salirebbero a 15,6 miliardi. Questi emendamenti provenienti dall’Europa sono i più devastanti mai proposti in materia di commercio elettronico. Oltre a non essere necessari, genererebbero un incremento dei costi che ricadrebbe inesorabilmente su un peggioramento dei prezzi per i consumatori. Molte piccole e medie imprese italiane ed europee si vedrebbero costrette a chiudere e molte start up addirittura a non nascere in un momento in cui la forza e la vitalità imprenditoriale è più necessaria che mai per portare l’Italia e l’Europa fuori da una crisi fortissima che ha lasciato pesanti segni e dalla quale ancora non siamo del tutto usciti. In Italia, poi, la gravità sarebbe ancora più evidente se si pensa che solo da poco tempo si sta recuperando il terreno perduto e mai come oggi si respira un fermento imprenditoriale che non può fare che bene al settore e all’intero sistema Paese”. Da parte sua il segretario generale vicario dell’Adiconsum Pietro Giordano nella stessa sede affermava:”Per chi opera non perfettamente sul mercato la normativa peserà, ma non ci può essere automatismo tra tempi di rimborso e aumento dei prezzi. poi il mercato selezionerà i venditori migliori, non tutti sono in grado di vendere in tutta Europa. Per le piccole imprese bisogna pensare alla necessità di consorzi a livello europeo, o eventualmente a delle eccezioni nella nostra normativa nazionale che permettano alle piccole realtà di vendere solo in Italia […] Il 90% delle richieste di reso avviene perché il prodotto non è conforme a ciò che si è ordinato. In questo caso per noi è giusto avere anche il rimborso delle spese”.

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I conti in tasca alla spesa pubblica

Si chiama Open Spending e si pone semplicemente come spazio dal quale evincere i dati relativi alla spesa pubblica. Con un grafico interattivo ed un elenco di dati accessibili a chiunque in home page, OS si pone l’obiettivo di creare un database internazionale nei prossimi anni, sfruttando gruppi analoghi sorti in una ventina di nazioni (tra i quali l’inglese Does My Money Go?) nell’ambito di un più ampio progetto di Open Data della Open Knowledge Foundation.

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WiFi ancora nel mirino della burocrazia

Un nuovo capitolo della difficile storia del WiFi nel nostro paese. Era il 26 ottobre 2010 quando il nostro governo proponeva per WiFi e burocraziadecreto una bozza di regolamento in attuazione della direttiva europea 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni. Si chiude oggi la consultazione pubblica sul documento nel quale è possibile leggere che “i lavori di installazione, di allacciamento e di collaudo delle apparecchiature terminali […] finalizzati alla realizzazione di un impianto interno di comunicazione elettronica, nonché i lavori di manutenzione o di trasformazione, sono eseguiti dalle imprese titolari di autorizzazione generale per l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazione elettronica”. Insomma, gli utenti sarebbero tenuti ad affidarsi a questi professionisti (che a loro volta sono tenuti ad iscriversi ad un albo la cui creazione è prevista nello stesso decreto) per ognuno dei passaggi e degli aspetti relativi alla connessione, con evidenti aumenti di intermediazione e dunque costi, per dare seguito ad una fino ad ora inapplicata legge del 1992 per effetto della quale erano arrivate pochi mesi prima del decreto multe a negozianti milanesi. L’articolo 10 della bozza esclude gli impianti con “una capacità non superiore a dieci punti di utilizzo finale”, il che escluderebbe i router che acquistiamo nei negozi ma non quelli che verrebbero inviati dagli operatori su richiesta dell’abbonato; operatori che si troverebbero così a dover inviare una squadra di tecnici ( un direttore dei lavori e due aiutanti) a casa di chi richiede un abbonamento per collegare router e modem, oltre a vari altri cavilli burocratici presenti su tutto il percorso. Il fai da te potrebbe costare caro, con multe che vanno dai 15 ai 150mila euro.

Ancora una volta sembra ribaltato lo spirito della direttiva dalla quale si parte, visto che la 2008/63/CE prescriveva misure volte a alla liberalizzazione del settore di telecomunicazione e il controllo dei dispositivi per promuovere standard che rendano la concorrenza praticabile su scala continentale. La norma invece sembra scoraggiare la nascita di piccoli Isp che si ritroverebbero di fronte ad una burocrazia ostile. Sembra che per norme definitive si debba attendere fino al prossimo dicembre; nel frattempo però il ministero è obbligato ad emettere provvedimenti in materia, che si spera siano correttivi. Speranza non peregrina dato che lo stesso Paolo Romani dichiara di non aver ancora preso in mano il testo. Magari dandogli una letta…

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USA: in ascesa i controlli sulle electronic communications

Online InvestigationLe comunicazioni elettroniche sul suolo americano sono sempre più controllate. Lo afferma tramite una ricerca Christopher Soghoian della Harvard University. Grazie alle disposizioni dello Stored Communications Act (SCA) del 1986, parte del più ampio Electronic Communications Privacy Act (ECPA), le forze dell’ordine statunitensi posso richiedere ai gestori dei servizi Internet i dati del traffico online degli utenti nei minimi dettagli. Facoltà che a quanto pare vengono ampiamente sfruttate dagli agenti che recapitano decine di migliaia di richieste al mese a Facebook&Co. “Le forze di polizia o l’FBI – argomenta Soghoian – possono ottenere la maggior parte dei dati di cui hanno bisogno dalla comodità e dalla sicurezza delle loro scrivanie con pochi click, con un fax o con una telefonata […] In realtà molte compagnie telefoniche hanno sviluppato siti web self service in esclusiva per gli agenti di polizia per recuperare i dati relativi agli utenti in maniera autonoma”, servizio che sarebbe stato sfruttato ben 8 milioni di volte in un anno. “Tali dati si sono dimostrati preziosi per la polizia e le altre forze dell’ordine – conclude Soghoian – tuttavia il reperimento di tali informazioni non ha nessun obbligo di rendicontazione e le statistiche appaiono minime se non del tutto inesistenti”. Il problema è tra quelli sollevati anche da Google, Microsoft e AOL nell’ambito della composizione del Digital Due Process. 

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La linea amica di Brunetta

Un altro passo in avanti nel piano di e-government del ministro per la Pubblica Amministrazione e Innovazione Renato Brunetta. E’ da poche ore online Lineamica.gov, il “Portale degli italiani”, il cui obiettivo è quello di rendere più facile e diretto il rapporto tra il cittadino e la PA. Lo spazio online si affianca così al portale unico della Pubblica Amministrazione Vivifacile.gov e al prossimo Reti Amiche. Brunetta ha definito Lineamica “Il Google della PA, con in più la voce”, aggiungendo nel corso della conferenza stampa di presentazione:”Nella PA ci sono più di 40mila siti, con oltre un miliardo di documenti archiviati. È pensabile che nell’arco del prossimo anno questo miliardo diventi 10 miliardi. È una crescita esponenziale. È un portale che raggruppa direttamente e indirettamente tutti i siti della PA con un potente motore di ricerca, capace di navigare dentro questa enorme quantità di informazioni e di essere intelligente nel selezionare le informazioni ricercate”. Dunque, un ampio database, una ricca sezione di FAQ e un motore di ricerca collegato al circuito di Italia.gov che permetterà ad ogni cittadino di “sapere subito quanti punti ha sulla patente, se il figlio va a scuola o quante sono le auto blu”. Arriva al contempo lo strumento MiaPA, che permetterà di ricercare tramite smartphone gli uffici pubblici più vicini nonché di esprimere il grado di soddisfazione per il servizio ricevuto.

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Il P2P è innocuo

Non verrebbe certo sottoscritta dalle major dell’intrattenimento mondiale l’affermazione che da il titolo a questo post, Tuttavia, uno studio commissionato dal governo olandese (che si prepara a vare nuove e più stringenti norme sulla tutela dei diritti d’autore) dimostra come a risentire economicamente dello scambio di contenuti tramite Internet sia stato solo il 12% dei 4mila tra musicisti, registi, scrittori e fotografi facenti parte del campione selezionato per condurre la ricerca. Non solo: il file sharing per il 50% di loro ha contribuito a dare loro visibilità trascinandosi dietro anche un maggiore consumo legale, tanto che il 22% degli artisti del campione ha ammesso di aver fatto uso in prima persona dei circuiti di peer to peer, con un altro 40% a ritenere che i sistemi di DRM abbiano contribuito soltanto ad incrinare il rapporto con gli utenti/pubblico.

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Pubblicità comportamentale: è autoregolamentazione

Dal giugno 2012 sulle pagine di Google, Yahoo!, Microsoft ed altri protagonisti del panorama pubblicitario online europeo sarà presente un’icona che indicherà la presenza di pubblicità comportamentale. E’ il risultato del documento di autoregolamentazione sottoscritto da questi colossi del web il 14 aprile. Obiettivo principe dell’accordo messo a punto da IAB Europe è migliorare la trasparenza nel behavioral advertising; così, cliccando sull’icona si accederà ad una pagina nella quale sarà possibile disabilitare le funzioni di pubblicità basata sulle informazioni personali.

Una decisione che arriva a ridosso della scadenza del termine ultimo per il recepimento dell’articolo 5 della direttiva 2002/58/CE che, modificata con la 2009/136/CE, è stata soprannominata “Cookie law” perché è la norma che impone ai siti di richiedere consenso esplicito agli utenti per l’implementazione di cookie che permettono a siti terzi la raccolta di informazioni sugli utenti stessi per la pubblicità comportamentale.

FRANCIA – Gli stessi temi sono stati al centro dell’incontro che il ministro francese all’industria, all’energia e all’economia digitale Eric Bresson ha avuto con i rappresentanti di Facebook, Google e Twitter. Oltre che di gestione dei cookie, già al centro delle attuali politiche di regolamentazione francesi vista la legge sul diritto all’oblio di prossima approvazione, si è però anche parlato di net neutrality, copyright e cybercrimini e delle modalità con le quali questi temi verranno inseriti nei dibattiti del prossimo G8, che si svolgerà proprio a Parigi il 24 e 25 maggio.


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Next Generation Networking, forse si parte

Next Generation NetworkingLa Cassa dei Depositi e Prestiti parteciperà insieme alle società di telecomunicazione alla formazione della Newco che dovrà gestire la messa a punto in Italia della NGN, la rete di nuova generazione. Almeno è quello che si afferma nel Piano Nazionale di Riforma (documento con il quale si indicano in sostanza i passi che il governo intende compiere per tenere fede agli obiettivi della strategia comunitaria Europa2020) presentato il 13 aprile 2011 dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il cammino del New Generation Networking nel nostro paese sembra dunque essere ad un punto di svolta, e al punto 69 del capitolo “Innovazione” del PNR si prevede “l’avvio di un piano per portare le reti di nuova generazione al 50% dei cittadini italiani. Un’iniziativa in partenariato pubblico-privato che vede coinvolti i 20 principali operatori di telecomunicazione in Italia”. Certo non è quantificato l’impegno economico della Cdp e lo stato di implementazione del progetto è ancora in fase di “definizione del piano esecutivo”, che dovrebbe tuttavia essere terminato entro il 2016.

DIGITAL DIVIDE E LTE – Sono altri due i punti del Pnr che parlano di banda larga: al punto 68 si menziona l’eliminazione del digital divide e si dipinge uno scenario nel quale, entro il 2013, si porterebbe una connessione a 20mbps per tutti i cittadini. Fondi per 370 milioni di euro sarebbero già utilizzabili grazie al Fondo strategico per il paese (Fas). Subito dopo viene invece indicata una generica “maggiore disponibilità per compensare la liberalizzazione delle frequenze da parte delle emittenti locali” nell’ambito dell’asta che dovrebbe fruttare al governo 2,4 miliardi di euro da reinvestire nelle nuove reti mobile Lte; proprio pochi giorni fa le società che si occupano della rappresentanza delle tv locali nella vicenda avevano fatto sapere che se il governo vuole le frequenze che appartengono ad esse deve sborsare 480 milioni di euro anziché i 240 previsti dalla Legge di Stabilità. Nel Pnr si prevede così l’emanazione di un “Dpcm per l’istituzione del Comitato dei Ministri incaricato di sovraintendere alla procedura di gara. Anticipazione al 2011 della gara per le frequenze del cosiddetto dividendo digitale ora in uso all’emittenza televisiva locale da destinare alla telefonia mobile a banda larga”. 

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I filtri antipirateria sono illiberali?

 

SABAM vs ScarletImporre ai provider il filtraggio o il blocco delle comunicazioni elettroniche per tutelare i diritti d’autore viola le tutele previste nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Almeno stando a quanto afferma l’avvocato generale Cruz Villàlon nella sua proposta di soluzione al caso SABAM – Scarlet Extended. La SABAM è il corrispettivo belga della SIAE che nel 2004 trascinava in tribunale il provider Scarlet (ex Tiscali) accusandolo di aver tratto profitto dalle attività illecite svolte sulle sue reti dagli utenti. In un primo tempo era stata prevista l’implementazione di un filtro, che sarebbe dovuto essere AudibleMagic, tra i più in voga; se non fosse che gli stessi dirigenti di SABAM lamentavano una sostanziale inefficacia dello stesso. Così il caso si trascinava avanti per sette anni. Tornando alla tesi di Villàlon, l’unica situazione nella quale suddetti filtri possano ritenersi leciti sarebbe la presenza di norme nazionali che ne regolamentino l’utilizzo, situazione che non è quella belga. Villàlon ha così chiesto alla Corte di Giustizia europea di vietare ai giudici continentali l’emissione di ordini di implementazione di filtri e blocchi al traffico online degli utenti.

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Nuova Zelanda: mannaia sugli scariconi

Con una maggioranza schiacciante il Parlamento neozelandese ha approvato la Sezione 92A del Copyright (Infringing File Sharing) Amendment Bill, la nuova legge sul diritto d’autore. Le peggiori previsioni della vigilia, formulate sulle intenzioni già manifestate dalle autorità kiwi con i tentativi del 2009, escono confermate: dal primo settembre 2011 chi viene sorpreso a scaricare illegalmente file dalla rete finirà in un circuito simile al Three Strikes francese, e potrebbe vedersi sospesa la connessione fino a sei mesi; inoltre, gli utenti saranno considerati colpevoli fino a prova contraria rischiando multe fino a 9mila euro (15mila dollari neozelandesi). Ovviamente, pioggia di polemiche in rete, molte delle quali centrate sul fatto che si tratta dell’ennesimo favore fatto ai detentori di diritti.

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Russia: gli 007 contro VoIP e Gmail

Il blocco totale di Skype, Gmail e Hotmail; sarebbero queste le pesantissime richieste avanzate dalla Federal Security Service (FSB) russa, l’agenzia di intelligenze erede del KGB. Alexander Andreyechkin, direttore del centro speciale di comunicazione e informazione dell’FSB, ha affermato che “l’uso incontrollato di questi servizi potrebbe generare una minaccia per la sicurezza della Russia”. Il tutto mentre il viceministro delle comunicazioni Iliya Massukh afferma che dal 1 ottobre 2011 verranno adottate dal governo di Mosca le nuove direttive riguardanti le tecnologie di cifratura delle comunicazioni e il presidente Dimitry Medvedev condannava l’attacco DDoS al quale è stato sottoposto il suo blog personale nelle ultime settimane.

UPDATE L’FSB smentisce la volontà di bloccare questi servizi; un portavoce dell’agenzia dichiara che “lo sviluppo delle nuove tecnologie è un processo naturale che ha bisogno di essere assistito”. Nel frattempo c’è chi fa notare come non sia la prima volta che Skype finisce nel mirino di qualcuno in Russia: nel 2009 fu l’Unione degli Industriali e degli Imprenditori a richiederne il blocco per ragioni di sicurezza nazionale.

LIBIA AL TELEFONO – Sembra nel frattempo tornare la possibilità di utilizzare il telefono in Libia, dopo i danni causati dal blocco totale delle comunicazioni imposto sul paese un mese fa. Grazie al lavoro del libico di origini statunitensi Ousama Abushagur e di altri paesi arabi è stato possibile ripristinare un network telefonico che metterà in comunicazione circa due milioni di persone, oltre a garantire sorveglianza sul telefono di Muhammar Gheddafi. Senza dubbio un’iniezione di ossigeno per i ribelli, che grazie a questo progetto (che si chiama Free Libyana) potranno mettersi in contatto con l’estero, anche se solo dalla zona est del paese.

UPDATE Su Wired.it una descrizione di come funziona il sistema messo a punto dai ribelli

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USA: di privacy, e-mail e copyright

I senatori John Kerry, democratico, e John McCain, repubblicano, sono uniti nella presentazione del disegno di legge Commercial Privacy Bill of Rights Act, con il quale si punta ad istituire un nuovo quadro regolatore che imponga restrizioni alle attività di tracciamento online e rastrellamento di informazioni personali. I due, sconfitti nella corsa alla Casa Bianca rispettivamente da George W Bush nel 2004 e da Barack Obama nel 2008, vorrebbero così dotare la Federal Trade Commission (FTC) di poteri sanzionatori nei confronti delle aziende del web che adottano un comportamento non trasparente in materia di raccolta, trattamento e distribuzione dei dati personali degli utenti, le cui modalità andrebbero sempre indicate nel dettaglio all’utente stesso. Naturalmente viene menzionato il sistema Do-Not-Track che, già implementato nei browser di Mozilla (Firefox), Google (Chrome) e Microsoft (Explorer), diverrebbe obbligatorio per tutti i sitit aziendali. La proposta di legge ha raccolto parecchi plausi dal mondo del web, ma deve scontare, oltre all’irritazione dei vertici della Direct Marketing Association (DMA), la delusione delle associazioni a tutela dei consumatori, che non vedono grossi cambiamenti introdotti nelle pratiche di gestione dei dati personali da parte delle aziende del web.

POSTA ELETTRONICA E PRIVACY – E’ invece crescente il dibattito sulle revisioni all’Electronic Communications Privacy Act (ECPA), la legge che nel 1986 regolava la privacy in materia di comunicazioni a mezzo elettronico. Tutto nasce dalla costituzione del Digital Due Process, un gruppo di lobbying formato da colossi come Google, AT&T e AOL, che aveva l’intento di proporre al Congresso di rivedere la parte dell’ECPA che rende lecito il sequestro senza mandato delle email più vecchie di 180 giorni che, situate “in the cloud”, vengono classificate come abbandonate e quindi non tutelate dalle leggi sulla privacy. A infiammare la discussione le posizioni espresse dal Dipartimento di giustizia americano, secondo il quale (e sarebbe anche la posizione dell’Amministrazione), questo tipo di sequestro senza mandato sarebbe giustificato in alcune situazioni criminose, come le indagini che riguardano pedofilia, terrorismo e spionaggio.

POSTA ELETTRONICA E COPYRIGHT – Per i messaggi di posta elettronica sembrano non esserci tutele anche in materia di diritto d’autore: il giudice di Los Angeles Dolly Gee ha stabilito che una frase in prosa in una e-mail non può essere tutelata da copyright come lo potrebbe essere, ad esempio, un incipit poetico della stessa lunghezza, per il semplice fatto che non è abbastanza creativa, manca di originalità. La decisione arriva alla fine del processo che vedeva contrapposti Kenneth Stern e Robert Weinstein, membri della CAALA (associazione americana a difesa dei consumatori); Stern inviava ad una mailing list interna all’associazione (più di ventimila persone) un messaggio contenente 23 parole; Weinstein lo spediva a sua sorella, non compresa nella lista di indirizzi originaria, la quale rispondeva al mittente originario scatenandone l’ira e spingendolo alla citazione in giudizio. Secondo il giudice Gee però il post del querelante “non mostra nessun tipo di creatività poiché il contenuto è dettato solo da considerazioni funzionali”. Tuttavia, Stern ha già annunciato che ricorrerà in appello.

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Le nuvole di Amazon

Cloud Drive di Amazon

Non sembra essere piaciuto alle major dell’intrattenimento il nuovo servizio di Amazon Cloud Drive, che permette agli utenti di caricare “nella nuvola” file musicali e riascoltarli in streaming con un qualunque device connesso ad Internet. Per le major Amazon non avrebbe siglato alcun accordo di licenza per questo tipo di servizio, e poco importa che la musica caricata “in the cloud” sia stata acquistata legalmente: a fare la differenza è la mancanza di licenze per la riproduzione su altri dispositivi. Si intravede all’orizzonte una nuova battaglia della guerra alla musica digitale; Amazon da parte sua invita le major a notare come il servizio abbia di fatto crescere il numero di brani mp3 venduti legalmente (pur non specificando numeri), ribadendo così la volontà di portare avanti il servizio così com’è.

 

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Cyberattivismo, organizzazione online e la Politica della Trasparenza e dei Dati Aperti

Giro la segnalazione di tre eventi su attivismo digitale, organizzazione in rete e policy di open data presente sul blog di Luca Nicotra.

 

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USA: blogger vs Huffington Post

Una class action depositata contro l’Huffington Post da un gruppo di blogger che accusano l’aggregatore di notizie online di aver sfruttato il lavoro dei blogger stessi. In sostanza, Arianna Huffington avrebbe beneficiato del lavoro altrui offrendo come pagamento la sola visibilità; i blogger non ci stanno e chiedono così come risarcimento 105 milioni di dollari, cifra che sarebbe proporzionata ai 315 milioni spesi dalla AOL a febbraio per l’acquisto del Post. A capitanare la class action è Jonathan Tasini, non certo una buona notizia per la Huffington visto che si tratta della stessa persona che più di dieci anni fa denunciando il New York Times vedeva riconosciute tutele sui diritti d’autore sul lavoro dei freelance online. La AOL da parte sua, in qualità di coimputato, si difende e parla di un modello (quello del lavoro ripagato dalla visibilità) ampiamente diffuso in molti settori, compreso quello dello spettacolo e degli show televisivi.

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Le eccellenze delle ICT tra Scandinavia e Singapore

Il report annuale del World Economic Forum (WEF) sulle Information and Communication Technologies (ICT) vede spiccare come paesi maggiormente competitivi nel settore la Svezia e Singapore, seguiti da Finlandia e Svizzera. Quinta piazza per gli Stati Uniti, che scendono di due posti rispetto all’anno precedente. Per la realizzazione del report sono stati monitorati gli andamenti di 138 paesi durante il 2010 rispetto a vari indici, tra i quali l’adozione di tecnologie di comunicazione e informazione, la disponibilità degli individui al loro utilizzo, il reale utilizzo delle stesse, il giro d’affari che se ne ricava e la sollecitudine dei governi alla loro implementazione e sviluppo. Secondo il WEF le ICT sono “il fattore chiave per sviluppare un mondo più economicamente, ecologicamente e socialmente sostenibile”. In Svezia l’uso delle nuove tecnologie è massiccio tanto che il 90% della popolazione si connette ad Internet con regolarità. Tuttavia, le aree del mondo con il potenziale tecnologico maggiore restano Asia e Medioriente, con la Corea del Sud sempre leader nella velocità delle connessioni alla rete e il Bahrain tra i paesi con i migliori tassi di crescita dal 2006 ad oggi (come Cina, Vietnam e Uruguay). E l’Italia? Solo 51esima.

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Le linee guida del Garante

Vista la recente pubblicazione delle “Linee guida in materia di trattamento dei dati personali contenuti anche in atti e documenti amministrativi effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web”, il Garante per la privacy ha diffuso un’informativa che mira a riassumerne i punti salienti. Si evince così che le linee guida ribadiscono i principi di necessità del trattamento dei dati personali, l’esattezza degli stessi e l’indicazione di un tempo limite oltre il quale non risultano più utilizzabili (se non già specificato da norme di settore). Ma soprattutto, vengono legittimati strumenti tecnologici atti a risolvere un paio di problematiche importanti: innanzitutto, si indica una preferenza per i motori di ricerca interni ai servizi della PA e la rispettiva esclusione di reperibilità dei dati ai motori di ricerca esterni; in secondo luogo, si impone l’installazione di software o sistemi di alert per la segnalazione di accessi anomali ai dati e che evitino una duplicazione massiva degli stessi. Si scende poi nel dettaglio delle informazioni pubblicabili (e soprattutto di quelle non pubblicabili) in materia di concorsi, selezioni pubbliche, graduatorie, elenchi professionali, dipendenti pubblici e beneficiari di contributi economici e agevolazioni.

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Zuckerberg batte i gemelli

Mark Zuckerberg tra i gemelli Cameron e Tyler Winklevoss

Un tribunale di San Francisco ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dai gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, che anni fa denunciarono il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg per aver loro rubato l’idea che era alla base del social network ConnectU, creato ai tempi di Harvard e progenitore del social in blu. I gemelli e Zuckerberg erano giunti nel 2008 ad un accordo che prevedeva un indennizzo stimato in 200 milioni di dollari per i due. Nel dicembre dell’anno successivo, tuttavia, i Winklevoss rincaravano la dose accusando Zuckerberg e i suoi legali di aver mentito sul reale valore del pacchetto azionario di Facebook. Oggi però arriva la vittoria del nerd più ricco del mondo, con i Winklevoss che dovranno così “accontentarsi” dei circa 140 milioni di euro di risarcimento pattuiti nel 2008 (la stragrande maggioranza dei quali consistono in un milione e duecentomila azioni di Facebook che pur non essendo ancora quotate in borsa vengono già scambiate in privato e a prezzi crescenti).

Non è la prima volta che Zuckerberg si trova ad affrontare questo tipo di problemi e forse non sarà neanche l’ultima.

PROTESTE DIGITALI – Intanto arriva dai giornalisti della Associated Press un originale metodo di protesta: lo sciopero dei link. In sostanza, essendo in corso una contrattazione tra i vertici di AP e il sindacato dei giornalisti News Media Guild, questi ultimi hanno proposto come mobilitazione il non linkare sulle piattaforme social le storie AP (a meno che questo non compremetta il lavoro nel merito). Allo stesso tempo, si chiede ai giornalisti di indossare una maglietta rossa con la quale farsi fotografare e riprendere; le immagini, postate su Facebook, serviranno al sindacato per sostenere le sue rivendicazioni mediante un ulteriore video.

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